Canada: Prog-AOR modern-day warriors.

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“Ritornare”, in tutte le sue varie declinazioni e morfologie linguistiche, è probabilmente una delle forme verbali più utilizzate nelle recensioni musicali degli ultimi anni, ed è innegabile che qualche volta alcuni dubbi di “opportunità” si scontrino con la “fascinazione” che una “vecchia gloria” ispira in maniera pressoché ineluttabile.
La pratica della riproposizione rivisitata dei “classici”, poi, è un’altra di quelle operazioni spesso discutibili cui ci ha abituato la discografia recente, un sistema per testare l’interesse del pubblico senza correre troppi “rischi” che può finire anch’esso per alimentare più di una perplessità.
Ci sono situazioni appartenenti alle tipologie descritte che, invece, rappresentano un autentico “atto di giustizia”, offrendo un’opportunità di sacrosanta rivalutazione a soggetti artistici “criminalmente” sottovalutati: è questo sicuramente il caso dei riminesi Canada, una formazione “risorta” grazie ad una generosa retrospettiva (“Afterimage”) e che, nell’attesa di un lavoro d’inediti (“Of Once And Future Kings”), “ricicla” proficuamente un pezzetto di quel sottostimato “passato” e lo ripropone (nel brillante Ep “ReCycled”) con prorompente forza espressiva, capace di conferire una chiave sonora maggiormente “contemporanea” al suo intramontabile estro compositivo.
Massimo Cillo, leader storico della band, ci racconta i termini di quella che oggi, con quest’appassionante “ritorno”, possiamo definire una “bella storia”, che meritava di essere ripresa e che per una “lieta prosecuzione” ha solo bisogno dell’attenzione che si riserva al talento vero.

Ciao Massimo, è un grande piacere ospitare te e i Canada sulle pagine “virtuali” di Metal.it … benvenuti e … bentornati! Cominciamo con il presentare ai nostri lettori la vs. nuova “fatica discografica” intitolata “ReCycled”: quattro pezzi del vs. storico repertorio riproposti in versione risuonata e riarrangiata e una cover di “Tom Sawyer” dei monumentali Rush … dopo la retrospettiva “Afterimage”, da cosa nasce questa esigenza di “riciclaggio” (assai proficuo, peraltro …)?
Ciao, dopo aver pubblicato “Afterimage”, ho sentito la necessità di suonare nuovamente le mie canzoni dal vivo, anche se erano passati più di venti anni dall’ultima volta che ciò era successo.
Costatata l’impossibilità di riformare la band con gli elementi originali, mi sono concentrato sulla ricerca di nuovi musicisti che mi potessero aiutare a riportare il mio progetto su un palcoscenico, davanti a un pubblico.
La scelta è caduta su Massimo Arke, chitarrista e compositore della band death metal Opposite Sides e su Tiziano Fabiani, batterista marchigiano con un passato da turnista professionista e in possesso di uno stile funky con molti punti di contatto con Gavin Harrison dei Porcupine Tree e Bill Bruford.
Con questa formazione siamo andati a esibirci a Treviso, in un festival progressive denominato “ExProg”, che vedeva la partecipazione, tra gli altri, delle Orme, dei Marillion, dei The Watch e di Tony Levin con il suo gruppo.
Da qui è nata l’esigenza di registrare un cd che contenesse le canzoni del repertorio degli anni 80 con gli arrangiamenti e le sonorità che avevamo avuto l’occasione di presentare in concerto. Semplicemente per lasciare una testimonianza concreta di ciò che avevamo fatto con quel materiale.
Come anticipato, ho apprezzato molto il trattamento di aggiornamento tecnico e di misurata revisione nell’approccio musicale che avete applicato ai brani, conferendo loro, senza perdere una stilla dell’originale forza espressiva, una nuova luce in qualche modo più “contemporanea” … come avete scelto i pezzi e quali erano gli obiettivi che vi eravate prefissi nell’affrontare quest’operazione?
La scelta dei pezzi è stata dettata dal desiderio di riprendere lo stile originale dei Canada, stile caratterizzato da frequenti contaminazioni progressive inserite su una base AOR. Ho, quindi, deciso di lasciare fuori le canzoni più commerciali, come “Broken Heart”, “Valerie”, “Goodbye Patricia” e di riarrangiare le composizioni all’interno delle quali era più facile sentire le mie radici legate al rock progressivo più classico e al progressive metal.
L’obiettivo era di portare il nome dei Canada all’attenzione di un pubblico più giovane, ragazzi che erano appena nati quando io scrivevo quella musica e che magari potevano trovare “Afterimage” ostico per via dei suoni necessariamente datati e non al passo con i tempi.
Una piccola curiosità … è vero che “Eyes on you” originariamente era rivolta alla schermitrice (e in seguito anche ciclista) Dorina Vaccaroni? Se sì (e la memoria mi “sostiene” ancora …), quali erano le motivazioni di una dedica così “particolare”?
Fantastico! Ti ricordi della dedica a Dorina Vaccaroni! Sì, hai ragione, “Eyes On You” è stata scritta proprio per essere dedicata a questa grandissima campionessa della scherma italiana.
A metà degli anni 80, Dorina era un personaggio famosissimo. Oltre a essere una schermitrice eccezionale era anche una ragazza di una bellezza unica, bellezza che lei faceva risaltare indossando gioielli e monili anche quando combatteva in pedana. Non mi sono perso una sua gara e il mio desiderio era poterla incontrare di persona, occasione che, ovviamente, non ho mai avuto.
Anche la rilettura di uno dei vs. innegabili gruppi-guida mi è sembrata particolarmente lucida e appassionata … come mai avete scelto proprio questo brano, tra le miriadi di capolavori Rush-iani che avevate a disposizione?
“Tom Sawyer” è il manifesto dell’individualismo. Amo quella canzone in modo particolare perché mi ci identifico totalmente. Sono un estimatore degli scritti di Robert Nozick, filosofo americano di scuola libertaria/anarco-capitalista, di Leonard Peikoff, altro filosofo libertario di derivazione oggettivista e ho letto quasi tutti i libri di Ayn Rand, sia relativi alla fiction (“La Fonte Meravigliosa”, “La Rivolta di Atlantide”, “Antifona”) sia relativi alla saggistica (“La Virtù dell’Egoismo”). Quando si è trattato di scegliere una composizione dei Rush non potevo che dirigermi verso l’album “Moving Pictures” e verso “Tom Sawyer” nello specifico.
Ho gradito molto pure la suggestiva veste grafica dell’Ep (al pari di quella di “Afterimage”, a dire la verità!) … ci racconti qualcosa dei suoi artefici e del suo significato?
Sia la copertina di “reCycled” che quella di “Afterimage” sono opera del Tribalfunk Image Studio, in altre parole: il sottoscritto. Svolgendo la professione di grafico editoriale e illustratore, infatti, ho pensato di occuparmi personalmente della direzione artistica e della veste grafica dei dischi che produco, sviluppando per immagini le idee e i concetti che voglio esprimere. In particolare, il significato della copertina dell’Ep è da ricercare nel tentativo, da parte dell’individuo, di salvarsi dall’opera di massificazione messa in atto dalla società moderna, mirata alla cancellazione dell’ego in favore di una più controllabile coscienza collettiva. Nello specifico, la terra cerca di inghiottire l’uomo, che ha già visto inaridire la sua stessa essenza, al fine di riciclarlo come prodotto da consumo di massa, molto più facilmente controllabile e condizionabile.
Impossibile, per una band con la vs. “storia”, non indugiare nel classico “tuffo nel passato” … i Canada iniziano sotto i migliori presupposti, con il sostegno della critica, ma non riescono ad imporsi come meriterebbero. E’ un po’ il destino di tante altre formazioni italiane, in un panorama prodigo di approssimazione, ingenuità e “invidie” e forse non vi hanno aiutato scelte ispirative non molto trendy dalle nostre parti. Insomma, Massimo, analizzando l'intera faccenda a posteriori, cosa non ha funzionato a dovere?
Partirei da un presupposto fondamentale: avevamo pochi soldi da investire nel progetto. I Canada sono rimasti ai margini del movimento metal italiano perché non avevamo la possibilità economica di finanziare la realizzazione di un album. La cosa era molto frustrante perché avevamo il pieno appoggio della critica, ma allo stesso tempo eravamo confinati a Rimini, città priva di una cultura legata alla musica rock e a quei tempi completamente assorbita dall’idea di fabbrica del divertimento da discoteca. Non c’erano studi di registrazione seri, mancavano i tecnici specializzati. La città più vicina per tentare di realizzare i nostri sogni era Bologna ma era utopistico anche solo pensare a un trasferimento, non esistevano né i mezzi né le possibilità. Il ripiego era la registrazione di demo-tape, a volte con mezzi di fortuna, nella speranza che il talento che tutti ci riconoscevano fosse sufficiente per arrivare in cima. Contemporaneamente, però, Torino aveva gli Elektradrive e Bologna i Danger Zone, entrambi con ben altre possibilità a disposizione e a noi sono rimaste le briciole.
In secondo luogo, sicuramente, non ha aiutato il nostro stile musicale. In anni durante i quali glam-rock e trash-metal la facevano da padrone, presentarsi citando Rush, Kansas e Asia come fonti d’ispirazione era il massimo dell’autolesionismo.
La parentesi cantata in italiano (con il demo “Mr. Gone”, del quale, francamente fino alla retrospettiva “Afterimage”, ignoravo l’esistenza!) è stato il vs. “canto del cigno” fino ai tempi recenti … come nacque l’idea di questa “conversione”? L’utilizzo della madrelingua, con la quale avete dimostrato di avere una notevole “confidenza” espressiva, è un’opzione che avete accantonato del tutto?
L’idea del demo “Mr. Gone” nacque a seguito della richiesta, da parte di un promoter di Roma, di avere i Canada tra le band che si sarebbero dovute esibire nel contesto di uno spettacolo, che si sviluppava in due serate, da organizzare presso l’hotel Holiday Inn, in località quartiere EUR. Era il 1995. Io non avevo mai annunciato lo scioglimento del gruppo ma, di fatto, la band non esisteva più da cinque anni.
Presi contatti con il batterista originale e gli proposi la cosa, rilevando che sarebbe stato coinvolto anche un nuovo giovane chitarrista che avevamo conosciuto qualche tempo prima. Il problema risiedeva nel fatto che non avevamo canzoni da proporre, dato che non avevo nessuna intenzione di andare a Roma portando tutta l’attrezzatura (bassi, chitarre, tastiere, bass pedals) che aveva caratterizzato le mie esibizioni durante la decade precedente. Furono essenzialmente due i fattori che mi portarono a scrivere quelle canzoni. Da un punto di vista di sonorità ero completamente assorbito dalla musica dei King’s X e questo credo si possa notare dall’attitudine più ruvida e aggressiva che caratterizzava quel materiale e dal ricorso frequente a cori e parti cantate a più voci. In seconda battuta, inoltre, i primi anni 90 avevano visto il successo di band nazionali, come i Negrita ad esempio, che avevano ottenuto un buon riscontro di pubblico cantando in italiano. Cercai, semplicemente, di sfruttare l’occasione per ripartire, concedendo ai Canada nuove possibilità che ci portarono ad avere contatti con la RTI per la pubblicazione di un disco. Inutile dire che, anche in quell’occasione, non fummo molto fortunati nella scelta delle persone che ci avrebbero dovuto traghettare sino alla firma del contratto.
Considero, comunque, conclusa l’esperienza con il cantato in madrelingua. Sinceramente non ne ero del tutto convinto neanche allora.
Ci sono voluti una quindicina d’anni per farvi tornare alla “vita artistica” … quali sono stati gli stimoli decisivi per la reunion? Passione incontenibile, voglia di “riscatto”, la consapevolezza di un momento storico di grande rivalutazione del “passato”, …? E in questo senso cosa ha rappresentato per voi la pubblicazione di “Afterimage”?
Nel 2009 avrei voluto ricordare in qualche modo il ventennale della pubblicazione della raccolta “Surgery of the Power”, disco che conteneva in scaletta la canzone “Don’t Throw Your Heart” che noi avevamo inciso per un EP intitolato “Endless Pictures”, mai pubblicato e in seguito trasformato in un demo-tape.
Questa idea mi condusse solamente a una serie d’incomprensioni con Marco Casadei che dei Canada è stato il batterista per tutti e dieci gli anni della loro storia. Il risultato fu, purtroppo, la rottura di un’amicizia che durava da ventinove anni, rottura di cui, a tuttora, mi sono oscure le motivazioni.
In ogni caso, per coincidenza, fui contattato dal curatore di un portale internet dedicato al metal che mi chiedeva la disponibilità per un’intervista retrospettiva sui Canada.
Inutile dire che pensai inizialmente a uno scherzo ma il grande entusiasmo di questo ragazzo mi convinse della bontà dell’idea: a quel punto il vaso era aperto.
Spinto da un art director milanese con cui collaboravo, scrissi a Gianni Della Cioppa, il famoso giornalista e titolare dell’etichetta Andromeda Relix e gli proposi l’idea di una raccolta che contenesse tutto il materiale pubblicato dai Canada su demo e vinile dal 1987 al 1995. La risposta fu positiva e nacque “Afterimage”.
Inutile porre l'accento sull’importanza che per il sottoscritto ha quel cd: al suo interno sono racchiusi tutti i sogni che avevo da ragazzo e gli anni più belli della mia vita.
Il regista Stefano Pozzan ha scelto una delle vs. canzoni (“Niente a parte l'amore”) per il suo film “I giorni di ieri”, presentato al 67mo Festival di Venezia … una bella soddisfazione … un segnale importante di sacrosanto riconoscimento?
È stata una sorpresa meravigliosa. Ho ricevuto la notizia dell’inclusione della canzone nella colonna sonora del film direttamente da Gianni Della Cioppa. Ero in ufficio. Mi sono alzato dalla mia scrivania e sono andato a chiudermi in bagno. Mi veniva da piangere. Non scherzo. È stata una soddisfazione enorme. Avere una mia canzone legata a un supporto diverso da un disco e allo stesso tempo importante come una pellicola cinematografica mi ha fatto sentire come se quella musica avesse trovato una sua collocazione indelebile e una sua realizzazione definitiva.
Inoltre si tratta di cinema d’autore e Stefano Pozzan è veramente un bel talento.
Dopo la partecipazione al festival progressive “ExProg”, in compagnia di Le Orme, Carl Palmer Band, Marillion e Tony Levin Trio, a cui hai accennato in precedenza, quali sono le prospettive di esibizione live per i Canada? E già che ci siamo com’è stata quell’esperienza?
L’esperienza di “ExProg” era da fare. Avrei desiderato arrivarci con un livello di preparazione migliore ma resta un ricordo molto importante. Noi ci siamo esibiti nel giorno dedicato ai The Watch e al Tony Levin Trio e l’unico rammarico riguarda il numero di persone accorse per l’evento. Sicuramente poche ad eccezione del concerto dei Marillion che, notoriamente, hanno un seguito consistente.
In ogni caso è stata un’occasione importante per promuovere “Afterimage” che era appena uscito.
A proposito delle prospettive di esibizione live direi che, al momento, non ce ne sono per nulla. La registrazione del nuovo album sta richiedendo tutto il tempo disponibile.
E ora una delle domande più attese … a che punto è la lavorazione del nuovo “Of Once And Future Kings”? Ci puoi dare qualche anticipazione sul suo contenuto lirico e musicale?
“Of Once and Future Kings” è in fase di registrazione e contemporaneamente di ultimazione della fase compositiva. Può sembrare uno strano modo di lavorare ma per quelle che sono le mie dinamiche è il modo ideale di procedere. Di fatto, scrittura, arrangiamenti e incisione procedono quasi contemporaneamente allo scopo di contenere il più possibile le tempistiche di realizzazione del disco.
Di base si tratta di un album concept. Il tema è quello a me caro dell’individualismo in contrapposizione alle ideologie socialiste e religiose che, nei secoli, hanno portato l’uomo quasi sulla soglia dell’annientamento.
Ci sono contatti con i film di Romero anche se con il punto di vista completamente ribaltato e una grossa influenza simbolica viene anche dallo scrittore americano Richard Matheson.
Musicalmente sarà sempre caratterizzato da un crossover AOR/Progressive metal/Progressive rock, vero marchio di fabbrica dei Canada sin dagli esordi.
Da “veterano” del settore ti chiedo un parere sulla “scena” attuale se confrontata con quella dei tuoi esordi … cosa rimpiangi dei “vecchi tempi” e cosa invece ritieni sia migliorato nel coso degli anni?
Onestamente dei vecchi tempi rimpiango solamente i miei vent’anni!
La scena attuale e quella degli anni 80 mi sembrano simili a proposito di rapporti tra band, addetti ai lavori e musicisti. A favore c’è che ora il livello qualitativo mi sembra essersi alzato paurosamente.
Una volta era inconcepibile pensare di essere competitivi con l’estero. Ora, invece, dal nostro paese (volutamente minuscolo) escono band fantastiche che propongono dischi che nulla hanno da invidiare a quelli stranieri.
Pensa che ho spedito “reCycled”, a scopi promozionali, alla Musea in Francia e alla ProgRock Records negli Stati Uniti e i responsabili di entrambe le etichette si sono dichiarati entusiasti della musica ascoltata e pronti a collaborare con i Canada per l’uscita del prossimo disco. La risposta è stata immediata. Una volta non sarebbe mai successo. Significa che la scena rock/metal italiana ha acquistato attendibilità e valore a livello internazionale e ciò è semplicemente straordinario.
Domandina un po’ “pericolosa” … commenta questa frase attribuita al compositore Jean Sibelius "Non prestare attenzione a quello che dicono i critici … ricorda, non è mai stata eretta una statua in onore di un critico!" …
Frank Zappa era ancora più duro: “I critici musicali sono persone che non sanno scrivere che intervistano persone che non sanno parlare per un pubblico che non sa leggere”.
Dichiariamo la verità … a tutti interessa il parere di un critico. Si potrà anche dissimulare disinteresse ma tutti vogliamo essere considerati, fa parte della natura narcisista dell’essere artisti.
Viviamo nel desiderio perenne di sapere cosa si pensa di noi, esaltandoci per l’apprezzamento ricevuto oppure soffrendo tremendamente per commenti negativi o che disattendono le nostre attese. Senza il lavoro di un critico, che porta a conoscenza collettiva lo sforzo del nostro ego, saremmo nessuno.
Siamo alla fine … grazie di tutto e a te il “microfono” per il consueto epilogo a “schema libero”!
Innanzi tutto grazie a te Marco. Grazie a tutti voi di Metal.it per l’apprezzamento rivolto alla mia musica. Tornare non è stato facile ma grazie a persone e ad appassionati come voi la strada per portare i Canada a un riconoscimento importante anche se postumo e forse fuori tempo massimo mi sembra ora meno impervia.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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