In giro ormai da dieci anni e con numerose releases alle spalle, giungono al mio giudizio i californiani, di Sacramento, Hoods, band dedita alla riscoperta e alla preservazione degli storici stilemi dell’hardcore. Ed è proprio per questo che, a loro dire, con questo disco si vogliono scagliare contro l’imbastardimento del loro genere preferito, e lo fanno con questo “The King Is Dead” che, sempre a loro dire, rappresenta un disco onesto e brutale, una sorta di chiamata alle armi.
Ora mettendo da parte i proclami, quando si va ad analizzare il disco ci si trova di fronte a dieci canzoni la cui durata totale è inferiore ai venti minuti, e la cui sostanza sonora è vecchia di almeno dieci anni a voler essere magnanimi. Le canzoni non spaccano, qua e la fanno muovere la testa, ma, seppur dirette, non ti prendono neppure allo stomaco, quantunque dichiarino di volerti prendere a calci in faccia.
Non so a chi possa interessare un disco simile, soprattutto perché immagino che l’hardcore, non solo quello americano, produca roba molto migliore di questi Hoods. Hoods che per chi non lo sapesse, hanno ottenuto il loro primo deal con la Victory Records vincendo una scommessa. Del tipo che chiamarono il boss dell’etichetta per chiedergli di pubblicare il loro disco, e quello li sfidò, gli disse che se avessero richiamato ogni giorno per un anno intero gliel’avrebbe pubblicato. Gli Hoods vinsero la scommessa, tutto il resto dovrebbe essere storia, invece è solo fottuta noia.