Arpia: parole di musica, musica di parole.

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Gruppo:Arpia

Qualche tempo fa ho cercato di raccontarvi come Rock e Letteratura si siano uniti, in modo assai raro e prezioso, nelle spire vorticose di “Racconto d’inverno”, al tempo stesso un romanzo che regala immaginifici “suoni” alla parola scritta e un disco che impregna il suo suggestivo contenuto musicale con il fascino straordinario della poesia e della narrazione “gotica”.
Un viaggio seducente ed emozionante attraverso i paesaggi cangianti dell’anima e dell’immaginazione che ha come catalizzatore primario l’interlocutore di quest’attesissima (almeno dal sottoscritto!) intervista, Leonardo Bonetti, il quale è sia illuminato autore di uno dei libri più avvincenti dell’anno e sia ispiratore e artefice appassionato di un Cd che, ovviamente anche per merito dell’imprescindibile contributo degli altri Arpia, continua a riservarmi momenti di pura esaltazione uditiva ed emotiva.
I suoi pensieri e i concetti che troverete espressi qui di seguito, uniti alla storia stessa dell’imprevedibile band capitolina, non fanno che confermare ulteriormente la natura unica e carismatica di un genere d’artisti che difficilmente arriva a conquistare le “grandi copertine” (purtroppo!), ma che, alimentato da un’enorme personalità, cultura e da smisurati impulsi creativi, prosegue nel suo percorso di vita e di composizione con istintività, vitalità intellettuale e con il temperamento di chi crede ancora nel potere evocativo ed espressivo “dell’arte”, intesa come valore “globale”, lontano da cristallizzazioni, snobismi e dalla caducità dei trend dominanti.

Innanzi tutto, grandissimi complimenti per “Racconto d’inverno”, un lavoro per il quale bisognerebbe spendere mille parole d’apprezzamento, alla fine sintetizzabili in una sola … Imperdibile.
Iniziamo con una piccola provocazione … In “Terramare” avete trattato di Eros e riscoperto i poeti italiani del Duecento e oggi, incuranti delle complicazioni dovute alla “crisi globale”, ritornate addirittura con una sorta d’opera “multimediale”, per quanto splendidamente attrezzata ad una fruizione singola … confermate che le cose “semplici” non Vi piacciono proprio, eh …
Grazie per i complimenti, innanzi tutto… non erano scontati e fanno sempre enorme piacere.
Per ciò che riguarda la tua provocazione la accetto volentieri. Credo, infatti, che sia importante sfidare se stessi fino in fondo per cercare di dare risposta alle esigenze più profonde: a dire il vero non vogliamo mai “fare le cose difficili”, sennonché è la difficoltà stessa della realtà a chiamarci a queste prove. E in questo, ti assicuro, non c’è alcun calcolo, visto che all’inizio l’idea di ciò che avremmo fatto era completamente diversa.
Detto ciò, direi di passare a chiederti quali sono le fonti d’ispirazione di quest’opera, da dove nasce l’esigenza di cimentarti anche tramite la “tradizionale” parola scritta, se hai avuto da subito un’idea chiara della storia complessiva e ancora se la concezione di questa “compenetrazione” tra musica e romanzo si è materializzata immediatamente o si è invece trattato dell’effetto di un procedimento “in progress” durante la stesura dell’una o dell’altro …
All’inizio, lo ripeto, non c’era alcuna intenzione di scrivere un libro. L’idea iniziale, infatti, era quella di musicare un romanzo di uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano: mi riferisco al “Racconto d’autunno” di Tommaso Landolfi. Ho provato leggendo e rileggendo il testo per tre mesi. Senza risultati apprezzabili. A quel punto ho capito che avrei dovuto riscrivere io la storia, scrivere cioè a partire da quel libro, dal Racconto landolfiano, voglio dire. Così ho sviluppato la vicenda dall’incipit per poi proseguire per la mia strada, dando spazio libero alla mia immaginazione. E nel far questo sono passato pendolarmente dall’una all’altra forma di linguaggio: dalla musica alla parola e viceversa. Così che non so distinguere bene tra i due oggetti: libro e cd.
“Racconto d’inverno” conquista con le sue peculiarità vicine alla letteratura gotica, con richiami a quel “sublime del terrore” che svela angosce e inquietudini filosofiche e spirituali da sempre presenti nell’animo umano. Si tratta di un approccio narrativo piuttosto “familiare” alla storia degli Arpia, ma vorrei comunque che ci spiegassi i motivi di questa scelta espressiva.
Questa scelta era dettata da un’esigenza profonda, dalla consapevolezza che quei territori erano necessari per poter partire da zero, per fare piazza pulita della tendenza all’omologazione che mi sembra di cogliere nella produzione letteraria contemporanea. Insomma bisognava rivolgersi al romanzesco del fantastico così come aveva fatto Landolfi alla metà del Novecento, e sostanzialmente perché zona fondamentalmente inesplorata dalla tradizione letteraria italiana. D’altronde, come hai detto giustamente, Arpia ha da sempre provato a cimentarsi con questo tipo di letteratura. Penso ad esempio al primo demo, “de lusioni”, dove adattammo musicalmente “La mascherata della Morte Rossa” di Edgar Allan Poe. Credo, infatti, che il fantastico in letteratura sia terreno propizio alla ricerca, sia dal punto di vista filosofico che da quello stilistico. Inoltre il contesto estremo del paesaggio selvaggio d’alta montagna durante l’inverno, e la guerra civile sullo sfondo, sono elementi utili a togliere qualsiasi appiglio al lettore, per imporgli un regime terribile e spietato che non gli permetta difese e lo costringa a spogliarsi di ogni sovrastruttura. “Racconto d’inverno”, da questo punto di vista, credo sia un romanzo che provoca reazioni e non indifferenza.
Pur avendo sempre apprezzato il tuo stile di composizione, ho trovato veramente sorprendente la tecnica di scrittura adottata nel romanzo, ricca di descrizioni minuziose e al tempo stesso agili ed emozionanti. Le raffigurazioni della natura, degli stati d’animo e della casa sono incredibilmente dettagliate e suggestive, quasi le avessi “vissute” in prima persona … A questo punto sono curioso di conoscere i passi fondamentali del tuo apprendistato letterario e qual è il “segreto” di un “debutto” così riuscito anche sotto il profilo stilistico…
Non saprei bene cosa dirti. Mi sono cibato di letteratura e poesia sin dall’adolescenza, ho studiato e mi sono cimentato, da sempre. Musica e parola per me sono elementi plasmabili di una materia che si rinnova continuamente, per cui non ci sono aspetti propedeutici che possano spiegare. Scrivo essenzialmente proprio come facevo trent’anni fa, con in più trent’anni di letture. E ovviamente sono felice del tuo così sincero e totale apprezzamento. Questo, te lo assicuro, per me vale più di ogni altra cosa.
Ed arriviamo ai temi pregnanti dell’opera, almeno dal mio punto di vista … una fuga dalla realtà che non può concretizzarsi, una guerra civile insensata e talmente devastante negli effetti da voler distruggere ogni legame con il mondo che non ha saputo evitarla, con i tre enigmatici protagonisti senza nome che ci conducono in questa profonda indagine interiore e spirituale tra concetti quali amore, soprannaturale, rassegnazione, carnalità, eternità e morte, e ancora il dibattersi dell’io narrante tra volontà e fiducia sullo sfondo di un’ambientazione lacerata ed enigmatica come lo spirito stesso dei personaggi che animano la vicenda… Vorrei che ci dicessi qualcosa su quest’affascinante viaggio nella parola, nella poesia e nella coscienza …
Sì, dici bene, la volontà e la fiducia sono due aspetti polari dell’opera. Lo sbandato, infatti, braccato da bande d’armati che imperversano nella zona, vorrebbe passare il confine e quando s’imbatte, dopo una discesa vorticosa tra gole selvagge, nell’abitatore di una casa nascosta da un’antica faggeta, ha l’occasione per poter risolvere questa dicotomia. Il bambino-guida, infatti (così lo chiama durante il corso del suo viaggio) gli suggerisce a più riprese che l’unico modo per passare l’altopiano e la catena dei monti che lo separa dal paese più vicino è nell’affidarsi completamente alla natura profonda delle cose e di se stessi. Ma lo sbandato è uomo che rifiuta ogni abbandono, se non in alcuni frangenti di debolezza; non vuole affrontare fino in fondo la sfida necessaria alla propria evoluzione interiore.
Il fallimento del viaggio costringerà quindi il protagonista e la sua guida a ritornare nella casa. Lì egli avrà una seconda possibilità, offerta dalla sorella scomparsa della guida. Ma di più non posso dire.
Come ho scritto in sede di recensione, il Cd non è altro che una trionfante trascrizione sonora delle peculiarità immaginifiche e delle profondità emozionali, poetiche e intellettuali così copiosamente riscontrate nella pagina scritta, per la quale avete scelto un’ambientazione prettamente acustica. Come avete concepito la componente musicale e come avete ottenuto un risultato così organico, in cui, come dice il materiale promozionale “[…] la musica non viene dopo la parola né viceversa”? Quali sono stati i passaggi più critici nell’allestimento dell’album?
Il momento più difficile è stato quello iniziale. Infatti la scelta acustica ci ha costretti ad una profonda rielaborazione degli schemi cui eravamo pervenuti dopo più di vent’anni di musica. L’uso stesso della sezione ritmica è notevolmente cambiato; gli strumenti suonati hanno subito radicali cambiamenti, tanto che oggi dal vivo suono la chitarra al posto del basso e in alcuni casi Aldo usa sessioni percussive al posto del set più tradizionale. Fabio è stato costretto ad una revisione nell’uso dei fraseggi e la cantante ha toccato corde e tonalità finora inesplorate. Insomma questo “Racconto d’inverno” ha messo in crisi prima di tutto noi stessi.
Ma i risultati ci ripagano di ogni sforzo. Senza contare che questo percorso ha portato in noi un’evoluzione musicale facilmente riscontrabile all’ascolto. Eravamo anche noi degli “sbandati” chiamati ad una prova di trasformazione; trasformazione, oltretutto, nella continuità. Arpia è Arpia. Non cambia nella sua sostanza profonda. Non basta suonare un disco acustico per fare folk-rock. La matrice più inquietante e visionaria della nostra vena resta inalterata, anzi addirittura potenziata, se possibile.
Nell’epilogo della mia recensione ho scelto di utilizzare la definizione “rock d’autore”. Ti piace e ti riconosci in tale forma di “catalogazione”?
Non riesco mai ad essere soddisfatto di alcuna catalogazione. Non è un difetto di chi la opera, ma sostanzialmente delle formule stesse poste di fronte alla musica o alla poesia. Questa, in ogni caso, ha il merito di utilizzare due termini assolutamente adeguati a ciò che facciamo.
“Racconto d’inverno” è il tuo esordio nel mondo dell’editoria. Qual è la tua valutazione su questo “universo”, anche nei confronti di quello discografico, che viceversa frequenti da parecchi anni? Insomma, è stato più facile trovare interlocutori adeguati per il libro o per il disco? E ancora, come siete arrivati al contratto con la prestigiosa Musea?
L’editoria ha parecchi problemi ma sicuramente meno gravi e profondi del mondo discografico. Sicuramente non è facile pubblicare per un editore prestigioso come Marietti, ma credo che il fatto che ci siamo dovuti rivolgere all’estero per il CD fa capire come in Italia sul versante discografico le cose non siano proprio idilliache.
Come scrittore sono un esordiente e la Marietti, nella persona di Giovanni Ungarelli, ha avuto il merito di andare alla sostanza del testo senza ulteriori condizionamenti. Di questo non posso che dargliene atto pubblicamente.
Alla Musea siamo arrivati grazie al nostro manager Richard Tedeschi che ha mandato il materiale e ha avuto una risposta positiva al primo ascolto.
Paola Feraiorni, ancora una volta straordinaria peraltro, non è più un’ospite come su “Terramare”, ma nel nuovo Cd è accreditata come un membro effettivo degli Arpia, un gruppo storicamente “immutabile” nella line-up fondamentale … un piccolo “evento” che merita, credo, un breve commento …

Paola Feraiorni è la voce che completa Arpia. Con “Racconto d’inverno” questa fusione è avvenuta in modo radicale e profondo. Le sue capacità vocali sono in questo disco pura espressione e non rimangono mai episodi slegati. La sua non è mai tecnica ma una sottile e vibrante sensibilità vocale.
Anche in “Racconto d’inverno” Vi siete avvalsi del contributo estetico del pittore Ettore Frani … Cosa ci puoi dire su questa proficua collaborazione?
Con Ettore ci siamo scoperti sin da subito, cinque anni ormai, e la sintonia profonda nella più completa autonomia ci ha guidato in tutte le nostre collaborazioni. Il rispetto che ci lega è reciproco e non lascia spazio ad ambiguità. La copertina e il libretto sono in questo caso un vero gioiello, con i nostri volti all’interno impressi con una tecnica molto particolare.
So che siete stati impegnati in alcune rappresentazioni “live” di “Racconto d’inverno”, tra l’altro sfruttando ambientazioni “inusuali” e adeguatamente suggestive (come la Chiesa di S. Maria di Falleri e il Teatro Agorà). Continuerete seguendo questo percorso?
Sì, credo che continueremo a tentare strade alternative a quelle tradizionali. Ma anche se suonare in un’abbazia è stato emozionante, questo non c’impedirà di tornare molto presto anche sul palco di qualche locale.
A questo punto, per completare il “quadro” complessivo delle “arti”, non mancherebbe che lo “sconfinamento” nel campo squisitamente cinematografico. Dopo l’esperienza passata con la video artista Maria Pizzi, e tenuti in considerazione i richiami allo “Stalker” di Andrej Tarkovskij, avete qualcosa in serbo anche da questo punto di vista?
Questo lo prendo soprattutto come un augurio. Sarebbe estremamente interessante tentare una qualche collaborazione nel campo cinematografico, ma forse ancora le cose non sono abbastanza mature. Speriamo che nei prossimi mesi possa venire qualche novità anche da questo versante.
Forse è un po’ prematuro parlarne, ma immagino che non sarà affatto facile dare un degno seguito ad un’opera così impegnativa e affascinante come “Racconto d’inverno”, che rischia di diventare un precedente davvero “oneroso” per la Vs. parabola artistica. Avete mai pensato ai “rischi” insiti in una pubblicazione di questa portata?
È vero, non sarà facile dopo “Racconto d’inverno”, ma non credo che si possa prevedere esattamente il percorso futuro. Fatto sta che molta musica abbiamo già in cantiere, ed anche molti progetti. Non tutti purtroppo possono vedere la luce, ma l’importante è proseguire senza limitazioni e condizionamenti. Le cose, credo, verranno da sole e tutto sarà così ancora più stimolante.
Etichetta francese, management con sede a Londra, arte italiana … Gli Arpia sono diventati uno dei pochi esempi di feconda collaborazione europea?
Credo sia un caso, anche se il caso forse non esiste se non è un po’ aiutato. D’altronde a volte si tratta anche di necessità, come per la circostanza della pubblicazione con la Musea. Fatto sta che siamo un gruppo profondamente italiano, radicato senza tentennamenti nella nostra cultura e nella nostra lingua. E proprio per questo, forse, il legame con la cultura europea è inevitabilmente molto forte.
Nella precedente intervista avevi accennato ad una riedizione dei Vs. vecchi lavori. Un progetto che si è concretizzato?
Purtroppo è uno di quei progetti che ancora non hanno visto la luce, ma a cui siamo molto legati. Speriamo veramente di avere in futuro il tempo e gli strumenti necessari per poter pubblicare soprattutto una nuova versione di “Resurrezione e Metamorfosi”, demo cui siamo profondamente affezionati.
Visti gli eccellenti risultati, continuerai la tua attività di scrittore, magari anche “solo” in parallelo a quella di musicista?
Sì. Ho già altri testi a cui sto lavorando proprio in questo momento. Spero che nei prossimi anni possano essere pubblicati e avere il riscontro positivo che sta avendo “Racconto d’inverno”.
L’intervista, per quanto mi riguarda, è finita. Nel ringraziarti per tutto, disponibilità compresa, e nel salutare te, pregandoti di estendere il saluto anche agli altri componenti degli Arpia, non mi resta che lasciarti la possibilità di sfruttare quest’ultimo spazio come meglio credi …
Innanzi tutto voglio ringraziarti per la sensibilità e l’apertura che hai dimostrato nei confronti di questo nostro impegnativo ed ambizioso lavoro. Non è facile trovare giornalisti così preparati e attenti alle novità più estranee alle mode del momento.
Infine un saluto caloroso a tutti i lettori di EUTK sperando che vogliano farci dono della loro attenzione leggendo e ascoltando “Racconto d’inverno”.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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