(29 giugno 2008) Gods of Metal 2008 - III giorno - 29 Giugno (Arena Parco Nord, Bologna)

Info

Provincia:BO
Costo:1 giorno: € 63.25 - 3 giorni: € 103.50
Per vedere tutte le foto scattate da EUTK.net (si ringrazia Sergio Rapetti per il prezioso lavoro svolto) a grandezza naturale clicca QUI.

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Nightmare ( 11.45 - 12.05)

Per la concomitanza con la Santa Messa (beh.. . potrebbe pure essere!!) i Nightmare salgono in anticipo sul palco, sostituendo Fratello Metallo.
Quello della formazione francese si rivela uno spedito Heavy Metal, strettamente legato alla NWOBHM ma con sfumature teutoniche che talvolta possono far pensare ai Grave Digger.
Il gruppo prende subito possesso del palco dando prova di intraprendenza ed energia, grazie anche al sound potente che riescono ad esprimere, lontano parente di quello dei loro esordi su Ebony Record nella prima metà degli anni ’80 (“Waiting for the Twilight” e “Power of the Universe”).
Di quella formazione ritroviamo solo il bassista Yves Campion e Jo Amore, al tempo batterista e passato poi al microfono sul finire degli anni ’90 quando i Nightmare, dopo una lunga pausa, sono ritornati in attività.
Jo Amore si rivela un discreto cantante, ben supportato da musicisti solidi e in grado di reggere l’impatto live, con brani, e tra questi “Secret Rules” e “The Wind of Sin”, che colpiscono nel segno.
E alla fine ricevono l’acclamazione e gli applausi dei presenti. Meritati

Sergio “Ermo” Rapetti

Infernal Poetry (12.20 - 12.50)

Dopo il metal classico dei Nightmare tocca agli italianissimi Infernal Poetry infuocare (come se il sole tropicale sempre meno clemente non ci pensasse già di suo…) l’arena del parco Nord di Bologna. Cambio completo di rotta rispetto ai francesi, visto che il gruppo marchigiano propone un death metal decisamente tecnico e sicuramente schizoide, che è poi da sempre la caratteristica che maggiormente li distingue da altre band nostrane.
Chi ha già avuto modo di vederli dal vivo sa che i nostri non si risparmiano, dando il 100% sia dal punto di vista esecutivo che da quello del coinvolgimento, riuscendo ad instaurare con il pubblico un legame molto particolare.
Se a questo aggiungete che a chiunque appare chiaro il loro essere “alla mano” capirete che il gioco è fatto. Per il concerto di oggi la band ha deciso di puntare sui classici, presi omogeneamente da tutti i cd pubblicati fin’ora.
C’è tempo anche per un paio di inediti, tra cui il brano che vede Trevor dei Sadist duettare con quella belva umana che risponde al nome di Paolo Ojetti. Purtroppo si avvicina l’ora di Fratello Metallo, quindi gli Infernal Poetry devono abbandonare il palco, ma lo fanno da vincitori, forti di un’esibizione genuina e impeccabile sotto tutti i punti di vista.

Roberto “Dulnir” Alfieri

Fratello Metallo (13.00 - 13.15)

Causa intercessione divina Fratello Metallo ascende verso l’alto saltando a piè pari sia i Nightmare sia gli Infernal Poetry. (“lui può” cit. Graz)
Di tonache sui palchi ne ho viste diverse (ad esempio il saio indossato da Messiah Marcolin e quella di Sister Mary) ma questa è la prima volta che un vero Frate si cimenta in un concerto Heavy Metal. Ad attenderlo soprattutto curiosità e pregiudizio, mentre non si percepisce, tranne in alcuni casi sporadici, astio. Frate Metallo infarcisce un classico (ma tutto sommato banale) Heavy Metal con testi che vanno da certe dichiarazioni degne delle più ortodosse True Metal bands ad affermazioni che sembrano invece provenire direttamente da un pulpito. Forse proprio da quel leggio (con l’immagine di quello che potrebbe essere l’artwork dell’imminente album ) che fa la sua apparizione sullo stage, dove oltre ai musicisti troviamo anche quattro coristi, trai quali uno abbigliato da guerriero con tanto di spadone.
Che dire, musicalmente non mi sembra abbiano poi molto da dire mentre per quello che riguarda i messaggi lanciati da Frate Metallo, non si tratta di un’esclusiva, esistono, infatti, da anni diverse Christian Metal Band che battono le “Vie del Signore”. La particolarità è quindi quella che a proporsi in un’esibizione dal vivo sia un vero frate, peraltro non di primo pelo. Chissà che ne pensano le Alte Cariche Ecclesiastiche… eresia oppure una ulteriore possibilità di incamerare insperati oboli?

Sergio “Ermo” Rapetti

Enslaved (13.35 – 14. 15)

Così come negli anni passati è accaduto con My Dying Bride, Satyricon, Dimmu Borgir e molti altri, fa sempre effetto assistere ad un’esibizione di un gruppo nordico e di grande atmosfera come quest’anno è toccato ai norvegesi Enslaved ad orari improbabili ed a temperature degne del Sahara; il Gods 2008 non perdona ed il terzo giorno di questa edizione ripropone il caldo torrido del primo, con un sole che come direbbe Dan Peterson “a Chattanooga Tennessee ti spacca in quattro”.
Per fortuna gli Enslaved vengono dal nord Europa e questo non lo sanno, quindi non fanno una piega e con una scenografia al limite del nullo salgono sul palco ignorando quasi l’ambiente circostante. Anzi, a parte un elemento piuttosto statico e limitato al suo ruolo, i norvegesi regalano una performance ricca non solo a livello musicale; Grute Kjellson è il leader indiscusso anche a livello visivo e sprona i presenti numerosi sotto il palco.
Certo, la musica degli Enslaved non è la più orecchiabile e pregna di chorus da cantare a squarciagola, ma la reazione, considerando anche tutti i fattori ostici di un ambiente infuocato, è decisamente più che positiva, sebbene la dimensione ideale della band sia quella notturna, magari in un club.

Gianluca "Graz" Grazioli

Obituary (14.45 – 15.40)

A tenere alto il sigillo del death metal più sporco ed ignorante ci sono i floridiani Obituary, che compaiono in scaletta ad un orario piuttosto proibitivo, a causa della cappa di calura che ha rappresentato una costante in questi tre giorni del Gods Of Metal.
Naturale che le condizioni climatiche, non proprio ottimali per godersi un concerto, influenzino sia l’audience, che non partecipa mai in maniera convinta e che non si lancia in un pogo che la musica dei floridiani meriterebbe, sia la band stessa, che è costretta a fermarsi alla fine di ogni canzone per bere e rinfrescarsi.
Se per quel che riguarda l’esecuzione strumentale non è possibile criticare gli Obituary, qualcosa da ridire ci sarebbe in merito alla scaletta decisamente poco esaltante e che non prevede la presenza di veri e propri must come “Dying” e “Body Bag”. Tra i vari classici del gruppo vengono eseguiti solamente “Chopped In Half”, “Turned Inside Out” e la conclusiva “Slowly We Rot”, su cui la gente fa finalmente percepire la propria presenza, rimasta sopita fino ad allora. Viene inoltre dato spazio al recente “Xecutioner’s Return”, omaggiato con il singolo “Evil Ways” e “Face Your God”. Abbastanza fuori contesto è risultato inoltre il lavoro solista alla chitarra di Ralph Santolla, senza dubbio un chitarrista talentuoso ed importante per il metal, ma che con un gruppo come gli Obituary sembra azzeccarci poco o nulla. Presenza scenica come sempre efficace, grazie ad un John Tardy e a un [bassista] intenti come sempre a scapocciare a ritmo di death metal.
Tuttavia una scaletta mediocre ed un clima infernale hanno inevitabilmente compromesso tutto il concerto, che non è stato in grado di graffiare a dovere e a rendere memorabile la prestazione dei floridiani.

Michele "Coroner" Segata

Morbid Angel (16 – 17.05)

Altro gruppo, altro ritorno al passato con i Morbid Angel che in questa succulenta occasione del Gods 2008 ripropongono la formazione storica, perlomeno per ¾, con il ritorno in formazione di David Vincent al basso e voce. Già vederlo coi capelli neri anziché biondone come tanti anni fa suscita più di una impressione e tutto sommato c’è da dire che se il buongiorno si vede dal mattino si intuisce sin dall’inizio che nella prestazione, personale, di Vincent ci sarà da sollevare più di un dubbio.
Indubbiamente per gli spettatori del Gods Of Metal, che al momento di questo terzo giorno sono molto meno numerosi rispetto ai primi due giorni, Azagthoth e Sandoval hanno allestito una scaletta di prim’ordine, quasi completamente incentrato sui primi tre album, con quasi nulle concessioni a “Domination” e al prossimo cd con un pezzo inedito intitolato probabilmente “Nevermore” (peraltro nulla di particolarmente clamoroso da segnalare).
Si parte subito forte con “Rapture” e si accelera ulteriormente con la doppietta “Pain Divine” e “Maze of Torment”. La band, nonostante i suoni mosci ed il volume basso , un problema che ha praticamente afflitto ogni gruppo di questa manifestazione, gira che è una meraviglia ma Vincent ha qualcosa che non va: la voce è a dir poco diversa da quella ammirata sui vecchi lavori, l’atteggiamento mostrato tra un brano e l’altro non è propriamente convincente, così come il senso dell’umorismo del frontman statunitense che appare un po’ incomprensibile, lasciando la maggior parte degli astanti tra l’imbarazzato ed il basito.
Tuttavia è sufficiente lanciarsi in brani del calibro di “Immortal Rites”, “Fall from Grace”, “Evil Spells” e “Lord of All Fevers and Plague” per farsi perdonare; Sandoval macina le sue pelli in maniera grandiosa (quanti di voi lo ricordano con i Terrorizer?), Azaghtoth fa il suo onesto lavoro, a volte lanciandosi in improbabili assoli ma tenendo la scena in maniera egregia, e Vincent è sempre lì, poco aggressivo, poco “death metal”, quasi come si sentisse non a suo agio, in una posizione che non ha ricoperto per troppo tempo. “Where the Slime Lives” e “God of Emptiness/World of Shit” chiudono lo show di una band che appare in forma, perlomeno con i vecchi e storici pezzi, che ha l’umiltà di sapere che in una occasione del genere proporre qualcosa da “Heretic”, “Gateways to Annihilation” e “Formulas Fatal to the Flesh” sarebbe un grosso errore, ma che deve ancora ritrovare la cattiveria e l’attitudine di un frontman che non regge il confronto col suo spettro del passato.

Gianluca "Graz" Grazioli

Yngwie Malmsteen (17.35-18.35)

E dopo il massacro dei Morbid Angel si cambia registro con l’ingresso on stage di Yngwie Malmsteen, da vent’anni esempio di eccesso, sotto tutti i punti di vista. Già, perché per il nostro svedesone, ogni giorno più in carne e intamarrito, è stata praticamente una masturbazione lunga un’ora.
Non bastano mai gli assoli per Yngwie, e dato il suo carattere non so quanto durerà nella band Tim “Ripper” Owens, cantante purosangue che però corre sempre sul filo del rasoio, perché con la sua voce disumana rischia di togliere la scena alla prima donna. Considerazioni a parte, musicalmente abbiamo assistito all’incirca al solito concerto di Malmsteen, con una buona alternanza di vecchi cavalli di battaglia e brani più recenti e soprattutto una cascata di note sparate alla velocità della luce.
Si parte alla grande con la splendida “Rising force”, seguita a ruota da “Never die”, dove si è avuta la netta impressione che il buon Tim abbia dimenticato una strofa. Nulla di grave comunque, si prosegue senza problemi e quando arriva il momento di “I’m a Viking” il pubblico partecipa con trasporto. Non ho gradito invece il modo in cui Yngwie ha suonato veri e propri capolavori della sua carriera come “Far Beyond the Sun” e “Trilogy Suite”, dove le acrobazie da circo hanno avuto il sopravvento sulle note suonate. Ma questo è un problema che Malmsteen da tempo si porta dietro, tranne nei concerti con l’orchestra di qualche anno fa in cui era costretto ad un rigore maggiore ed è venuto fuori di nuovo il genio chitarristico che è.
Tralasciando l’immancabile guitar solo in cui la band lascia da solo il padre padrone del palco, lo show giunge al termine con altri due classici, “You don’t remember, I’ll never forget” e “I’ll see the light tonight”. In definitiva un buon concerto anche se leggermente al di sotto degli standard a cui ci ha abituato Yngwie negli anni, non ultimo il suo show al Gods Of Metal di un paio di edizioni fa, ma la gente ha comunque gradito le sue schitarrate e gli ha tributato un’ovazione che in genere si riserva solo ai grandi, e un motivo ci sarà pure…
Piccola nota di colore: gli Enslaved al gran completo ad assistere allo show nel bel mezzo della gente...

Roberto “Dulnir” Alfieri

Iced Earth (19.30 - 20.15)

Un ritorno gradito, quello degli Iced Earth, a maggior ragione perchè non tornano solo loro ma anche Matt Barlow, storico cantante della band dotato di una voce unica. La curiosità di sentirlo dopo un lungo periodo di inattività è fin troppo evidente, cosi com'è evidente la speranza che abbia perso solamente il metro di chioma. Fortunatamente fin dalle prime due canzoni del concerto (la cadenzata Dark Saga e la trascinante Vengeance Is Mine) ci pensa proprio il rossocrinito singer a spazzare via ogni dubbio. Le canzoni in questione ricoprono praticamente tutto il repertorio vocale di Matt e lui appare totalmente a suo agio nell'interpretazione. Il resto della band macina che è un piacere riff su riff, con una perizia tecnica assolutamente perfetta. La sezione ritmica è compatta e potente, l'ormai canuto Schaffer fa quello che meglio sa fare: dare al pubblico quella razione di riff granitici, triplette e accordi graffianti che non dovrebbero mai mancare in una dieta equilibrata del metallaro.
Purtroppo la loro esibizione è funestata sin da subito da problemi con il suono, situazione che andrà migliorando con il passare del tempo ma che non verrà mai totalmente risolta, con volumi che sfarfallano, chitarre che scompaiono per poi riapparire pochi secondi dopo. Altra cosa che un pochino macchia questo concerto è la prestazione del chitarrista solista, tutt'altro che all'altezza della situazione e impreciso su tutti gli assoli.
Lo show procede con l'opener di Something Wicked This Way Comes, la splendida Burning Times. La partecipazione del pubblico è ottima e sembra essere dedicata tutta al ritrovato singer che cerca e trova l'amore degli astanti. Ma è il momento della prima canzone dell'era "Ripper" Owens della setlist: Declaration Day. Essendo il buon Tim appena sceso dal palco mi è parso logico considerare l'approccio alla canzone come cartina tornasole del modo in cui si è separato dalla band. Personalmente, mi avrebbe fatto molto piacere se avessero chiamato anche lui sul palco per quella canzone per due motivi. Primo perchè avrebbe dimostrato che i rapporti tra la band e un cantante mostruoso, che ha come unica colpa di accettare sempre di fare il tappabuchi, sono rimasti buoni; e secondo perchè un duetto Barlow-Owens è potenzialmente devastante. Purtroppo le mie speranze sono state disilluse ma resta il fatto che anche su questa canzone Barlow è apparso in stato di grazia dando l'impressione che fosse stata composta per lui.
É il momento della violenza con l'accoppiata Violate/Pure Evil. Il gruppo non fa prigionieri nè si concede cali di tensione continuando ad offrire una prestazione che, se non penalizzata da un incapace dietro il mixer, avrebbe un solo aggettivo per descriverla: memorabile.
Le canzoni si susseguono rapide, Ten Thousand Strong, Dracula (in cui Barlow offre la migliore interpretazione dell'intero show), la classica Travel To Stygian e l'epica The Coming Curse. Viene poi il momento della ballata con Melancholy. Nonostante, a mio avviso, sarebbe stato meglio fare Watching Over Me o I Died For You, l'esecuzione è emozionante e coinvolgente.
La band chiude con il classico pugno in faccia, My Own Saviour, e con Iced Earth la loro esibizione che sicuramente risulta una delle migliori di questo Gods Of Metal 2008, forte di un Barlow che sembra non essersene mai andato e una setlist improntata sul periodo d'oro del gruppo.
Cosa dire allora? Gli Iced Earth sono tornati più forti che mai e sinceramente spero che il ritorno di Barlow riporti anche la qualità in sede studio dopo i due album mediocri con Tim Owens. Bentornati!

Massimiliano "Maxowar" Barbieri

Setlist

Dark Saga
Vengeance Is Mine
Burning Times
Declaration Day
Violate
Pure Evil
Ten Thousand Strong
Dracula
Travel To Stygian
The Coming Curse
Melancholy (Holy Martyr)
My Own Saviour
Iced Earth


Prima apparizione italiana per gli americani Iced Earth guidati dal canuto John Schaffer dopo il ritorno dello storico cantante Matthew Barlow a discapito del giovane e sfigatello (nel senso di sfortunato) “Ripper” Owens.
Le ultime uscite discografiche della band sono ben lontane dai fasti di una volta ed è indubbio che il ritorno del rosso crinito Barlow abbia rappresentato una grande attrattiva anche per coloro che non seguono più il gruppo da qualche anno. Vista la portata dell’evento, le aspettative erano ovviamente molto alte, come alta era la curiosità di sentire lo storico cantante alle prese con il canto ed il palco dopo tanti anni di assenza.
E quale maniera migliore di mostrare uno stato di salute ancora gagliardo se non con un pezzo come “Dark Saga”, classico degli Iced Earth? La voce di Barlow c’è ancora, sempre espressiva e immediatamente riconoscibile, sia nelle parti più cattive che negli acuti che lo hanno reso famoso.
Peccato che dei suoni tutt’altro che adeguati (assoluta novità per questo Gods…) rovinino lo spettacolo, con una batteria altissima e chitarre e voce praticamente indistinguibili. Per fortuna con il succedersi dei pezzi, la situazione da questo punto di vista è migliorata parecchio, senza tuttavia offrire una qualità del suono perfetta. Nell’ora e un quarto a loro disposizione, gli Iced Earth propongono una setlist improntata sui classici dell’era Barlow, come ad esempio “Burning Times”, “Pure Evil”, “Travel in Stygian”, “The Coming Curse”, “Melancholy (Holy Martyr)” o “Vengeance Is Mine”.
A questi si aggiunge un pezzo inedito tratto in anteprima dal nuovo disco (che sarà la seconda parte del concept iniziato su “Something Wicked This Way Comes”), un pezzo in pieno stile Iced Earth, che pur non essendo particolarmente esaltante, ripropone il tipico marchio di fabbrica del gruppo.
Schaffer si conferma la solita macchina macina-riff, che, pur non essendo particolarmente varia e fantasiosa, è precisa e potente; il batterista non è Richard Christy e la differenza si nota, soprattutto nei particolari, ma il suo lavoro guida con piglio sicuro la band durante tutto il concerto. Chi temeva che la voce di Barlow fosse andata perduta negli anni può stare sicuro del contrario: la sua ugola è sempre la stessa, e durante il concerto ha regalato emozioni a profusione.
Come consuetudine, a far calare il sipario del concerto ci pensa la solita “Iced Earth” (e vi assicuro che annunciata da Barlow è tutt’altra cosa)..una volta conclusa, la sensazione è quella che Matt non se ne sia mai andato dalla band e che i dischi dopo il discreto “Horror Show” non siano mai stati registrati. Bentornati Iced Earth!

Michele "Coroner" Segata

Judas Priest (20.55 - 22.45)

L’ultima giornata del Gods of Metal 2008 si chiude davvero in bellezza, con la presenza sul palco dei redivivi Judas Priest, forti di un nuovo disco in uscita, “Nostradamus”. Le aspettative dei presenti sono altissime, quelle di chi vi scrive sono invece appena ridimensionate dall’aver ascoltato il nuovo lavoro… Ma di quello ne parleremo a breve nella zona recensioni.
Poco male, alle 21 e spicci comincia lo show dei Priest. Belle le luci, molto colorate sulle tonalità del rosso e dell’arancio, e ottimi i suoni per una band che, sin dalle prime note, sembra essere in serata. Rob Halford fa il suo ingresso da una botola allestita appositamente sul palco, e ci appare in tutto il suo “splendore” con una specie di giacca tutta luccicante di lustrini “metallosi”, per così dire, ed uno scettro con la forma dell’arcinoto simbolo dei Priest!
Passiamo alla musica, adesso; beh, potremmo dividere il concerto in due parti: i momenti tratti dal nuovo disco, in cui la gente è rimasta davvero poco coinvolta (complice, ovviamente, la qualità assolutamente non sufficiente delle nuove songs), e le canzoni che hanno fatto la storia di una band ormai assunta allo status di culto, durante le quali il pubblico è letteralmente impazzito di gioia. Incitati da un Rob in gran spolvero, abbiamo goduto di perle come “Between the Hammer and the Anvil”, “Breaking the Law”, “Hell Patrol” (a mio avviso uno dei momenti più coinvolgenti della serata), “Hellion/Electric Eye” e molte altre.
Come si può evincere dalla setlist, infatti, i Priest hanno offerto una scaletta variopinta, che pesca in maniera adeguatamente varia nella lunga discografia della band, andando addirittura a recuperare brani come “Sinner” del 1977.
Lo show continua senza sosta, ed è inutile sottolineare come uno degli highlights della serata sia la tanto acclamata “Painkiller”, introdotta magistralmente da uno Scott Travis davvero in stato di grazia; peccato, solo, che il buon Halford faccia ormai una fatica immane nel cantarla, essendo costretto più di una volta a cercare soluzioni alternative alle linee vocali urlate che la canzone presenta. Ma quando hai dalla tua l’esperienza e il mestiere, sai benissimo come barcamenarti, e così anche Rob svolge il suo lavoro in maniera semplicemente perfetta. D’altronde, amici miei, qui la gente è venuta per tributare omaggio a dei veri Dei del Metallo, e quindi non è tanto la perfezione stilistica che conta, quanto il coinvolgimento e la sensazione, palpabile, di trovarsi davanti ad un pezzo di storia della Musica.
Dopo “Painkiller”, i nostri si congedano, ma solo per pochi minuti: è il momento per Rob di tornare sul palco in moto, e di aprire, rombando, una tripletta di encores davvero micidiale, a partire dalla stupenda “Hell bent for Leather”, una canzone che davvero non dimostra gli anni che ha. Tipton e Downing, come in tutta la serata (a parte il solo di “Painkiller”, vero Maxowar? N.d.r.), non perdono una nota ed hanno un suono della madonna, ed ancora una volta la partecipazione della gente è davvero altissima, decisamente più che nel concerto dei Maiden visto venerdì.
Le danze si chiudono, ahinoi, ma si chiudono in bellezza: dopo un divertentissimo “botta e risposta” canoro tra Rob Halford e la folla, i nostri attaccano l’ultimo brano: “You’ve got another Thing comin’”, un’altra song strepitosa che va a chiudere, a mio avviso, uno dei più bei concerti di questo Gods 2008.

Qualche nota a margine: l’affluenza di pubblico nettamente inferiore a quanto visto per gli Iron Maiden, colpa senz’altro anche di un bill quantomeno “strano”, che non offriva molta continuità di genere al suo interno. È vero d’altra parte che stiamo comunque parlando di due bands che sono la storia del Metal, per cui fare paragoni potrebbe sembrare riduttivo. Altra nota: il suono, stasera, sembrava decisamente più nitido rispetto a venerdì, così come i Priest sono sembrati più coinvolgenti e stimolanti per una folla adorante e carica al punto giusto.
Appuntamento all’anno prossimo, chi vivrà, vedrà.

Setlist

Dawn of Creation
Prophecy
Metal Gods
Eat me alive
Between the hammer and the anvil
Devil’s Child
Breaking the law
Hell patrol
Death
Dissident aggressor
Angel
The Hellion/Electric Eye
Rock hard Ride free
Sinner
Painkiller
Hell bent for leather
The green Manalishi
You’ve got another thing comin’

Pippo “Sbranf” Marino
Report a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 16 lug 2008 alle 11:20

Ecco infatti

Inserito il 09 lug 2008 alle 17:19

normale che gli iron facciano piu' pubblico sono una delle band commerciali di metal come scorpions, metallica e guns....they are not true metal!!! i judas si sono non solo la storia del metal...ma la metal band per eccellenza !!!! death to false metal !!!!!! Guarda, già solo mettere i Guns accanto ai Maiden...e comunque non definirei commerciale una band che si è costruita una tale fama senza l'aiuto di radio, MTV e cose del genere.

Inserito il 08 lug 2008 alle 19:48

Complimenti per le foto!