Anno Mundi: storia e leggenda

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Con gli Anno Mundi c’eravamo lasciati ai tempi dell’uscita di “Rock in a danger zone”, con la prospettiva di un contratto con la Black Widow e qualche anticipazione su un nuovo lavoro in cui non si sarebbero “fatti mancare nulla nell’assortimento delle influenze”. Ora che entrambe le circostanze si sono felicemente realizzate, abbiamo nuovamente incontrato la band (rappresentata da Gianluca Livi, Alessio Secondini Morelli e Mattia Liberati) per una lunga chiacchierata.

Ciao ragazzi e bentornati su Metal.it! Avete realizzato quanto avevate preannunciato … nuovo disco con nuove influenze e un contratto con la Black Widow. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più della genesi di “Land Of Legends”…
Gianluca: ciao Marco e grazie ancora per le tue attenzioni. “Rock In A Danger Zone” e “Land Of Legends” facevano in realtà parte di un unico lavoro, il cui master fu inviato già due anni fa alla Black Widow che ne rimase piuttosto entusiasta. Tuttavia, la label genovese ci avvisò subito che non avrebbe potuto pubblicare a breve, avendo una scaletta di uscite molto fitta e già programmata da tempo. Noi però avevamo il desiderio di uscire subito con un lavoro, anche perché, se si escludono le partecipazioni a compilation e raccolte varie, era dal 2013 che non pubblicavamo materiale a nostro nome. Pertanto, la label ha accettato la nostra proposta di dividere in due l'intero master, pubblicando un album ciascuno. Bisogna dire che la Black Widow è una macchina da guerra: avevano programmato di uscire a fine 2019/inizio 2020 e così è stato: siamo molto soddisfatti della loro programmazione.

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Il disco offre l’immagine nitida di una band che, pur mantenendo la sua attitudine evocativa e “caliginosa”, sembra aver deciso di spostare il baricentro stilistico verso la migliore tradizione progressiva. Una scelta “meditata” o assolutamente “istintiva”? Com’è maturata?
Gianluca: niente di meditato. Quello che è passato in aria, poi catturato in termini di suggestioni, emozioni, impressioni, è stato successivamente concretizzato nota su nota con molta naturalezza e spontaneità.
Alessio: ad ogni modo, tengo a precisare che quest’album raccoglie anche alcuni dei migliori brani e dei più duri di tutta la nostra precedente sessione compositiva. Con la dark-ballad “Twisted World's End”, brano di cui sono particolarmente soddisfatto, abbiamo aperto il disco e, francamente, non poteva esserci uno incipit migliore.
Sono molto curioso di sapere com’è nato un pezzo come “Hyperborea” e quali sono state le suggestioni artistiche che l’hanno ispirato …
Gianluca: è stato tutto casuale. In studio, durante una pausa, c'era questa meravigliosa chitarra 12 corde di Stefano Pontani (chitarrista degli Ezra Winston) e io ho cominciato a strimpellarla. E poi sono entrato in un trip e non volevo uscirne, con tutti i presenti che mi avrebbero tirato addosso di tutto pur di farmi smettere. L'arpeggio inziale è nato così, con lo sguardo spazientito di Paolo Lucini (il nostro ingegnere del suono, anche lui negli Ezra Winston) che non avrebbe scommesso una lira su quelle quattro note. Poi l'arpeggio si è completato, un po' anche nella mia incredulità, io ho avevo questa visione dei synth che fanno letteralmente decollare “Lucky Man” degli ELP e “Randevouz 6:02” degli UK. Sai quando ti martella in testa un concetto che ancora non è un'idea, ma sei consapevole che lo diventerà? Beh, io ce l'avevo, un Keith Emerson o un Eddie Jobson, ed era Mattia Liberati, degli Ingranaggi della Valle.
Mattia: Gianluca mi ha chiesto di intervenire su quell'arpeggio facendo un po' come Emerson e Jobson avevano fatto in quei due brani, in maniera, diciamo così, piuttosto sontuosa, quasi epica. Et voilà, è quello che è successo e credo che il risultato sia pregevolissimo.

Un altro brano in questo senso piuttosto significativo dell’album è “Hyperway to nowhere” … anche qui mi piacerebbe saperne di più …
Mattia: “Hyperway to Knowhere” è stata la traccia che ha sancito il mio ingresso nella formazione in pianta stabile. Gianluca desiderava sviluppare delle composizioni pensate per piano elettrico e mi contattò per una collaborazione. Aveva un sound ben preciso in mente. Il brano doveva risultare la sintesi tra le due anime della band: l'anima prog e quella heavy. In quanto membro fondatore degli Ingranaggi della Valle, ho trovato stimolante la sfida e ho rielaborato gli input iniziali di Gianluca calandoli in un quadro armonico jazz fusion. Da questo punto di vista è stata un'esperienza di gruppo stimolante e a tutti gli effetti sperimentale sul piano compositivo.
Gianluca: questo è un brano composto prevalentemente da Mattia. Io avevo soltanto una melodia, che è stata il vero punto di partenza da cui tutto è iniziato, e un arpeggio di chitarra acustica, che poi è finito nel mezzo del brano, suonato da me. Per il resto, mi sono limitato a dirgli che volevo un sound tipo “No Quarter” dei Led Zeppelin.
Altrove la scaletta, con i frammenti altamente suggestivi come la già citata “Twisted world’s end” e “Female revenge”, è pienamente attrezzata per assecondare anche le esigenze dei cultori delle ambientazioni fosche ed enfatiche, ma dovendo indicare un solo pezzo che rappresenti l’essenza attuale degli Anno Mundi, quale sarebbe la vostra scelta e perché?
Alessio: è piuttosto difficile rispondere a questa domanda. La natura hard rock e quella prog sono sempre andate piuttosto a braccetto nella musica della band. Oltretutto, non sono il tipo di persona che intrappola la musica in generi. Sarebbe anche piuttosto irrispettoso, visto che l'espressione artistica di certo Rock dall'anima settantiana è andata sempre liberamente da una parte o dall'altra, senza costrizioni. Potrei dire che c'é una dimensione, diciamo, più "fiabesca" che potrebbe essere rappresentata da "Hyperborea", ma non sarebbe mai completa per definire le sonorità della band. Altrove, infatti, abbiamo delle vere e proprie "canzoni" (non "suite") che mostrano il lato più Hard. Ci sono sempre state e sempre hanno bilanciato il lato più "paradisiaco" della nostra gamma di sonorità. Forse, un brano come "Female Revenge" (così come in passato "Dwarf Planet") potrebbe avvicinarsi a raccogliere quanto più possibile l'assortimento dei nostri suoni peculiari.

Direi che a questo punto è arrivato il momento di riservare un doveroso spazio ai prestigiosi ospiti che hanno contributo all’opera …
Gianluca: Alessandro Milana è un artista classico ed è l'unico, tra tutti i musicisti classici da me incontrati, che è stato capace di improvvisare su un brano sperimentale e dissonante. Nella prima parte di “Hyperborea” ha suonato una parte standardizzata, leggendo lo spartito, ma nella seconda, quando il brano impazzisce e diventa quasi cacofonico, io non gli ho dato alcuna indicazione se non quella di improvvisare. Una cosa a dir poco straordinaria per un musicista con il suo background. Renato Gasparini ha bisogno di ben poche presentazioni: è il chitarrista e deus ex machina degli Agorà. Penso che in Italia, dopo il Perigeo, i due nomi successivi che vengono in mente in ambito jazz-rock siano gli Agorà e il Baricentro. Francesca Luce è un'artista proveniente dalla darkwave, avendo militato nei Marble Noir. Oggi guida i Porpora, band gothic-rock. Domenico Dente è il bassista della mia formazione solista e ha un'impronta chiaramente Gobliniana anche se nel disco suona un assolo molto effettato che testimonia il suo desiderio di sperimentare. I miei due figli Alessio ed Emanuele, infine, hanno cantato una nenia, di cui sono peraltro autori. Si noti che non c'è una provenienza comune: ognuno di questi artisti ha un background musicale completamente diverso dagli altri ed è questo che contribuisce a forgiare il suono, direi unico, dell'intero disco.

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Per quanto mi riguarda, sono rimasto assai impressionato dalla “maturità” del vostro variegato approccio alla materia. Avete già un’idea di dove vi porterà nel prossimo futuro questa feconda consapevolezza espressiva?
Alessio: chi lo sa ... personalmente rimango ammirato da alcuni artisti che utilizzano l'elemento-musica per creare delle proprie storie. Non è differente dallo scrivere un libro o realizzare un film. Io sottolineo sempre la stessa cosa, e questo rispecchia il mio stile compositivo: se non hai un argomento particolare che vuoi trasporre in musica, non riuscirai mai a creare un bel brano musicale. Il nostro percorso futuro... non lo immagino, ma so bene una cosa: sarà sempre molto variegato. Siamo eclettici e non sappiamo stare confinati in un sotto-sotto-sottogenere.
Gianluca: va precisato che il futuro degli Anno Mundi è piuttosto incerto. Nel momento in cui realizziamo questa intervista, due membri hanno preso altre direzioni (il cantante Federico Giuntoli e il bassista Flavio Gonnellini) per cui, al momento, stiamo cercando altri musicisti da aggiungere all'organico.
Mattia: l'emergenza sanitaria, poi, non ha aiutato: la Black Widow è anche molto attiva come promotrice di concerti ma il disco è uscito poco prima che il Covid stravolgesse le nostre vite, per cui è stato impossibile esbirsi dal vivo. Per fortuna, il disco è stato promosso in altro modo, molto attenzionato dalla carta stampata e da internet.
Soddisfatti del modo in cui è stato accolto il vostro lavoro finora?
Gianluca: abbiamo avuto moltissime recensioni, anche all'estero: riviste cartacee tedesche, norvegesi, olandesi, riviste on-line e webzine sparse un po' in tutto il mondo. La cosa interessante è che, rispetto al passato, stavolta siamo stati attenzionati anche da riviste o siti dediti al prog, per cui il numero di articoli a noi dedicati è letteralmente raddoppiato: siti che prima ci ignoravano come Arlequins, Hamelin Prog, House Of Prog, New Prog Releases, Prog Rock Journal, Prog Censor e tanti altri, oggi si sono interessati a noi recensendoci, intervistandoci, anche soltanto menzionandoci. Per cui adesso siamo presenti sui canali prog e metal in maniera assolutamente equa. Un traguardo che ben poche band riescono ad ottenere e di cui siamo molto soddisfatti.
Nell’intervista precedente avevate rimarcato le ataviche difficoltà della scena “dal vivo” del nostro Belpaese, una situazione che oggi, a causa dell’emergenza sanitaria, è diventata pressoché drammatica e non solo per i gruppi italiani “underground”. Quali sono le vostre valutazioni in merito e cosa ne pensate dei live in streaming?
Gianluca: il Covid, come accennato poco sopra, ha limitato, se non escluso del tutto, la possibilità di suonare dal vivo. Il live in streaming mi sembra una follia ma chi può dire come verrà fruita la musica in futuro? Negli anni '70, '80 e '90, i grandi gruppi effettuavano tour per promuovere il disco mentre dal 2000, per 20 anni, è successo l'esatto contrario, per cui il nuovo disco è diventato soltanto il pretesto per effettuare un tour. Il tempo passa e le dinamiche s’invertono, gli equilibri si spostano, le valutazioni mutano. Se parli di live in streaming, quelli della mia generazione si mettono a ridere ma pensa cosa succederebbe se i Led Zeppelin si riunissero per fare un solo concerto in streaming a pagamento, magari nel proprio studio: farebbero più soldi di quanti ne farebbero andando in tour negli stadi, azzerando pure i costi. E, infatti, non mi viene più da ridere...
Rimanendo sul tema, quali ritenete siano allo stato attuale i mezzi più efficaci che una formazione emergente può utilizzare per promuovere e far conoscere la propria musica?
Gianluca: sei sicuro di voler chiedere questa cosa a una band che si ostina a pubblicare i propri dischi in vinile e che, per l'ultimo album, sì è ostinatamente voluta appoggiare a una label discografica old style?

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Viviamo un momento storico in cui il rock sembra in una fase di “stallo”, con poche idee nuove e molti riciclaggi, sebbene spesso di pregevole fattura. In tale situazione, come si può ancora riuscire a “esplorare” all’interno di un genere in cui all’apparenza “è già stato inventato tutto”?
Alessio: il cosiddetto "riciclaggio" accade principalmente perché non c'è più reale "sostanza" nel riproporre certe sonorità. A volte mi capita di ascoltare alcuni dischi che si perdono in pochi accordi senza un profondo e ben delineato traguardo artistico, altri manifestano un'ampollosità assolutamente triste e inutile poiché efficace solo nella forma. Sono dell'idea, innanzitutto, che per fare musica, oltre ad una tecnica adeguata e una certa esperienza compositiva, bisogna avere bene in mente un immaginario, un'idea concettuale di fondo da poter sviluppare secondo ispirazione. E che non sia stereotipata. Ciò che vedo invece oggi è la mancanza di traguardi concettuali a livello compositivo oppure la trattazione di tematiche riproposte in maniera stantia e mai perfettamente interiorizzate. L'epoca attuale è confusa, priva d’incentivi all'approfondimento culturale, all'esercizio dell'intelletto ... in questo modo, se una band inizia a proporre la propria musica senza i presupposti di cui in precedenza, non riesce ad andare oltre l'interesse momentaneo, dopodiché si perde nella miriade di "gregari" che già occupano la scena musicale. Io penso che si possa ancora oggi proporre dischi particolarmente ispirati e senza rinunciare ai propri stilemi musicali di riferimento. Mario "The Black" Di Donato l’ha appena fatto. E considero il suo nuovo album "Ars Metal Mentis" uno dei migliori della sua discografia.
Nel ringraziarvi per la disponibilità, in conclusione lascio a voi la parola in piena libertà, per commenti, proclami o magari per qualche “invettiva” particolarmente sentita …
Alessio: ringrazio tutti gli acquirenti del disco, ringrazio gli amici della Black Widow Records che hanno creduto in noi, ringrazio in particolar modo Gianni Leone (di fama Il Balletto di Bronzo n.d.a.) per il suo giudizio sul nostro album "Land Of Legends" … davvero molto gradito.
Gianluca: si, vero: Gianni ha ascoltato il nostro disco e ha espresso un giudizio molto dettagliato che noi abbiamo riportato nella nostra pagina facebook (si trova qui):
Intervista a cura di Marco Aimasso

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