Copertina 5,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2016
Durata:36 min.
Etichetta:AFM Records

Tracklist

  1. BREAKING THE SURFACE
  2. AS LONG AS I’M ALIVE
  3. CASTOR SKIES
  4. HEARTBROKEN SOUL
  5. DYING HEARTS
  6. YOU’RE NOT ALONE
  7. MIRRORWORLD
  8. STATE OF MY DESPAIR
  9. THE UNBORN NEVER DIE

Line up

  • Urban Breed: vocals
  • Bob Katsionis: guitars
  • Dominik Sebastian: guitars
  • Mario Lochert: bass
  • Jan Vacik: keyboards
  • Alex Holzwarth: drums

Voto medio utenti

Il debutto dei Serious Black risale al 2015. Allora c'erano un certo Roland Grapow e un tale Thomen Stauch, e l'album "As Daylight Breaks" riscosse quasi all'unanimità gli apprezzamenti della critica e dei fan. A distanza di poco più di un anno i due "sconosciuti" di cui sopra hanno gettato la spugna lasciando l'incredibile Urban Breed (che voce, ragazzi) alla guida del combo teutonico.

L'esigua durata del nuovo full-length (36 minuti soltanto) mi aveva fatto pensare: "Massì dai, avranno tenuto il meglio per non registrare inutili filler". Niente di più sbagliato, purtroppo. "Mirrorworld" non è un brutto disco, ma è poco ispirato, emana aroma di "compitino" e i brani contenuti sono "carini" e niente più. L'introduttiva e strumentale "Breaking The Surface" potrebbe rimandare al Luca Turilli più cinematografico e poco ha a che fare con la successiva "As Long As I'm Alive", a cavallo tra gli Helloween e i Masterplan meno memorabili. Va meglio con "Castor Skies", vagamente progressiva e impreziosita da un bel ritornello. "Heartbroken Soul" è un mid-tempo a metà strada tra gli Iron Maiden e i Queensryche, e anticipa "Dying Hearts", traccia dalle timbriche di inizio millennio che avrebbe potuto tranquillamente essere un singolo apripista pseudo-mainstream degli ultimi Sonata Arctica o dei Nightwish. "You're Not Alone" è un brano power tradizionale veloce e scanzonato, con un spruzzata hard rock conferita dall'organo Hammond che potrebbe ricordare gli Edguy di "Hellfire Club". Per un attimo tornano le atmosfere futuristiche della prima traccia, ma dopo pochi secondi "Mirrorworld" ci catapulta nuovamente (e svogliatamente) negli Anni Ottanta. "State Of My Despair" parte bene ma l'evoluzione non è all'altezza (con un Breed che in alcuni frangenti ricorda André Matos) e prelude a "The Unborn Never Die", altro insipido tributo alle glorie dell'heavy-power di trent'anni fa che del "gran finale" ha ben poco.

Passo falso? Sicuramente sì. Come mai? Non saprei proprio. Il secondo disco è sempre più "difficile" del primo per svariati motivi ma con questa uscita i Serious Black rischiano davvero di compromettere quanto di buono fatto nel recente passato...
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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