(10 giugno 2010) Alice in Chains - 10 Giugno 2010 (Atlantico, Roma)

Info

Provincia:RM
Costo:35 €
Per chi scrive gli Alice In Chains sono la migliore band mai esistita e la per loro calata romana, la prima volta in assoluto, non potevo assolutamente mancare.

La band, tornata alla ribalta con il nuovo disco “Black Gives Way To Blue”, si ripresenta nella sua formazione storica, con Sean Kinney alla batteria, Mike Inez al basso, Jerry Cantrell alla chitarra e il nuovo cantante William DuVall a fare le veci del leggendario e insostituibile Layne Staley.

A riguardo, lasciate subito che vi dica che DuVall è davvero un ottimo sostituto, ha presenza scenica, interagisce bene col pubblico, interpreta bene le canzoni vecchie senza stravolgerle e senza inutili protagonismi, avendo capito l’importanza dell’eredità che ha raccolto. Sembra che canti i vecchi successi quasi con una sorta di profondo rispetto e timore reverenziale, e questo il pubblico lo capisce, tributandogli molti applausi e non facendolo sentire fuori contesto.

Molte sarebbero le cose da dire, non tutte riportabili fedelmente su carta, soprattutto le emozioni vissute sotto il palco, a darle e prenderle con gli altri fan, a cantare a squarciagola ogni singolo pezzo, con la consapevolezza di aver atteso ben 15 lunghi anni per poterlo fare. Essere a due metri da Jerry Cantrell è un sogno da lungo tempo desiderato che s’avvera.
Iniziamo dalla location, il Pala Atlantico di Roma, struttura non grandissima, abbastanza raccolta e che ha come grandissimo pregio quello di avere un’ottima acustica. Non a caso il suono che esce dagli ampli è nitido, definito e potente, aiutando la band a riprodurre fedelmente le canzoni.

Il pubblico è un pubblico di fan devoti, ci sono molti ragazzini, ma è evidente che i supporter di vecchia data siano in maggioranza. È un pubblico, e non potrebbe essere altrimenti, preparato, che conosce le canzoni a memoria, dando la possibilità a DuVall di coinvolgerli nel cantato.
Tutto ciò contribuisce a creare un’atmosfera magica, coinvolgente, dove c’è piena empatia tra il pubblico e la band.
Lasciate che esprima tutta la mia ammirazione per il signor Jerry Cantrell, l’antitesi della rockstar e persino dello shredder protagonista a tutti i costi. Lui non sale mai in cattedra, anzi, si limita a suonare beato la sua chitarra. Le espressioni di estasi che si dipingono sul suo volto mentre suona la chitarra la dicono lunga sulla passione di questo artista per la sua musica. Cantrell è ancora capace di emozionarsi mentre suona i suoi pezzi, se li gode, e al tempo stesso coinvolge il pubblico. Ho notato che guarda dritto negli occhi i fan assiepati sotto di lui, gli sorride, quando può allunga un cinque, lancia un plettro. Insomma sembra che si trovi nel pit piuttosto che sul palco.

Dicevo del pubblico. Io ero sotto il palco, al centro, tra Cantrell e DuVall, nel mezzo del pogo che, a seconda della struttura delle canzoni, si animava in maniera talvolta bestiale. Devo dire che, a parte qualche gomito alto (uno finito proprio sui miei denti), è stato tutto molto friendly.
Veniamo alla scaletta. I pezzi suonati sono stati 20, pescati da tutta la discografia della band, anche se stupisce che dal disco omonimo sia stata tratta la sola Again. Il nuovo disco è stato omaggiato con ben 5 pezzi, “All Secrets Known” che ha aperto le danze scatenando il pubblico, la coinvolgente Check My Brain con il suo ritornello irresistibile cantato a pieni polmoni da tutti, l’intima Your Decision, la spettrale e potente “A Looking in View” con Jerry sugli scudi e “Acid Bubble”.
Facelift” è stato omaggiato con 4 pezzi, la devastante e diretta We Die Young che non ha fatto prigionieri tra il pubblico, Man In The Box il cui animalesco groove è stato uno dei punti salienti della serata, mandando in delirio il pubblico, It Ain’t Like That, altro trascinante pezzo spaccaossa e “Love/Hate/Love”, la cui interpretazione, sofferta, da cardiopalma, è stata la definitiva dimostrazione della bravura di William DuVall che, sul finale, ha fatto letteralmente venire i brividi a tutti. Peccato non abbiano fatto anche “Bleed The Freak”.
Jar Of Flies” è stato omaggiato con suoi 2 pezzi più rappresentativi, la stupenda e coinvolgente No Excuses, durante la quale è parso evidente il feeling tra DuVall e Cantrell, duettanti con le rispettive chitarre, e Nutshell.

In quel momento il tempo si è fermato, sui primi accordi di chitarra il pubblico si è raccolto tutto in un grande abbraccio e la voce di tutti, band e fan, è arrivata fino al cielo, fino a Layne, in un’esecuzione da pelle d’oca, coronata dall’assolo finale di Cantrell che, per intensità ed emozioni, ha lasciato tutti senza parole e quasi commossi. Davvero non ci sono parole per spiegarlo, d’altronde bastava guardare Cantrell e rendersi conto che in quel momento sicuramente pensava all’amico scomparso.

La parte del leone è stata fatta, ovviamente, da “Dirt”, con ben 8 pezzi, anche se hanno omesso uno delle mie canzoni preferite, “Junkhead”. La band ha sciorinato prestazioni incredibili per canzoni ormai divenute leggendarie. Them Bones, “Dam That River”, “Rain When I Die”, “Godsmack”, Angry Chair, Down In A Hole, Would? e Rooster che ha chiuso il concerto. Non conosco nessun’altra band al mondo che possa vantare una scaletta simile.

Il pubblico, naturalmente, su questi pezzi ha dato il meglio di sé e vi assicuro che stare là in mezzo è stata una goduria incredibile. La stessa band si è esaltata. Mike Inez è un gran mattatore, capace a tratti di rubare la scena agli altri due frontman, Sean Kinney è una macchina da guerra dietro le pelli, preciso e metodico.

La fine del concerto ha visto tutti quanti soddisfatti e lo stesso Mike Inez al microfono ha promesso che torneranno presto.
Capita che per 15 anni sei chiuso nella tua camera ad ascoltare delle canzoni, le ascolti in macchina, nel lettore portatile e poi immagini di poterle cantare dal vivo. Quel sogno sembra divenire irrealizzabile, per via dei lutti e delle vicissitudini della band. Poi, un bel giorno, ti ritrovi sotto un palco, con i tuoi miti sopra, e tu sotto, insieme a tanti altri, a cantare quelle stesse canzoni.
E avresti potuto morire, perché saresti morto contento. Grazie Jerry Cantrell, grazie Mike Inez, grazie Sean Kinney, grazie William DuVall, grazie Alice In Chains. Non ci sono parole.
The dream has come true.


Le foto sono di Lorenzo Santabarbara
Report a cura di Luigi 'Gino' Schettino

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 02 feb 2017 alle 19:21

I loro brani non sono affatto semplici da eseguire.Tra l'altro nel 2016 hanno pubblicato un pezzo pop-soft acustico(Tears) di estraniamento sensoriale con evoluzione nel minimalismo e nel raccoglimento etereo e misterioso

Inserito il 03 lug 2011 alle 14:40

anche io li ho visti a Padova e ho goduto davvero. Brividi e pelle d'oca, un carico PESANTE e comunque melodico, anche nei confronti di canzoni che si avrebbe il timore di toccare. Ottimi, eccellenti. Forse avrebbero dovuto fare il disco DOPO queste esperienze. Nei cori del disco non c'è questa eccellenza. Ma dal vivo DuVall ci ha ricordato che l'anima del canto di Staley era BLUES in tutti i sensi. in AIC we trust! grazie a dio sono riuscito finalmente a sentirli.

Inserito il 17 giu 2010 alle 17:47

Anche io ero presente a Padova e li avevo visti anche a Milano l'anno scorso. BAND GRANDIOSA! L'unica band dell'era Grunge che mi era entrata veramente nel cuore, unica band dell'era Grunge che ci è rimasta! Duvall è un grandissimo cantante! Ha indubbiamente una "cadenza" un po' + blues riapetto a chi l'ha preceduto ma come dice la recensione: ha un grande rispetto per quello che canta e tiene fedelmente le liene vocali che ci aveva regalato Layne. Il resto della band è precisa e coinvolgente! Tornassero ancora nelle vicinanze non farei fatica a tornare a vederli per la terza volta! EMOZIONE ALLO STATO PURO!