Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:1990
Durata:44 min.
Etichetta:EMI

Tracklist

  1. TAILGUNNER
  2. HOLY SMOKE
  3. NO PRAYER FOR THE DYING
  4. PUBLIC ENEMA NUMBER ONE
  5. FATES WARNING
  6. THE ASSASSIN
  7. RUN SILENT RUN DEEP
  8. HOOKS IN YOU
  9. BRING YOUR DAUGHTER... TO THE SLAUGHTER
  10. MOTHER RUSSIA

Line up

  • Bruce Dickinson: vocals
  • Dave Murray: guitars
  • Janick Gers: guitars
  • Steve Harris: bass
  • Nicko McBrain: drums

Voto medio utenti

Gli Iron Maiden sono in pieno subbuglio. Adrian Smith lascia la navicella madre per mettersi in proprio con i suoi ASAP (eccellente il loro "Silver & Gold"), Bruce Dickinson è reduce dalla pubblicazione del suo primo lavoro da solista "Tattooed Millionaire", con la "maledizione" di Steve Harris, che vede i progetti esterni a casa Maiden come fumo negli occhi.

Le crepe sono visibili e sempre più profonde, ed i lunghissimi e sfiancanti tour in giro per il mondo sono la scintilla che accende la fiamma del dissenso. Il posto di Adrian Smith viene occupato da Janick Gers, chitarrista che aveva contribuito a scrivere nel suo piccolo la storia della NWOBHM con i formidabili White Spirit (1980), accasandosi successivamente nella Gillan Band per la realizzazione di "Magic" (1982). A tal proposito, consiglio a qualsiasi detrattore di Gers, per le sue plastiche pose sul palco, di andarsi a riascoltare (o magari ascoltare per la prima volta) i succitati dischi, prima di sparare letame sulle sue doti di compositore. Janick è anche il responsabile di tutte le parti di chitarra su "Tattoed Millionaire", così la sua candidatura come successore di Smith diventa la scelta più logica e continuativa.

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"Ci siamo stufati di suoni troppo sofisticati, vogliamo riportare gli Iron Maiden alla loro essenzialità, ed il prossimo album lo dimostrerà": queste le parole di Bruce nelle interviste promozionali a "Tattoed Millionaire", uscito nella tarda primavera 1990. "No Prayer For The Dying" esce a settembre dello stesso anno, e mantiene le promesse esplicitate dal cantante inglese, almeno da un punto di vista squisitamente stilistico. Gli Iron Maiden asciugano il sound dagli orpelli delle due opere precedenti, ovvero dalle synth guitars di "Somewhere In Time", e dalle tastiere vere e proprie che avevano contribuito in modo determinante alla creazione delle atmosfere epic/fantasy scenografate in "Seventh Son Of A Seventh Son". È tutto oro quello che ci viene propinato dalle dichiarazioni mediatiche della band? Si e no.

Si, perché effettivamente il rigurgito nostalgico, sbandierato ai quattro venti, trova riscontro in canzoni molto più basiche ed aggressive. No, perché la qualità compositiva media non può competere con quella dei due capolavori succitati. Da qui a definire "No Prayer For The Dying" un pessimo album, ce ne passa. Eccome se ce ne passa. "Tailgunner", ad esempio, è una mirabile opener, dove il basso di Harris pompa come un dannato, gareggiando proprio come ai bei tempi con le twin guitars di Murray/Gers. La voce di Dickinson vola over the top, e tiene fede al celebre appellativo di "air raid siren", scorrendo dall'alto in basso l'intero pentagramma. Il singolo "Holy Smoke" viene accompagnato da un videoclip che definire imbarazzante è persino poco: la ritmica è basica, le parti vocali essenziali, ed il refrain tutto sommato funziona. Quando però i Maiden decidono di alzare la posta in gioco, i risultati non si fanno attendere: la title-track, ad esempio, è un affascinante affresco gotico, dove le chitarre creano un gioco di "colori" che anticipano una melodia memorabile. Esercizio stilistico certamente già visto, ma che solo loro sono in grado di replicare con simile efficacia, e soprattutto con una credibilità così profonda. "Public Enema Number One" e "Fates Warning" (nettamente meglio la prima della seconda) sono due cavalcate epiche che non aggiungono nulla di nuovo al loro songbook, ma che indubbiamente trattano la materia con la maestria che li contraddistingue fin dagli albori dei leggendari "The Soundhouse Tapes".

La peculiarità di "No Prayer For The Dying" è probabilmente proprio questa: tornare ad un approccio più "stradaiolo", calando l'ugola di Dickinson in un contesto forse più prossimo all'attitudine di Paul DiAnno. Il vero passaggio a vuoto è invece ascrivibile alle prime due tracce del lato B del 33 giri, prima con una "The Assassin" che fallisce (anche se non miseramente) nel suo tentativo di creare una dinamica prog-metal erede della formidabile "Sea Of Madness", poi con una "Run Silent Run Deep" davvero troppo piatta e scontata per non essere candidata quale "filler" palese del disco. Peccato, perché poi il micidiale riff "bastardo" di "Hooks In You" non fa prigionieri, gettando un ponte temporale a ritroso, quando rock'n'roll e punk erano ancora un ingrediente importante della loro ricetta. Riguardo a "Bring Your Daughter To The Slaughter", si è scritto e detto fin troppo: composta da Bruce per la colonna sonora di Nightmare 5, il pezzo è talmente epidermico da costringere Harris ad inserirla nell'album, con tanto di incoronazione a secondo singolo.

A tal proposito, dice Steve: "Quando Dickinson mi fece ascoltare questo pezzo, io gli dissi che era un gran bastardo, e che la volevo assolutamente sul nuovo disco". La scelta paga, perché "Bring Your Daughter To The Slaughter" risulta essere tuttora uno dei maggiori successi nella più che quarantennale carriera del gruppo. Il rigore formale di "Mother Russia", con il suo andamento marziale che rispecchia perfettamente i contenuti del testo, chiude un lavoro spesso molto sottovalutato, ma che andrebbe assolutamente riscoperto sotto la giusta ottica.
Anche a discapito di titoli ben più celebrati.

Recensione a cura di Alessandro Ariatti
Iron Maiden - No prayer for the dying

Il problema più grande con No Prayer for the Dying non è l'approccio musicale o i testi: sono le canzoni stesse. Dalla galoppante ma troppo semplicistica opener track "Tailgunner" alla dinamica maiden slow "Mother Russia" gli Iron suonano come se stiano cercando di raggiungere l'immediatezza degli album passati, ma mai veramente recuperando la magia dei giorni passati. Detto questo, un buon lavoro.

discreto, ma niente di più

disco che salvo a pieni voti solo per metà, ossia le prime 3 tracce + "Hooks In You" e "Bring Your Daughter...", sul resto invece ci sarebbe quacosa da dire, così come sulla produzione, che segna un bel passo indietro rispetto a quelle ottime targate anni '80.

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 26 ago 2022 alle 23:11

Produzione fiacca, Bruce con un piede fuori dal gruppo e senza Adrian. Salverei poco, diverse canzoni hanno spunti interessanti ma climax quasi inesistente. Sbadigli, sbadigli, sbadigli.

Inserito il 17 ago 2022 alle 21:24

@Graz Per me non raggiunge i tonfi di Fear Of The Dark, contiene comunque dei pezzi sottovalutati tra cui Mother Russia, mai eseguita da vivo mi sembra e la title track. Come mai Adrian Smith lasciò la band? Voleva che i Maiden proseguissero sulla scia dei dischi precedenti o per stress da tour?

Inserito il 17 ago 2022 alle 15:51

No, non mi piace, devo ammetterlo ma è stato un tonfo e siccome data la loro prima parte di carriera negli eighties sia stata brillante, fatta solamente di successi e arrivando alla scommessa sontuosa col semi- concept "Seventh Son Of A Seventh Son" potrebbe starci, personalmente questo album risente molto della mancanza di ispirazione e della penna di Smith, salvo la titletrack crepuscolare, "Bring The Daughter To The Slaughter" e "Tailgunner" per il riffing, ma il resto non mi piace perchè lo considero poco ispirato.

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