(23 luglio 2023) Luppolo in Rock Festival Day 3

Info

Provincia:CR
Costo:€ 45,00
Sfiora il sold out la terza e ultima giornata del Luppolo in Rock. Il festival di Cremona ha ormai raggiunto una credibilità invidiabile. Ma è tutto vero? Andiamo a scoprirlo.

Beh, innanzitutto i pregi logistici: prezzo d'ingresso umano (45 euro in prevendita, 55 in loco, senza tenere in considerazione gli abbonamenti), i maledetti token assenti, tanta ombra nonostante il caldo, le aree banchi/cibo e concerto debitamente separate e ben congeniate, una buona quantità di banchi, parcheggio gratuito. A questi, ben più importanti, sono da aggiungere la buona qualità sonora durante tutta la giornata, con volumi forse un po' troppo elevati ma adatti a dare la "botta" che ci si aspetta da eventi simili.
Note negative? A mio parare i prezzi delle vivande, ancora elevati. Intendiamoci: buona la birra proposta, e buona anche la misura (0,5), ma 7 euro restano un po' troppi. Per il cibo il miglior rapporto qualità/prezzo forse lo ha vinto il paninazzo con la salsiccia, a 7 euro. Insomma, lì si può fare ancora meglio, ma per il resto ci siamo.

Passiamo alla musica. La partenza della mattanza è affidata agli Slug Gore, quartetto di belle speranze che propone un grind piuttosto canonico ma ben suonato. Il piglio c'è, e sotto il palco si sono assiepati una buona quantità di giovani, molto partecipi nel pogo sotto il solleone delle 17,30. Il fatto che Poldo (voce) e Danny Metal (batteria) siano YouTuber molto seguiti sicuramente gioca positivamente su questo accenno di ricambio generazionale. Di certo gli Slug Gore, con tutto il rispetto, non sono stati messi in apertura del Luppolo per questioni meramente musicali, bensì mediatiche. Inutile nascondersi dietro un dito, ma in fondo tutto torna. Anche questo tributo - in senso lato - al grind e alle sonorità più spigolose.

Grind che viene interpretato magistralmente dai Cripple Bastards. La creatura dell'indemoniato Giulio The Bastard è attitudine pura: mitragliate di blast, urla belluine, asce spesse e testi annichilenti. E sono proprio questi il vero punto di forza di una band che può fregiarsi di aver pubblicato, con buon riscontro nella nicchia con la più alta "selezione all'ingresso" nel mondo estremo, dischi con titoli iconici come "Variante alla morte" e "Misantropo a senso unico". Il dittico "Polizia razza da estinguere" e "Italia di merda" è uno dei momenti più alti di uno show in cui nichilismo, senso critico, velocità parossistica e intensità strumentale hanno convissuto, tra grind e core, con quel flavour di leggenda perfettamente vitale. E che suoni!



Molto meno entusiasmante, almeno per me, il concerto dei Possessed. La sensazione netta è quella di assistere a una specie di retro-live, posticcio. Certo, vedere l'affaticato Jeff Becerra, in sedia a rotelle sul palco, combattere con tutte le sue forze per vivere appieno la propria passione, è meraviglioso. Ma aldilà di questo, sinceramente, la rilevanza dei Possessed si ferma al passato.
Glorioso, intendiamoci. Sono considerati numi tutelari assoluti del death, quindi sulla carta niente di sbagliato nell'invitarli. Peccato che resti tutto "sulla carta" in quanto dal vivo, seppur autori di un'esibizione formalmente degna, non possono tenere testa a tanti act degli ultimi 20 anni. Il mitico "Seven Churches" viene debitamente tributato, i tom old school debitamente picchiati, la truce espressione della band confermata ma, me ne scuso, l'onestà prima di tutto: dopo un quarto di set ne ho approfittato per dissetarmi evitando le file. Caro Jeff, sei un grande, davvero, così come grandi saranno sempre i Possessed. Semplicemente, live, non ho avuto buone vibrazioni.



Cosa invece accaduta con i diversissimi Soulfly. Che tra una bestemmia e un salmo aizzano la folla. In particolare Max Cavalera è molto partecipe, complice forse anche la sua provenienza italica, suggellata indossando la maglietta della Cremonese calcio a fine live. Si parte con "Back to the primitive" che già mette in chiaro l'attitudine dei nostri e il loro sound crossover tra il nu primigenio, percussioni brasiliane e il metal più intransigente. Nessuno si risparmia, compreso il pubblico e il dinamico bassista Mike Leon, che tra salti e pugni alzati omaggia l'act ormai attivo da quasi 30 anni. "Jampdafuckup", le vecchie "Bleed" e "Eye for an eye", "Seek n strike", "Prophecy", la thrashona "Dark ages" si susseguono, affiancate da nuovi pezzi estratti dall'ultimo "Totem", come l'opener "Superstition". Ad onor del vero, in mezzo a tutto questo pirotecnico show, ho notato qualche calo di Max Cavalera. Ormai non più giovane, il nostro eroe si risparmia qualche volta alla chitarra, fermandosi e concentrandosi sulla voce. Si tratta di quisquilie, nell'ottica dello show, ma comunque di questioni significative per quanto riguarda il futuro di un act che, seppur attivissimo, ha detto le cose migliori e più riconosciute fino al 2005, nonostante "Totem" sia un riuscito esempio di quell'andazzo più thrash/death oriented.

Conclusione giustamente affidata ad altri mostri sacri dell'estremo: i Carcass. Avevo già avuto modo di goderne live durante un Rock the Castle di anni fa, ma qui hanno raso al suolo tutto. Complici i soliti suoni alti ma adeguati al contesto, i nostri eroi inglesi hanno proposto il loro death metal seminale portando sul palco del Luppolo uno show compatto, con Bill Steer in forma smagliante. Il chitarrista ha un tocco unico, che specie sugli assoli fa la differenza. Inoltre presta la sua voce così come da sempre fa, senza apparente sforzo, Jeff Walker. Dietro le pelli l'ottimo batterista Daniel Wilding, con i Carcass dal 2012, incastra ottimamente tanto i fill dei brani tratti da "Heartwork" (il miglior disco degli inglesi, senza dubbio, con estratte "Buried Dreams" e "This mortal coil") quando quelli dal primo periodo della band, dedito a creare di fatto le basi per il grind. Non sono mancati pezzi estratti dai controversi "Swansong" (il medley "Blackstar/Keep on rotting in the free world") e dall'ottimo "Necroticism", da cui è stata suonata una carica "Incarnated solvent abuse" come terzo pezzo, esempio perfetto di come i Carcass sappiano dare alla componente death predominante del loro sound sfumature di riffing di notevole dinamica.

Report a cura di Bomma

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