(25 gennaio 2020) Metal Conquest Festival @ Largo Venue, Roma

Info

Provincia:RM
Costo:27 €
Non mi succedeva da tanti, troppi anni. Contare i giorni per mesi, fino alla fatidica data del concerto, era una cosa che non facevo dai primissimi anni di università.

Il metal è sempre stata la mia passione, da che ero ragazzino fino ad oggi che ahimè sono un attempato signore di mezza età, ma non ho quasi mai avuto quella sviscerata e frenetica attesa per assistere ad un live, se escludiamo “le prime volte” con i titani della musica, quali Iron Maiden, Metallica, Death, Helloween, Testament, Megadeth, i primissimi Gods of Metal ed i miei “pallini” che via via negli anni sono riuscito a recuperare seppur fuori tempo massimo, come i Forbidden o i Candlemass, tanto per citarne un paio. Non nascondo nemmeno che talvolta sia andato ai concerti quasi per “favore” verso chi gentilmente ti concedeva un accredito: per carità, poi uno sul posto si diverte sempre ma il viaggio, il parcheggio, il fare tardi la notte che poi la mattina c’è da lavorare…insomma sì, sono stato sempre uno dal culo pesante.



Ma questa data l’aspettavo e la contavo da luglio scorso. Il Metal Conquest Festival…una sorta di magia, apparsa improvvisamente proprio nell’anno in cui gli Chevalier pubblicano il loro debutto “Destiny Calls” che, lo dico senza indugi, è uno dei dischi più belli della mia vita, alla faccia di chi dice che il metal è morto o che non riesce più ad emozionarsi. “Dovrò andare a vedermeli in Finlandia, o se va bene in Germania o in est Europa”, pensavo, ed invece me li portano a Roma…incredibile. Data segnata sul calendario col circoletto rosso, due giorni di ferie presi con sette mesi di anticipo e via a contare i giorni.

Arriviamo al fatidico 25 gennaio…ed io dal 23 ho la febbre. A 38 e mezzo. Ma porca miseria… ti pareva che nell’unico weekend che mi interessa non stavo poco bene? Nel giro di 48 ore mi dopo come manco Lance Armstrong ad un intero Tour de France ed alle 4 meno 20 sono già davanti al Largo Venue di via Prenestina, peraltro locale in cui non sono mai stato ma di cui mi hanno parlato sempre molto bene. Sono solo.

Oh no”, penso, “non può andare male un festival come questo, NON DEVE andare male”. Ma lo temo, perché Roma talvolta ha saputo essere molto crudele con chi osava… Vengo raggiunto dal nostro Gabriele, unico altro romano della redazione, mentre il nostro fotografo Roberto alle 4 del pomeriggio è ancora a tavola in qualche bettola della capitale, ma che piacere rivederlo dopo tanti anni. Le porte finalmente vengono aperte, facciamo i nostri complimenti e ringraziamenti ad Alicia, salutiamo Enrico della Cruz del Sur – etichetta che nel 2019 ci ha consegnato una marea di capolavori – ed entriamo nell’accogliente cortile del locale, tra panchinette, punti di ristoro, postazioni per la birra…d’estate deve essere niente male. Gli Chevalier, insieme a tanti altri protagonisti della giornata, sono lì, davanti a me. Ella è lì, davanti a me. Emozionato come non mi capitava da Dave Mustaine o Max Cavalera più di 25 anni fa, mi avvicino ai finnici, foto di rito ed autografo sul libretto, basta così.
Negli anni ho imparato che se non si vuole rovinare l’immagine che si ha dei propri artisti preferiti è bene non conoscerli minimamente; il timido sorriso di Emma mi basta e mi avanza, così come i baffoni ottantiani di Tommy. Io sono già contento così.

Entro nel locale e mi trovo immerso in una sala davvero convincente! Una sorta di Crossroads urbano, ampio, confortevole, spazioso, con un bel bancone, con tutto il rispetto ma per una volta non mi sento rinchiuso in una sorta di magazzino o di palestra. Il tempo di uno sguardo al merchandise ed il Metal Conquest, puntualissimo, ha inizio.

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Foto di Luisa Fabriziani

E’ la volta degli opener CANTICLE, quartetto emiliano dedito a sonorità assai grezze e dirette, evocative ed ipnotiche, con larghe concessioni prive della voce di Eterno Lamento, convincente vocalist della band. Tutto si incentra sulla chitarra, monolitica, solenne, forse a volte un po’ incerta e “solitaria” ma i brani scorrono bene, effettivamente il gruppo che mi è saltato maggiormente alla mente è quello dei The Lord Weird Slough Feg di Mike Scalzi, sonorità molto alla “Twilight of the Idols”; la sala non è certamente piena ma mi aspettavo peggio, ci sono già qualche decina di persone che applaudono convinte ed io sono tra quelli.
Una prestazione incoraggiante, magari una seconda chitarra chissà avrebbe giovato, o semplicemente il genere proposto dai Canticle ha effettivamente bisogno di un discreto numero di ascolti, essendo poco incline “all’esaltazione” o a più accessibili cavalcate o refrain. Promossi.

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Cambio palco velocissimo e puntuale, così come lo saranno per tutta la durata della giornata, ed è la volta dei miei amati Chevalier. Non lo facevo da 30 anni (giuro) ma mi viene d’istinto attaccarmi alla transenna ed urlare a squarciagola gli inni di battaglia che compongono “Destiny Calls”: si inizia con la furente “Stormbringer”e sono già in lacrime al chorus: Emma è in formissima, la sua voce vola alta e potente, Tommy non è confinato alla batteria come accaduto poche settimane fa in Grecia a causa di una defezione last minute che li ha costretti a suonare in quattro ed insieme al prode Mikko disegnano epicità e furore ottantiano pregni di melodia ed aggressività. “The Curse of the Dead Star” è un altro immancabile appuntamento, il basso di Sebastian è roboante ancor più che su disco, tutto sembra oliatissimo ed anche il nuovo batterista è completamente calato nel proprio ruolo. Tra un brano e l’altro mi volto e vedo che la platea è notevolmente più piena…e partecipativa! Tanti applausi, tante braccia al cielo, che felicità!
Si riprende con il mio brano preferito, sarei stato contento anche se avessero suonato solamente quello, invece “Road of Light” è solo uno dei tanti capolavori, io sono ipnotizzato da Emma e dalla sua ugola d’acciaio e di nuovo mi sciolgo in lacrime durante l’emozionante chorus. No, noi non molleremo mai e sentirete il nostro grido di guerra salire da qui all’eternità, potete giurarci. “In the grip of the night” e “A warrior’s lament” chiudono l’esibizione, non prima di aver suonato il loro inno “Chevalier” fino a concludere con la furoreggiante cover di “Child of the Damned” dei Warlord, in cui il pubblico impazzisce davvero: in altri contesti avrei detto “conosciuta dai più grazie alla cover degli Hammerfall” ma oggi no, oggi la platea è costituita da fini intenditori di musica.
Mentre i nostri ringraziano e salutano dietro di me sento dire tra la gente “cavolo questi sono davvero bravi, che band!” e mi viene un sorrisone come se lo avessero detto a me. Pochi metri ed un ragazzo dall’accento del nord Italia mi ferma e mi fa “avevi ragione, Emma è davvero la Regina della new wave of true heavy metal”, mi sorride facendo il segno delle corna e se ne va.
Che spettacolo, ragazzi.

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Sono in estasi, ma la serata è appena cominciata. Vi ho parlato dell’acustica perfetta? No? Beh lo faccio adesso, dall’inizio alla fine, dalla prima nota dei Canticle all’ultima dei Witchfynde, tutto al top. Così come al top è stata l’esibizione dei Vultures Vengeance: “The Knightlore” è un altro disco immancabile del 2019, ha fatto innamorare me così come il nostro Frank, gli adoratori di queste sonorità, gli idolatri della Cruz del Sur / Gatesofhell ed infatti gli mando un messaggio per farlo rosicare (non è vero, anzi quanto avrei voluto ci fosse stato anche lui). Peraltro avevo già avuto modo di vederli dal vivo, ma li conoscevo solo di nome e non avevo mai ascoltato nulla su disco; era più di due anni fa, insieme a Rosae Crucis e Riot V (concerto fantastico) e furono protagonisti di una prova pazzesca. Beh, lasciamo stare gli Chevalier verso i quali riconosco di non riuscire ad essere imparziale, ma i Vultures sono stati autori forse della prestazione più riuscita e coinvolgente della giornata; la voce di Tony, quel mix tra Blackie Lawless e Hansi Kursch, immersa in sonorità anni ’80 tra Omen e Maiden seppure con un look così glam, mossette talle, pose, una sferzata di energia davvero irresistibile. La gente lo sente eccome, la sala è praticamente tutta piena e chiunque sta seguendo il concerto, il tempo per una birra, andare in bagno o comprarsi un cd lo si troverà successivamente, adesso resta solo il tempo di esaltarsi con la meravigliosa “A Great Spark from the Dark”, la titletrack o “Fates Weaver”, gli applausi sono scroscianti, l’alchimia è perfetta ed i sessanta minuti a loro disposizione scivolano via in men che non si dica, tra gli acuti di Tony ed i solismi magici dell’altro Tony, Scelzi, impeccabile ed irresistibile anche nel look. Fenomenali.

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Praticamente in due ore consecutive di Metal Conquest Festival mi sono visto ed ascoltato live due tra i cd più belli usciti nel 2019…mica male! Ma assolutamente non è finita qui, anzi.
Mario…il grande Mario. A me quest’uomo suscita ammirazione, simpatia e…come dire…timore, rispetto, reverenza, sin dal suo aspetto. L’ho visto fuori qualche ora prima mentre ero in trance a chiedere la foto ad Emma è stato capace di risvegliarmi, perché lui è Mario. Mario è un’artista, Mario è un poeta, Mario è un pittore.
E lui è Mario pure quando sta sul palco, anzi, soprattutto. Imbraccia la sua chitarra…e non lo so, sarà stata l’atmosfera giusta, sarà quella birretta di troppo, sarà che manco mi ricordo io l’ultima volta che ho visto i The Black…ed insomma, è stato tutto magico. Ma mica solo per me, la gente impazzisce per Mario, giustamente. Un pubblico certo di nicchia, ma di appassionati veri, di quello che ti segue pure in capo al mondo, ed infatti qui al Metal Conquest è pieno di gente venuta da fuori Italia, c’è anche il grande Gianluca Silvi al secolo l’Etilico quando scriveva ancora per noi di Metal.it che conosce tutti “quello è portoghese”, “quell’altro è spagnolo”, “quello l’ho conosciuto ad Atene ma è tedesco” mentre chiunque passa accanto a lui lo ossequia in inglese “ehhyyyy giaaaanlucaaaahhh” che ogni volta pensavo ce l’avessero con me invece io sono il peracottaro che non usa manco uscire dal G.R.A.(z).
E’ magia ipnotica quella che esce dalla chitarra di Mario Di Donato, talmente magica che mi fa rincontrare dopo non so nemmeno quanti anni (20? 22? 25? Boooh) Alex Ventriglia che manco mi ricordo in quale Gods of Metal dell’altro millennio avevo conosciuto quando io scrivevo per Metal Shock e lui per Metal Hammer. Per non parlare di quando lo leggevo su HM insieme a Vincenzo Barone…che c’era anche lui!
Insomma, più che una magia, un tuffo costante e totale nel passato, così lontano ma allo stesso tempo così tangibile, palpabile e, almeno per quanto mi riguarda, così rimpianto. L’epic heavy doom dei The Black mi culla per un’ora in queste incredibili atmosfere, eteree, quasi mistiche direi, quando Mario e la sua band ci salutano e noi non possiamo fare altro che accomiatarli e ringraziarli, così come faccio subito io andandogli a stringere la mano, sorridendo guardandolo negli occhi e dicendogli “GRAZIE, MARIO”. La sua Ars Metal Mentis è immortale, come lui.

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Che serata ragazzi. E devono ancora suonare gli headliners!
Andiamo con ordine. I Solstice mi fanno incazzare, da sempre. A fronte di dischi enormi, su cui io metto senza dubbio “Lamentations” ed il successivo ep “Halcyon”, non sono mai riusciti ne’ a dare continuità alla loro carriera ne’ tantomeno a trovare dei cantanti all’altezza. Con tutto il bene e l’amore per un disco come “White Horse Hill” (20 anni ci sono voluti, ‘cci tua Richard!) Paul Kearns non era propriamente l’ugola più incredibile di questo mondo ma si era trovato un buon equilibrio; anche il buon Ingram sullo strepitoso “New Dark Age” non è che mi facesse impazzire, a fronte di un Simon Matravers davvero unico che però è totalmente scomparso nel nulla.. e vabbè. Fatto fuori Kearns, nell’ep “White Thane” ci ha presentato la nuova cantante Hagthorn alle prese con due brani già editi e la sensazione in tutta sincerità non è stata propriamente celestiale, anzi tutt’altro. Ero quindi piuttosto curioso a riguardo di questa esibizione, tant’è che me la sono gustata braccio a braccio con il buon Etilico che i Solstice li ha visti 850 volte in ogni parte del mondo e con qualsiasi voce.
Tralascio i nostri discorsi su frontman ufficiali e sostituti last minute che possiedevano sempre voci assai migliori delle incomprensibili scelte prioritarie e mi concentro su H. Thorne che, c’è da dire, innesca immediatamente una forte empatia con il pubblico. Assai comunicativa, sia con la voce sia a livello gestuale, ma… ma non mi è piaciuta, mi dispiace dirlo in maniera così netta e decisa, ma trovo che ancora una volta la scelta di Walker sia stata poco felice.
Non va sempre male, in alcuni brani la resa è decisamente migliore, più adatta se vogliamo, ma nel reintepretare i brani di Kearns fa una fatica cane e col suo timbro bassissimo e, a quanto ho avuto modo di vedere anche poco ampio, ha poco spazio di manovra ed il tutto ne risulta ristretto, atonale, compromesso.
Anche la band non è che sia poi così coinvolgente, a parte il povero Daryl Parson gli altri sembrano in stato catatonico, Walker in primis che pare davvero completamente assente, mentre perlomeno Hag fomenta il pubblico e lo innesca onestamente con buoni risultati. Ne consegue uno show in ogni caso passabile ma un po’ per un motivo e un po’ per un altro dai Solstice ci si aspettava qualcosa di più, visto anche il loro ruolo da co-headliner e la scarsissima presenza live che possono vantare in carriera. E vabbè.

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Si volge al termine ma se pensate che la flemma dei Solstice abbia spento gli entusiasmi ci pensano i Witchfynde a riaccendere tutto. Non sapevo cosa attendermi dagli inglesi, fermi ai box davvero da un sacco di tempo, ma insomma l’età per questi signori è scorsa inesorabile, considerando che i primi album della band sono datati 1980.
Niente, non si è visto nulla di tutto questo, probabilmente ero più stanco io dopo 5 ore in piedi che loro dopo 40 anni di carriera, anzi credo che se non li avessero fermati Montalo ed Abbott sarebbero andati avanti fino a mattina, fomentati da quel pazzo furioso di Lutero alla voce…e che voce! Ma cavolo, si sono conservati bene i britannici!
Il loro classic heavy metal intramezzato da venature hard rock settantiano pare intramontabile e sebbene non siano stati capaci di salire a bordo “del carrozzone che conta” insieme a Maiden, Saxon, Def Leppard e tutti gli altri - anche a causa di sonorità più tetre, è giusto dirlo - si sono ritagliati oggi un ruolo che gli calza a pennello e che, a quanto pare, li diverte e li esalta.
Ecco, guardare i Witchfynde suonare dal vivo ti diverte perché ti da’ la netta impressione che loro si divertano ed a guardare in viso il buon Beltz sembra proprio che sia così, con il suo fare tremendamente inglese delle Midlands che ti porta a Nottingham a bere e mentre tu sfiori il coma etilico lui è sempre lì che si diverte ed ordina un’altra pinta.
Energia inesauribile, brano dopo brano, “The Devil's Playground”, “I'd Rather Go Wild”, “Cloak and Dagger”, “Stagefright”, i classici ci sono tutti fino all’immancabile chiusura affidata a “Give’em Hell” su cui avremmo gradito sentire la madrina Alicia cantare anche lei a squarciagola, ma sarà per la prossima occasione.

Sì, perché date queste premesse, la splendida organizzazione e la risposta del pubblico, noi tutti speriamo che si possa realizzare un piccolo appuntamento fisso, annuale, una sorta di Keep It True nostrano che chissà, anno dopo anno, possa crescere e stabilizzarsi, contribuendo a portare tanta storia del metal ma anche tanta fiducia nel futuro e spazio alle giovani band più meritevoli, peraltro con l’opportunità a mio avviso meravigliosa di poter suonare tutti quanti lo stesso tempo – ovvero un’ora – senza sacrificare nessuno a causa della posizione in scaletta e responsabilizzare ancora di più un pubblico che finalmente ha risposto presente all’appello (seppure con tante facce romane ahime…mancanti).

A questo punto io non posso fare altro che andare a casa a misurarmi la febbre, che sento dominare il mio organismo (sarà 39, per la cronaca). Saluto tutte le facce note, dandogli appuntamento alla prossima occasione, Flavio, Brigida, Marco, Giulia, e quelle meno note che ringrazio in maniera speciale tramite questo articolo, in particolar modo tutti quelli che “oh ti guardo su Youtube, continua così”, che fa sempre piacere vedere apprezzata e condivisa la propria passione.

Un eterno GRAZIE alla Metal Conquest, specialmente ad Alicia, Lorenzone del Full Moon Club Roma e Stefano di Ace Records e tutti coloro che hanno reso possibile tutto questo. E grazie anche ad Emma ed al suo sorriso con sguardo al terrenomentre le dico che è la mia Regina dell’heavy metal.

Salgo in macchina, metto “Destiny Calls” e si ricomincia.

L’heavy metal non muore mai.

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Report a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 03 feb 2020 alle 12:14

Ciao Gianluca, contaci al 100% Ci sarà sicuramente un'occasione.

Inserito il 31 gen 2020 alle 18:22

anche a me è durato un poco ma per fortuna la mattina era svanito :D è stato un piacere anche per me! Un saluto anche ad Ennio, magari prima o poi un giorno ci incontreremo!

Inserito il 31 gen 2020 alle 18:12

Contento di esserci stato e soprattutto aver fatto conoscenza del Graz. Non conoscevo nessuno dei gruppi presenti e di istinto quelli che mi hanno preso maggiormente sono stati i/gli Chevalier e i Vultures Vengeance. P.s. Pure io fresco di acquisto ho messo Destiny Calls in macchina per il viaggio di ritorno anche se avevo le orecchie che fischiavano (effetto durato 24 ore).