Cinque
album (compresa la colonna sonora del cortometraggio “
The rage”) non sono riusciti a condurre gli
Impera di
Johan Kihlberg nel
gotha dell’
hard n’ heavy contemporaneo e qualcosa mi dice che nemmeno il nuovo “
Spirit of alchemy” sarà in grado di portare a compimento l’ambiziosa impresa.
Intendiamoci, il disco è anche abbastanza godibile, sostenuto dal competente
songwriting dell’esperto (vanta collaborazioni con Kiss, Thin Lizzy, Europe, Rainbow, Mötley Crüe, ...) musicista svedese e da un ricco
parterre de rois esecutivo (
John Levén degli Europe,
Snowy Shaw di fama King Diamond, Mercyful Fate e Therion,
Lars Chriss dei Lion’s Share e
Jonny Lindkvist dei Nocturnal Rites), e che ciononostante risulta privo di quella scintilla espressiva che può farlo elevare in maniera determinante dal cumulo massificante degli emuli di
Dio, Rainbow e
Ozzy Osbourne.
Chi ha amato e ama i suddetti
Maestri e ha apprezzato come la loro preziosa lezione artistica sia stata metabolizzata da “gente” come Royal Hunt, Jorn e Lords of Black gradirà sicuramente i quaranta minuti del programma, rilevando, però, subito dopo quanto sia effimero l’effetto emotivo cagionato da canzoni davvero troppo manieristiche e convenzionali per “impressionare” davvero l’astante affezionato a questi suoni.
Il ritorno in auge di queste “classiche” soluzioni stilistiche e la relativa ampia offerta garantita da tale circostanza complica ulteriormente la possibilità di affermazione di un lavoro tanto ben fatto quanto poco longevo, vario e peculiare.
In una scaletta piuttosto lineare si segnalano così solo il tocco magniloquente dell’
opener “
Nothing will last”, il clima melodrammatico di "
Read it and weep” e i fraseggi serrati e catalizzanti di "
All about you” e “
What will be will be” (il mio personale
best in class), mentre altrove una certa efficienza formale finisce per disperdersi velocemente nel vorticoso gorgo del “già sentito”.
A risollevare le sorti dell’opera non contribuiscono in maniera decisiva né il pizzico di “modernismo” inoculato nelle fibre soniche di "
When souls collide” e né il gradevole strumentale “fantascientifico” “
Battle”, a conferma che esperienza, professionalità e perizia tecnica, in assenza di una spiccata “ispirazione”, sono valori sufficienti ad emergere dalla fitta giungla degli “indistinti”.
Provaci ancora
Johan ...
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