(11 luglio 2008) Evolution Festival 2008 - Day I (11/07/08)

Info

Provincia:MI
Costo:40 euro
L'Evolution Festival di quest'anno, il quarto, si sposta a Milano e precisamente all'Idroscalo. E parte un pochino con il freno a mano tirato in questo venerdì, complice una bill che non regge molto il confronto con quella del secondo giorno. Neanche la scelta del giorno stesso gioca a favore essendo quest'ultimo lavorativo. Eppure nonostante tutto questo le attrattive non mancano a partire dai tre ottimi gruppi italiani ai quali è stato assegnato il compito di scaldare i, pochi a dir la verità, presenti fino ad arrivare alla prima calata italiana dei Cavalera Conspiracy dal forte sapore Sepultura, quelli veri.
Il sole è alto nel cielo quando si aprono i cancelli dell'Idroscalo. La location è ben nota, con tutti i suoi pregi e difetti, ma sin da subito si ha l'impressione di un'organizzazione molto efficiente, a partire dalla disposizione del Metal Market per arrivare ai bagni (in muratura) in cui veniva cambiata persino la carta igienica. Ma non c'è quasi tempo per queste considerazioni, i Valdostani Illogicist sono già sul palco, pronti a far abbattere sul pubblico la prima scarica di metallo rovente della giornata...

Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri


Illogicist

Il primo gruppo ad esibirsi sul palco dell’Evolution 2008, sotto un sole già cocente, sono gli Illogicist di Aosta.
Nella mezz’ora a loro disposizione, i quattro musicisti riversano sul pubblico presente una manciata di brani tratti dai due album finora pubblicati, “Subjected” e “The Insight Eye”, con ottimi risultati. Il death metal di Luca Minieri e compagni è tecnico, potente ed eseguito con perizia e precisione chirurgica: l’influenza di gruppi come Death e Atheist è evidente, ma gli Illogicist dimostrano di avere già raggiunto una compattezza e un impatto già notevoli. Menzione speciale per il batterista Alessandro Tinti, davvero ottimo a livello tecnico, anche se tutta la band offre una performance di tutto rispetto. L’Evolution 2008 non poteva iniziare in modo migliore.

Michele "Freeagle" Marando


Dark Lunacy

Il secondo gruppo di questa giornata sono degli abitués dell'Evolution Festival, i Dark Lunacy che giungono con questa partecipazione ad un tre su quattro. Forti di uno straordinario ultimo album, The Diarist, e dell'innesto di Mary Anne alla chitarra ritmica hanno tutte le carte in regola per rendere molto piacevole la mezz'ora che hanno a disposizione. E sin dall'opener dimostrano di voler far valere queste loro potenzialità. Il Canto del Volga li accoglie sul palco preannunciando la bellissima Aurora, opener del loro ultimo album. Il gruppo appare sin da subito totalmente a suo agio, sia dal punto di vista dell'esecuzione che con il pubblico, del quale cercano e trovano il calore. Mary Anne colma quel senso di vuoto che si provava nelle sezioni dominate dalla chitarra solistica e il gruppo ne trae vantaggio riuscendo ad offrire una trama musicale bilanciata e piena sulla quale poggia l'ottimo growling di Mike. Le canzoni si susseguono veloci, Play Dead prende il testimone come logico seguito della traccia precedente, seguita subito da un'accoppiata vincente dell'esordio del gruppo: Forlorn con i suoi maestosi cori e Dolls, forse la canzone più conosciuta del gruppo parmigiano. Gli astanti dimostrano di gradire questa dose di Drammatic Death Metal e si giunge all'ultima canzone della breve setlist: Motherland, incarnazione della qualità compositiva del gruppo.
Insomma una prestazione di tutto rispetto per uno dei migliori gruppi che abbiamo in casa e che forse, ancora oggi, raccoglie meno di quanto meriterebbe.

Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri

Setlist:

Aurora
Play Dead
Forlorn
Dolls
Motherland



Sadist

Tocca a un altro gruppo italiano dalla classe cristallina tenere caldo il pubblico: i Sadist. I genovesi capitanati dal pingue Trevor bombardano il pubblico con 45 minuti di death metal progressivo pescando a piene mani dalla loro discografia, dai classici visionari di Tribe a pezzi tratti dall'ultimo album. La perizia tecnica del gruppo è impressionante, non concedendosi nemmeno una piccola sbavatura, in particolare Tommy Talamanca si districa con agilità tra tastiere e chitarra (spesso suonandole in contemporanea) dimostando di meritarsi gli applausi a scena aperta che seguono l'invito di Trevor a tributare affetto a "un partimonio del metal". Lo stesso Trevor tiene talmente bene il palco da riuscire a far suonare convincenti frasi dal dubbio gusto quali "sono talmente carico che potrei cantare senza cavo". A coronare il tutto ci pensa una sezione ritmica chirurgica e compatta. Diciamocelo, se i Sadist fossero americani sarebbero considerati quanto i Cynic o gli Atheist, ma essendo italiani risultano di nicchia, per illuminati. L'epico finale del concerto viene affidato a un paio di canzoni di Tribe (tra cui la title track) inframezzate con Christmas Beat, mentre Tearing Away, singolo dell'ultimo album, mette il punto a una prestazione maiuscola dei liguri, sperando di avere occasione di rivederli presto.

Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri


Korpiklaani

Una delle band più divertenti degli ultimi anni si presenta sul palco in uno dei momenti più caldi della giornata. Gli stoici finlandesi hanno perfino il coraggio di indossare pantaloni di pelle, ma per fortuna la loro performance non risentirà per nulla dell’afa che regna sovrana sull’Idroscalo.
Pronti, via: le familiari note di Wooden Pints si diffondono dagli speakers e subito iniziano le danze. Il gruppo è decisamente in forma e per la gioia dei fans assiepati sotto lo stage, spara a raffica le sue cartucce migliori: l’epica Korpiklaani, l’anthemica Cottages And Saunas e la velocissima Journey Man sono infatti diventati dei piccoli classici e rappresentano bene il goliardico folk/metal del sestetto nordico. Non capita spesso di vedere i seguaci del “puro metallo” osannare un gruppo che punta quasi tutto su strumenti come fisarmonica e violino (ottima, a questo proposito, la prova di Juho e Hittavainen), ma i Korpiklaani riescono, con riscontri molto positivi, a combinare perfettamente metal e musica tradizionale. C’è spazio anche per i brani dell’ultimo album Korven Kuningas, fra cui spicca la particolare e stupenda Kipumylly, che mette in mostra il lato più sperimentale della band e viene decisamente apprezzata dal pubblico.
Purtroppo, tre quarti d’ora sono fin troppo pochi per godersi un concerto del genere e la conclusione arriva quasi inaspettata, quando il cantante e chitarrista Jonne annuncia che è rimasto il tempo per un’ultima canzone, in luogo delle due previste. Il frontman chiede quindi ai fans quale pezzo dovrebbe chiudere lo show e il coro è pressoché unanime: Beer Beer viene quindi eseguita con la giusta dose di grinta e col tradizionale lancio di lattine di birra sul pubblico (aperte, per fortuna!), con conseguente “doccia alcolica” di parecchia gente nelle prime file!
Niente da dire, più passa il tempo e più i Korpiklaani si confermano una delle migliori bands da vedere dal vivo, dimensione nella quale il loro stile non teme davvero confronti.

Michele "Freeagle" Marando


Evergrey

Devo essere sincero, non conoscevo molto il gruppo in questione. Rappresenta uno di quei nomi che ho sentito mille mila volte ma che per un motivo o per un altro non ho mai avuto il tempo di approfondire. Certo un qualcosina lo avevo già sentito, ma non abbastanza da poter dire di conoscerli. Neanche a farlo apposta il gruppo apre con una di quelle poche canzoni che conosco: Recreation Day. Purtroppo sin da subito gli svedesi paiono non essere in stato di grazia. L'esecuzione è buona ma manca di energia e convinzione. Nell'arco del concerto per fortuna la situazione migliora molto e si scopre anche il perchè di questa mancanza di intensità, il gruppo infatti si scusa parecchie volte del suo stato di forma carente spiegando che è dovuto a spostamenti e impegni concentrati che hanno costretto il quintetto svedese a presentarsi sul palco reduce da un periodo di veglia di 30 ore.
Il pubblico non pare notare questa mancanza di convinzione e risponde con affetto al gruppo, approfittandone anche per riprendere fiato dopo lo tsunami finlandese con un po' di prog/power intimista di qualità, a titolo di esempio si prenda la buona partecipazione sulla bellissima As I Lie Here Bleeding. Il recente innesto di Jari Kainulainen pare non aver intaccato gli equilibri del gruppo e l'ex Stratovarius offre una prestazione di tutto rispetto. Il gruppo riserva anche una sorpresa al pubblico suonando Broken Wings, anticipazione da Torn, album in uscita a settembre. L'ora a disposizione del gruppo volge al termine molto rapidamente, lasciando, al di là di tutto, una buona impressione. Forse finalmente sulle ali di questo concerto potrò scoprire meglio questo gruppo, sicuramente meritevole, che mi dà l'impressione di essere fin troppo sottovalutato. Ma è ora di un'altra potenziale esplosione di energia con la calata dei connazionali Dark Tranquillity, tutta da godere rigenerati dalla melodia degli Evergrey.

Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri


Dark Tranquillity

Potrebbero tranquillamente (ogni gioco di parole è involontario) dare la cittadinanza italiana onoraria ai Dark Tranquillity vista la frequenza con la quale vengono a suonare nel Bel Paese. D'altronde si sa, "l'Italia ama i Dark Tranquillity e i Dark Tranquillity amano l'Italia", e subito in prima fila spunta, a sigillare per l'ennesima volta questo rapporto speciale, la bandiera italiana con su scritto "Dark Tranquillity Welcome to Italy", ormai presenza fissa dei loro concerti italiani. Dall'altro lato si sa cosa aspettarsi dal sestetto di Gotheborg, conosciuto come uno dei gruppi più caldi ed energici dal vivo. La partenza è senza grosse sorprese, con l'opener che ha dato il via a tutti i concerti post-Fiction (Terminus) e con la ferma volontà del gruppo di confermare per l'ennesima volta che quel che si dice di loro in sede live è pura e semplice verità. Veramente, non esistono più parole per descrivere i concerti di questo gruppo, non importa quante volte si abbia assistito a un loro show, ogni volta si rimane sbalorditi dalla carica che trasmettono, e ancora di più dal calore di Mikael Stanne, come al solito quasi più preso a flirtare con il pubblico che a cantare. La setlist riserva poche sorprese, essendo principalmente incentrata sugli ultimi tre album del gruppo, ma quelle poche sorprese sono molto gradite. Il gruppo ripropone veri e propri classici come Hedon che non veniva suonata da un paio di anni, Damage Done una piccola perla dell'omonimo album e una ThereIn cantatissima dal pubblico e che rappresenta uno dei momenti più intensi dello show insieme all'omnipresente Punish My Heaven. Occorre di nuovo sottolineare quanto Stanne sia abile nel creare un legame con il pubblico non perdendo occasione di sottolineare come il pubblico italiano sia cento volte migliore di tutti gli altri, riuscendo a farlo sentire parte dello show, cercando e trovando continuamente la partecipazione, correndo come un matto da un lato all'altro del palco e coadiuvato in questo da Nicklasson, ormai secondo frontman della band. I presenti ripagano questo calore con altrettanto affetto e, seppur pochi, fanno sentire forte e chiara la loro voce con incitamenti, cori e cantando gran parte delle canzoni. A siglare definitivamente e inequivocabilmente questo rapporto ci pensa l'annuncio di un Mikael Stanne visibilmente fiero ed emozionato nel darlo: "Milano, lo sapete che vi amiamo vero? Ed è per questo che abbiamo deciso di tornare qui il 31 ottobre per registrare un DVD, perchè vogliamo mostrare al resto del mondo quanto sono magnifici i fan dei Dark Tranquillity qui a Milano. Assicuratevi di entrare a far parte della storia dei Dark Tranquillity, suoneremo canzoni che probabilmente non avete mai sentito dal vivo". Tutto in discesa da lì, il gruppo continua a macinare canzoni andando sempre a segno, che sia con l'intimismo di My Negation o con l'assalto all'arma bianca di Final Resistance, che va a chiudere questo concerto funestato solo dai suoni confusi quando parte la doppia cassa, non fa alcuna differenza.
Finito il concerto Stanne chiamato a gran voce dai fan scende nel photopit e percorre tutta la prima fila abbracciando tutti. In fondo i Dark Tranquillity sono anche questo e ancora una volta si può dire "L'Italia ama i Dark Tranquillity e i Dark Tranquillity amano l'Italia"... cosi è e cosi sempre sarà.

Setlist

Terminus
The Lesser Faith
Wonders At Your Feet
Lost To Apathy
Treason Wall
Hedon
Inside The Particle Storm
The Endless Feed
Focus Shift
Misery's Crown
Punish My Heaven
Damage Done
ThereIn
Lethe
My Negation
Final Resistance


Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri


Sonata Arctica

Inseriti in quella che, personalmente, considero la migliore posizione in scaletta (ovvero quando la luce del giorno lascia pian piano spazio alle tenebre), i Sonata Arctica si ritrovano però anche a dover seguire lo show schiacciasassi dei Dark Tranquillity. Inevitabile il calo di tensione, data la proposta musicale sensibilmente diversa, ma d’altra parte i finlandesi sono ormai forti di una certa esperienza e di un buon numero di album alle spalle. Alle 20:20, puntualissima, parte In Black And White, seguita a ruota da Paid In Full (entrambe dall’ultimo lavoro “Unia”), però si intuisce subito che qualcosa non va… I ragazzi si danno certamente da fare, questo è fuori discussione (per esempio Tony Kakko, di gran lunga migliorato come frontman negli ultimi anni), ma nell’esibizione dei Sonata Arctica manca qualcosa, manca quella dose di energia e di coinvolgimento che un gruppo di power metal dovrebbe elargire a piene mani durante un concerto. In particolare, salta all’occhio la prova decisamente sotto tono del bassista Marko Paasikoski, che, oltre a suonare in modo abbastanza approssimativo, ha tutta l’aria di volersi trovare altrove; appare distaccato anche il tastierista Henrik Klingenberg, il quale, se non altro, dimostra ottima tecnica, sfornando numerosi e fulminanti assoli con la sua keytar (la tamarrissima tastiera a tracolla). Infine, il batterista Tommy Portimo ci mette molto impegno, incorrendo però in qualche sbavatura qua e là. Il migliore, in assoluto, è il nuovo chitarrista Elias Viljanen, tecnicamente preparatissimo ed autore di una performance maiuscola, anche dal punto di vista scenico.
Dall’esordio Ecliptica vengono proposte diverse canzoni, tutte piuttosto apprezzate dai fans, fra le quali spicca la solenne Replica, ben eseguita da parte del gruppo. Buono anche il riscontro per un’altra ballad, Tallulah, mentre brani più energici come Black Sheep o 8th Commandment risultano complessivamente suonati decentemente, ma tutto sommato un po’ freddini. Questo è stato il principale problema del concerto dei Sonata Arctica: là dove avrebbe dovuto esserci un’esplosione di energia e di coinvolgimento, ci sono state canzoni eseguite discretamente, ma prive del necessario mordente. Il fatto che due ballate siano stati gli episodi migliori, dovrebbe dirla lunga... Se a questo aggiungiamo che il buon Tony, pur sbattendosi parecchio e avendo un approccio positivo al concerto, non è stato esente da incertezze vocali, otteniamo un concerto che avrebbe potuto essere molto bello, ma che alla fine è risultato solo discreto.
Le cose migliorano proprio agli sgoccioli dell’esibizione, con la splendida The Cage, unico estratto da Winterheart's Guild: finalmente un brano energico, urlato e degno del nome della band. Peccato solo che fosse l’ultimo... Si chiude con il tradizionale “divertissement” di Vodka Song, che da sempre conclude i concerti dei Sonata Arctica con una buona dose di simpatia.
Alla fine, mi dispiace non poter parlare bene di un gruppo giovane e amato come i Sonata Arctica, ma stasera è proprio mancato quel qualcosa in più che avrebbe potuto migliorare di parecchio la resa del concerto.

Michele "Freeagle" Marando


Cavalera Conspiracy

Quel “qualcosa in più”, mancato al gruppo precedente, non è invece mancato affatto ai fratelli Cavalera, per la prima volta in tour insieme dopo 12 anni di carriere separate.
Max e Igor si sono riuniti l’anno scorso, registrando insieme l’album Inflikted col nome Cavalera Conspiracy e sono da qualche mese in tour in tutto il mondo per promuoverlo.
L’unica data italiana è proprio stasera e se qualcuno avesse avuto qualche riserva sul ruolo di headliners assegnato ai CC, nel giro di pochi minuti sarebbe stata facilmente spazzata via.
In un tripudio di tetre luci rossastre, la band fa il suo ingresso sulle note di Inflikted, a cui segue subito il singolo Sanctuary: potenza, grinta ed energia a profusione, rovesciate senza un attimo di tregua sul (poco, ad essere sinceri) pubblico presente. È fin troppo ovvio, però, che chi viene a vedere Max e Igor Cavalera sullo stesso palco, si aspetti come minimo qualche pezzo dei Sepultura. Detto, fatto: Territory esplode letteralmente dagli amplificatori, per tutti quei fans che non aspettavano altro. Non finisce qui, visto che, fra un brano e l’altro di Inflikted (Terrorize, Never Trust, The Doom Of All Fires) c’è spazio per un vero e proprio “best of” live delle canzoni più amate dei Sepultura. Ci vengono gentilmente offerte, fra le altre, perle come Inner Self, la violentissima Arise, un medley Desperate Cry / Propaganda, Biotech Is Godzilla e Refuse / Resist, tutte accolte alla grande dal pubblico, che scandisce i testi all’unisono con la voce al vetriolo di Max, ancora in splendida forma nonostante gli anni. I Cavalera Conspiracy sono anche un “affare di famiglia” ed ecco infatti che, durante la recente Black Ark, fa la sua comparsa Ritchie Cavalera, figliastro di Max, esattamente come sull’album. Niente a che vedere col vero momento topico della serata, ovvero l’esecuzione del classico dei classici dei Sepultura, Troops Of Doom, eseguita con un batterista d’eccezione: Igor Cavalera Jr., il giovanissimo figlio di Max. Il ragazzino, pur con tutte le comprensibilissime incertezze date dalla tenera età, ci da dentro di brutto, pestando duro sui tamburi, sotto lo sguardo soddisfatto dello zio. Che dire, il “mini Igor” promette davvero bene! Rientrato l’Igor “originale”, i nostri si lanciano nella classica cover di Orgasmatron dei Motorhead, unita a Hex, per poi proseguire con la bordata a nome Policia e con la pesantissima Attitude. Il concerto volge purtroppo al termine con Must Kill, brano conclusivo dell’album, per poi concludersi alla grande con la sempre osannata Roots Bloody Roots, con tanto di finale ultra accelerato, condito da bestemmie varie in italiano ad opera dello scatenato Max.
In tutta sincerità, non mi aspettavo un tale spettacolo dai Cavalera Conspiracy, pensavo di assistere ad uno show senza troppe pretese e invece il risultato è stato un concerto devastante, assolutamente all’altezza della fama dei fratelli brasiliani. Certo, la tecnica pura è stata messa in secondo piano: sia Max che Igor sono stati tutto fuorché perfetti nelle loro esecuzioni, al contrario del chitarrista Marc Rizzo, molto bravo e grintoso, mentre il bassista Johnny Chow (sostituto temporaneo di Joe Duplantier) è rimasto un po’ in ombra. Ciò che conta, in ogni caso, sono il feeling e l’energia, di cui i CC non difettano affatto. Rimane un’impressione difficile da togliersi dalla testa: uscendo dall’Idroscalo, con l’eco del concerto ancora ben presente, il pensiero comune è che i Cavalera Conspiracy siano ormai più Sepultura degli stessi Sepultura...

Michele "Freeagle" Marando

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