(09 febbraio 2014) Enforcer + Skull Fist + Vanderbuyst + Gengis Khan @ White Lion, Leinì (TO)

Info

Provincia:TO
Costo:non disponibile
Dopo diverso tempo, lo storico trio torinese di Metal.it (circa 150 anni in tre ...) si ricompone per un evento all’insegna del puro metal ottantiano.
Il luogo è il White Lion, situato a Leinì, seconda cintura di Torino. Si tratta di un locale che da poco tempo ha dato vita ad un fitto programma di concerti heavy metal, alternando formazioni nazionali e straniere. In questo caso il cartellone è di un certo rilievo, con i validi svedesi Enforcer (già visti a Torino qualche mese fa … nda) in qualità di headliners, spalleggiati dai canadesi Skull Fist, dagli olandesi Vanderbuyst, grande sorpresa della serata, e dai Gengis Khan.

Peccato per il pubblico numericamente esiguo, anche se l’entusiasmo di un manipolo di giovanissimi ha creato comunque un’atmosfera calorosa. D’altronde il posto non è ancora noto a tutti, ma ha le carte in regola per colmare il vuoto creatosi nella zona della metropoli piemontese, dove i ritrovi in ambito musicale scarseggiano da sempre. Il White Lion è un ambiente raccolto, con il pubblico a diretto contatto coi musicisti, discreta acustica ed organizzazione capace di rimanere coerente con i tempi previsti.

Il primo gruppo ad esibirsi sono i Gengis Khan, unici italiani del lotto, che svolgono il compito in maniera sufficiente sebbene il loro canonico metal ’80 risulti un po’ anonimo.
Ben altro impatto ottengono i Vanderbuyst, retrò-band dalle forti influenze seventies che miscela Deep Purple, Thin Lizzy e Nebula, di cui riferirà il sempre attento Aimax.
Fabrizio 'Stonerman' Bertogliatti

Vanderbuyst
Esordio assoluto per il dinamico (e non ridete … per essere gente “quasi” pronta per “Villa Arzilla” ci difendiamo ancora!) trio sabaudo di Metal.it al White Lion di Leinì, accogliente e organizzato Live Club specializzato (leggetevi la presentazione sulla pagina facebook del locale … grandissimi!) che s’inserisce nella scarna scena torinese (finalmente una location di “settore” vicino a casa … per la cronaca, siamo riusciti a perderci lo stesso … durante il viaggio di ritorno …) con notevole soddisfazione di tutti i “bogianen” metallici.
L’occasione è ghiotta … ben quattro gruppi, uno italiano, uno olandese, uno canadese e uno svedese (oibò … sembra l’inizio di una vecchia barzelletta …) impegnati in una serata di vibrante hard ‘n heavy, e mentre lascio che di Gengis Khan ed Enforcer vi parlino i miei esimi colleghi, voglio innanzi tutto sottoporre alla vostra gloriosa attenzione i flying Dutchmen Vanderbuyst, una formazione davvero coinvolgente e appassionante che, dopo un inizio un po’ in sordina, conquista il sottoscritto e i non numerosissimi astanti con la sua arguta miscela di hard-rock settantiano e metal ottantiano, in un vortice d’influssi very british che vanno dai Thin Lizzy ai Diamond Head, passando per UFO, Whitesnake, Deep Purple (e “Little Sister” potrebbe essere considerata, con un po’ di fantasia, la loro "Woman from Tokyo"!) e Tygers Of Pan Tang.
Un batterista muscolare e preciso (Barry van Esbroek), un chitarrista davvero ispirato e piuttosto versatile (Willem Verbuyst) e un bassista e cantante espressivo e disinvolto (Jochem Jonkman … se la sua voce fosse solo leggermente più intensa e passionale, avremmo sicuramente a che fare con un potenziale fenomeno …) si applicano con notevole profitto su composizioni davvero ben congegnate, spaziando dalle spigliatezze di “Shakira”, alla grinta artigliante di "Tiger” e al possente hard-blues "Welcome to the Night”, arrivando fino alle ruvide raffinatezze di “Flying Dutchman” e "To Last Forever”, mentre tocca a “The Butcher's Knife”, a “Stealing Your Thunder” e alla torrida "Lecherous” fornire le impressioni migliori (almeno in questa circostanza!), in virtù di melodie ficcanti ed esecuzioni pulsanti, degne dei nomi più autorevoli della scena.
Bellissima sorpresa e, per quanto mi riguarda, assoluta rivelazione della serata.
Marco Aimasso

Skull Fist
Gli Skull Fist non arrivano dalla “luna” come vorrebbero farci credere, ma da Toronto e investono il pubblico del White Lion con una poderosa bordata di metallo tradizionale, intridendo la loro proposta di suggestioni sonore a base di primi Motley Crue (complice la voce a tratti parecchio Neil-iana di Jackie Slaughter …), Iron Maiden, Exciter, Judas Priest, Tokyo Blade, Keel, Obsession e Riot.
Fieri rappresentanti della cosiddetta NWOTHM (New Wave Of Traditional Heavy Metal), i nostri si dimostrano capaci di entusiasmare le “folle” con dosi scorticanti d’energia, prive però di una vera personalità, la cui carenza, in aggiunta ad alcune imprecisioni esecutive, soprattutto vocali (i cori sono da rivedere e anche gli amati high pitched wails avrebbero bisogno di maggiore accuratezza …), non mi permette di formulare un giudizio completamente positivo su una formazione artefice comunque di una prestazione davvero fragorosa.
Ed è proprio questo muro impressionante di pura elettricità metallica a conquistare gli astanti, piuttosto preparati sul repertorio dei canadesi e più interessati a “scapocciare” e a fare surf-crowding (alla fine anche lo stesso Slaughter si dedicherà a tale rischiosa manifestazione di “fiducia” nel prossimo …) che ad impegnarsi in capziose analisi artistiche.
La colonna sonora dell’adrenalinica circostanza è fatta da pezzi che si chiamano “Ride the Beast”, “Chasing the Dream”, “Mean Street Rider”, “Ride On”, “You're Gonna Pay” e “Head öf the Pack”, zeppi di gratificanti cliché fin dai loro titoli, con la potente “No False Metal” che in qualche modo sintetizza in maniera esemplare l’intera situazione.
Piccola menzione speciale, poi, la merita “Commit to Rock”, forte di contagiose cadenze melodiche al limite del class-metal, il brano riesce a distinguersi pur in un ambito palesemente citazionistico.
Ortodossia, urgenza espressiva, genuino entusiasmo, una buona dose di cattiveria e attitudine sono requisiti che possono bastare per farti trascorrere una bella serata di musica dal vivo, ma non sono verosimilmente sufficienti a contrastare efficacemente una concorrenza (con alcuni rappresentanti direttamente in “casa” … Cauldron, Striker, …) sempre più nutrita ed agguerrita.
Attendiamo buone notizie anche alla voce “carisma”.
Marco Aimasso



Enforcer
A dare gli ultimi scossoni alla serata, sulle note di “Diamonds and Rust” (nella versione dei Judas Priest) salgono sul palco gli svedesi Enforcer, che non solo confermano quanto di buono fatto sentire sia sui loro dischi sia dal vivo, ma cercano di non essere da meno rispetto agli Skull Fist, tanto per l’energia messa in campo sia nel cercare il giusto feeling con il pubblico, che anche in quest’occasione si accalca a bordo del palco per tutto lo show.
E gli Enforcer non si tirano indietro, così i confini tra pubblico e musicista diventano incerti e indefiniti, con il solo batterista Jonas Wikstrand a poter suonare senza dover rischiare di dover condividere il proprio strumento con gli infervorati metallari che si agitano sotto i colpi delle note di brani come l’opener “Death Rides this Night”, “Take Me out of this Nightmare“ e “Satan”.

Che, oltre ad avere nel proprio D.N.A. i geni delle N.W.O.B.H.M. con un pizzico del fervore tipicamente teutonico, le canzoni degli Enforcer avessero una marcia in più, era già evidente all’ascolto dei tre album che hanno inciso (il primo “Into The Night ” nel 2008, poi “Diamonds” del 2010 e infine “Death By Fire” l’anno scorso) ma la resa live ne è un’ulteriore conferma.

A sorpresa nella prima parte del concerto, ecco poi una cover, una scelta davvero inaspettata: “Countess Bathory” dei Venom, con Joseph Tholl che si assume il compito di cantarla, peraltro pure con buoni risultati.
Sui classici del gruppo, “Katana”, “Mesmerized by Fire”, “Midnight Vice” o “Into the Night” il posto dietro al microfono spetta comunque a Olof Wikstrand, che ormai si è perfettamente calato nel doppio ruolo di cantante e chitarrista, mentre il bassista Tobias Lindkvist non si scorda, oltre al compito di dare spessore e consistenza al sound del gruppo, di fare proprie quelle pose che non possono che far pensare al bassista metal per definizione: Steve Harris.

Per quanto possano apparire derivativi, gli Enforcer hanno dalla loro passione, potenza e convinzione… e questo potrebbe far le loro fortune.
A mio parere ampiamente meritate.
Sergio Rapetti

Foto a cura di Sergio Rapetti
Report a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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