Copertina 6

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2023
Durata:50 min.
Etichetta: Transcending Obscurity Records
Distribuzione: Transcending Obscurity Records

Tracklist

  1. TEMPORAL FIXATION
  2. AN EXECUTIVE
  3. MODERN SERF
  4. TOIL
  5. THE REFRAIN
  6. CHALLENGER'S LECTURE
  7. WITHOUT ORGANS

Line up

  • Jake Bielby (Dybbuk, ex-Live Burial): Guitar
  • Lee Anderson (ex-Live Burial, ex-Horrified): Bass
  • James Watts (Dybbuk): Vocals/Noise
  • Matthew Henderson (ex-Live Burial, ex-Horrified): Drums

Voto medio utenti

I Plague Rider, band inglese formatasi nel 2011 a Durham, dopo aver dato alle stampe il loro primo full-length, l’omonimo “Plague Rider” (2013), giungono a distanza di dieci anni al loro secondo lavoro: “Intensities”.

Gli inglesi in questa nuova uscita si distinguono per un particolare approccio al genere da loro proposto, ovvero un Death Metal dalle tinte Thrash estremamente tecnico, che oltre a spingersi in ambiti Brutal e in partiture Goregrind, si inoltra nel sentiero del Noise tramite un particolare uso dell’elettronica, per merito dell’operato del cantante James Watts (Dybbuk); e non mancano inoltre alcune atmosfere più oscure accostabili lontanamente al Black.

I Plague Rider sono tutti musicisti provenienti da altre formazioni estreme dell’underground, e oltre a Watts vi troviamo: Jake Bielby (Dybbuk, ex-Live Burial) alla chitarra; Lee Anderson (ex-Live Burial, ex-Horrified) al basso e Matthew Henderson (ex-Live Burial, ex-Horrified) alla batteria. Uno dei primi nomi che saltano all’occhio leggendo i credits è quello del produttore Colin Marston, bassista dei Gorguts, il quale dona al platter un sound asciutto, dai connotati duri ed old-school.

Ma se il suono è old-school, non lo è invece l’approccio stilistico del gruppo e il risultato finale dei sette brani qui proposti. Questi sono tutti estremamente complessi, e non solo sul fronte tecnico ma anche su quello strutturale. Non si deve pensare ad ensemble come Atheist e Cynic, o come i Cryptopsy e i Gorguts di “Obscura” (seppur a questi ultimi ci siamo già più vicini), ma a qualcosa di molto più intricato, instabile, caotico e pieno di variabili, nel quale si dura realmente fatica a trovare una coesione di insieme. Sono tutte tracce molto lunghe – 7 per un totale di 50 minuti –, il che lascia pensare a una struttura progressive, ed in effetti con un ascolto attento si può intravedere al loro interno una sorta di suddivisione in suite che si intersecano con le loro rispettive influenze stilistiche.

La sensazione che si ha dall’ascolto del prodotto è senz’altro quella di una band molto preparata e padrona dei propri mezzi, se focalizziamo l’attenzione esclusivamente sul fronte tecnico, ma che altresì si perde nei dettagli e nei vari artifici esecutivi tralasciando parte della visione d’insieme, e soprattutto che nella brama di stupire e cercare di creare qualcosa di inedito finisce per risultare incomprensibile.

Tornando brevemente sul versante della produzione svolta da Colin Marston, per quanto io sia un amante delle sonorità grezze, poco artefatte e leggermente caotiche, a mio modo di vedere questa mal si adatta alla proposta dei quattro deathsters, rischiando di renderla ancor più incomprensibile.

In ogni caso non mi sento di stroncare il disco, e questo per più motivi. Innanzitutto perché si capisce che questi ragazzi hanno delle ottime capacità e ci hanno messo il sudore, e in secondo luogo perché comunque sia vi sono contenute delle buone canzoni, come per esempio “An Executive”, e la breve – ma non meno intricata – , e forse la più Grind del lotto, “Toil”. Inoltre sono rinvenibili momenti interessanti, se ascoltate con attenzione, in ognuna di esse.
L’ultimo motivo che mi riserbo per lasciare una possibilità ad “Intensities” è il beneficio del dubbio, ovvero nonostante i tanti anni di assiduo ascolto del genere da parte mia, potrei non essere stato in grado di cogliere a pieno l’essenza della complessità dei Plague Rider…perché comunque nella progressione degli ascolti ho avvertito sensazioni leggermente migliori.

Un album nettamente più complesso del suo predecessore, che mostra un'evoluzione stilistica in statu nascendi…chissà se un giorno saranno rose.





Recensione a cura di DiX88

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