(01 giugno 2013) Maiden England ... Made in Spain

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È con un bizzarro coacervo di attesa e ansia nelle viscere che mi accingo a valicare i cancelli del Parc del Forum di Barcellona. Attesa per un tour, quello del Maiden England, che rivisita uno dei periodi più alti e illuminati dell’intera carriera della Vergine; ansia per i sinistri scricchiolii che la Iron Family ha denunciato negli ultimi tempi. Da un lato, le dipartite dello sfortunato drummer Clive Burr e dello storico Steve Gadd, prima tecnico della batteria di Nicko e poi assistente della band, avevano calato una luttuosa patina di malinconia sull’universo Maiden. Inoltre, le scomode vicende giudiziarie che hanno scosso la vita privata dello stesso McBrain negli ultimi mesi (con gli arresti di moglie e figlio), potevano suggerire un suo approccio all’esibizione meno scanzonato e sereno del solito. Da ultimo, le numerose testimonianze presenti in rete della precedente leg del tour (le date nordamericane del 2012, per intenderci), ponevano seri dubbi sulla tenuta live di Bruce Dickinson, vistosamente in difficoltà in numerosi frangenti (difficoltà che, a parere dello scrivente, avevano altresì afflitto molte date del The Final Frontier Tour del 2011). Dunque, dopo aver assistito senza particolari sobbalzi emotivi alle performance dei Tierra Santa (onesti imitatori dei Maestri inglesi, ma penalizzati da suoni impastati e sbilanciati), dei Newsted (gruppo discreto, seppur privo di pezzi davvero killer e troppo incentrato sulla figura dell’ex bassista dei Four Horsemen) e dei Ghost (intrattenitori di qualità, con una presenza scenica originale e una manciata di ottimi brani), attendo trepidante che il piatto forte venga servito. Ed ecco che, a 20.45, l’ormai immancabile intro Doctor Doctor degli UFO prorompe dalle casse, generando da subito scariche di elettricità fra il pubblico. È poi la volta di una ulteriore intro sinfonica, la quale cede presto il passo alla celeberrima filastrocca “Seven Seadly Sins, Seven Ways To Win…” che inaugurava l’album Seventh Son of a Seventh Son, anch’essa registrata. La tensione sale ulteriormente, l’incipit tastieristico di Moonchild si dipana sino all’attacco vero e proprio del brano… e finalmente i sei musicisti britannici irrompono sul palco, spazzando via ogni mio timore.

Da subito si fanno apprezzare i suoni, puliti e potenti al punto giusto, e lo stage, davvero suggestivo nel suo tema “artico”; lieve nota di demerito, al contrario, per la nuova pettinatura da “paggetto” di Dave Murray, e per la giacca decisamente rivedibile di Bruce (ma ciò non potrà certo stupire alcun Maiden fan, presumibilmente avvezzo alle mises spesso e volentieri imbarazzanti del singer di Worksop). Tutti i musicisti paiono davvero in palla; Steve e Nicko formano la solita, inarrestabile sezione ritmica, rodata da migliaia di concerti. I tre chitarristi, dal canto loro, non perdono un colpo: lo stesso Janick, pur mantenendo l’ormai proverbiale atteggiamento gigione, riesce ad impressionare con un paio di assoli davvero magistrali e insolitamente puliti per i suoi standard. Adrian Smith e il già menzionato Murray, dal canto loro, sembrano particolarmente ispirati. E Dickinson? Beh, detto che si tratta appena della quarta data del tour, e che forse età e stanchezza esigeranno il loro tributo più avanti nel tour, penso di poter affermare che 98 cantanti su 100 darebbero l’anima per intonare con l’estensione, il calibro, il pathos interpretativo e la sicurezza di Bruce, linee vocali impervie quali quelle di The Prisoner (magnifico ripescaggio), Aces High e The Evil That Men Do. Certo: alcuni piccoli trucchetti, studiati per alleggerire i passaggi più impegnativi, si possono notare (uno su tutti, l’acuto interrotto a metà e poi ripreso durante le strofe di Seventh Son of a Seventh Son); tuttavia, si sta discutendo di peccatucci veniali, anche in considerazione della solita, prorompente presenza scenica e dell’impareggiabile carisma.

Insomma, ogni cosa pare girare a meraviglia: la deliziosa brezza marina, il pubblico ricettivo e pronto a intonare a squarciagola ogni chorus, la surreale tranquillità con cui si può assistere al concerto (odioso pagare 30 e passa euro in più per poter accedere alle prime file, ma che goduria una volta entrati nel Black Circle predisposto dall’organizzazione del Sonisphere…), e un evidente affiatamento tra membri della band (non si contano gli scherzi, le frasi bisbigliate nelle orecchie e le risate fra Dave e Janick), rendono il concerto un autentico piacere. La setlist, infine, convince appieno: ottimamente bilanciata fra pezzi epici e di lunga durata, classici intramontabili e chicche non eseguite live da decenni. Inutile negarlo: visto il periodo storico coperto dalla retrospettiva, la scelta di proporre Afraid to Shoot Strangers e Fear of the Dark pare filologicamente scorretta; oltre a ciò, spiace rinunciare all’immortale Hallowed Be Thy Name, così come avrei dato un rene per poter ascoltare live, almeno una volta nella vita, Infinite Dreams. Ma lamentarsi della scaletta (sotto riportata per completezza) significherebbe cercare volutamente la polemica, e io mi guardo bene dal farlo!

Dopo l’immancabile brano Iron Maiden, e le tre canzoni poste come bis (con l’ormai usuale presentazione dei membri della band durante l’esecuzione di Running Free), i nostri eroi si congedano, lasciando fra scroscianti applausi e ovazioni mentre. Dagli amplificatori si spande l’irridente fischiettio di Always Look on the Bright Side of Life dei Monty Python, e ciò sancisce la fine di un memorabile concerto.

Come da prassi nei festival spagnoli, gli headliner lasciano poi spazio ad altri gruppi, che suonano dalle 23:00 in poi, diversamente dal rigoroso ordine “crescente” utilizzato nella maggior parte dei casi. La strategia, a mio parere tutt’altro che avveduta, mi impedisce di usufruire delle performance di due storici gruppi thrash americani: Anthrax e Megadeth, nell’ordine. Dovendo raggiungere i miei compagni di viaggio in qualche sordido localaccio di periferia, abbandono a malincuore la location del concerto. Anche se, dopo aver udito su internet alcune delle nefande tracce che andranno a comporre il nuovo parto discografico della band di Megadave, non sono sicuro di aver perso granché… Ma questa è un’altra storia.

Tirando le somme: saranno vecchietti, non soddisferanno più tutti i palati ad ogni uscita discografica come un tempo, ma i sei inglesi hanno ancora grinta e classe da vendere, oltre a poter contare su un repertorio pressoché infinito di splendidi brani da cui attingere. Speriamo quindi che il medesimo stato di grazia dimostrato in quel di Barcellona possa palesarsi sabato a Rho nell’ennesima, graditissima calata italica della Vergine di Ferro.

Lunga vita ai Maiden!

Live report a cura di Marco Caforio

Setist:
1 -Moonchild
2- Can I Play with Madness
3- The Prisoner
4- 2 Minutes to Midnight
5- Afraid to Shoot Strangers
6- The Trooper
7- The Number of the Beast
8- Phantom of the Opera
9- Run to the Hills
10- Wasted Years
11- Seventh Son of a Seventh Son
12- The Clairvoyant
13- Fear of the Dark
14- Iron Maiden

Encore:
15- Churchill's Speech + Aces High
16- The Evil That Men Do
17- Running Free
Report a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 06 giu 2013 alle 18:20

Tutti pezzi dell'ultimo decennio, vedo........

Inserito il 06 giu 2013 alle 00:53

Bel report, preciso e coinvolgente. E poi... The Prisoner cazzo!