Copertina 9

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:1991
Durata:non disponibile
Etichetta:Epic

Tracklist

  1. ALL OR NOTHING
  2. HALFWAY TO HEAVEN
  3. I'LL CRY FOR YOU
  4. LITTLE BIT OF LOVIN'
  5. TALK TO ME
  6. SEVENTH SIGN
  7. PRISONERS IN PARADISE
  8. BAD BLOOD
  9. HOMELAND
  10. GOT YOUR MIND IN THE GUTTER
  11. 'TIL MY HEART BEATS DOWN YOUR DOOR
  12. GIRL FROM LEBANON

Line up

  • Joey Tempest: vocals
  • Kee Marcello: guitars
  • Mic MIcaeli: keyboards
  • John Leven: bass
  • Ian Haugland: drums

Voto medio utenti

La pacchia è finita.

Il numero 1 raggiunto nelle classifiche di ben 27 paesi sul pianeta da "The Final Countdown" è solamente un ricordo, nemmeno troppo lontano dal punto di vista temporale, ma che sembra passato remoto come impatto sulla scena.
Nel 1991 il melodic rock, l'AOR, l'hair metal, chiamatelo come volete, non è più al potere, ma all'opposizione. Il motto "here we are now, entertain us" dei Nirvana è il nuovo “mantra” da recitare come dogma per giovani aficionados, ma anche per i "trend-aioli" sempre pronti a passare da un carro vincente all'altro, e non certo nel nome della coerenza, quanto piuttosto dell'opportunità.

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Gli Europe si trovano quindi in una situazione non invidiabile: continuare nella loro proposta fatta di hard rock al miele, oppure passare al "lato oscuro della forza"? "Prisoners In Paradise", fin dal titolo (anche se in realtà si riferisce alla location turistica scelta per le registrazioni), descrive una band ferma sulle proprie posizioni, altrettanto salda nelle sue convinzioni. Il produttore Beau Hill spinge ancora di più nella direzione di un suono americano da "big arena", tra il class metal ed alcune inflessioni "stradaiole", smussando definitivamente il retaggio europeo che comunque ancora possedevano molti episodi di "The Final Countdown" e del successivo "Out Of This World", con i loro riferimenti nemmeno troppo velati ai vari Whitesnake, Rainbow, UFO e compagnia gloriosa.

Solamente "Seventh Sign" e "Girl From Lebanon", nelle quali Mic Michaeli tradisce i sintetizzatori in favore dell'Hammond, ricordano pesantemente il passato "classico" di "Wings Of Tomorrow", ovviamente al netto di una produzione molto più nitida e professionale. Tra la "splendida dozzina" di songs che vanno a completare il disco, spicca ovviamente la secca opener "All Or Nothing", scritta con l'ausilio di Eric "Mr. Big" Martin, ma anche l'inno giovanilistico alla "Summer Of 69"/"Run To You" a titolo "Halfway to Heaven", dove si fa appunto sentire il pennino fatato di Jim Vallance, celeberrimo “compagno di merende” di Bryan Adams nel suo periodo d'oro.
"I'll Cry For You" è una buona ballad che vorrebbe competere con "Carrie" ed "Open Your Heart" anche se, ad onor del vero, non possiede né la grazia melodica della prima, né il drammatico pathos della seconda. Le varie "Little Bit Of Lovin'", "Talk To Me" e "Bad Blood" sono delle potenziali e dirompenti hit, che però non riescono a raggiungere il clamore suscitato da una "Rock The Night" o da una "Cherokee".

Peccato, perché l’eccellente songwriting dimostrato in queste occasioni risulta caratteristica da navigati "chart breakers" con tanto di pelo sullo stomaco. “Til My Heart Beats Down Your Door” e “Got Your Mind In The Gutter” sciorinano atmosfere gioiose e sbarazzine, con un Kee Marcello che sovrasta indubbiamente in presenza le tastiere di Michaeli. Discorso a parte merita la title-track, probabilmente il più grande brano mai composto dal gruppo svedese: ad un incipit regale e vagamente sinfonico, si sostituiscono parti vocali meravigliose, che sfociano in una sorta di tributo personalizzato nei riguardi dei Beatles di “Let It Be” a ridosso dello straordinario refrain. Il problema dell’insuccesso commerciale patito da “Prisoners In Paradise”, che porterà al lungo periodo di scioglimento della band, non è quindi assolutamente da imputare alla straordinaria vena creativa degli Europe, ma alle distopie temporali che, in un batter d'occhio, canalizzano l'attenzione delle masse verso ben altri lidi.

Un lavoro con fiocchi e controfiocchi, per quanto mi riguarda inferiore solamente al capolavoro, forse incompreso a metà, "Out Of This World".

Recensione a cura di Alessandro Ariatti

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 22 lug 2021 alle 09:02

Prisoners sancisce la fine degli Europe "come li conoscevamo", non c'è dubbio. Pur avendo apprezzato anche i dischi post reunion, praticamente tutti, "questi" erano ben altra cosa. Ciao.

Inserito il 21 lug 2021 alle 14:12

Vero, allora Countdown sembrava già passato remoto. Ricordo quando passava il video di Prisoners su Videomusic, mi dava un'impressione malinconica nell'idea che ad ascoltarli con interesse non eravamo più tanti(ssimi) come prima e che i tempi d'oro (in senso letterale...) erano ormai passati e non sarebbero più tornati... Fortunatamente poi abbiamo avuto l'occasione di risentirli, anche se su nuove coordinate (visti live a Pordenone credo nel 2005). Giustissime come al solito le considerazioni della recensione, il filo diretto con gli album precedenti è rappresentato da Girl from Lebanon e dalla maestosa title-track, con una generale "americanizzazione" del sound ma mantenendo in primo piano melodia e suoni patinati (purtroppo invisi all'ondata grunge che travolse tutto). Superbo Marcello, e soprattutto per me il miglior Tempest di sempre, al massimo della tecnica e dell'espressività.

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