Copertina 6

Info

Anno di uscita:2016
Durata:39 min.
Etichetta:Independent

Tracklist

  1. OUTLAW
  2. UNDERWRITTEN
  3. STRAITJACKET
  4. SOME OF US
  5. AT THE KILL
  6. SHOCK TRAUMA
  7. FIRE AT WILL
  8. FEAST AND DECAY
  9. SOWERS OF DISCORD
  10. BURY THE WITNESS

Line up

  • Spinky: vocals
  • Gabriel: guitars
  • Tom: bass
  • Mikko: drums

Voto medio utenti

I Kingbreaker sono a tutti gli effetti una multinazionale della musica. Bassista australiano, chitarrista portoghese, batterista finlandese e cantante inglese. Come hanno fatto a incontrarsi tutti quanti allegramente per decidere di dar vita al progetto? La risposta è molto più semplice di quanto si possa pensare: i primi due suonavano a Londra in una band chiamata Cities Will Fall e dopo la sua caduta (in nomen omen) sono entrati in contatto con l’allegro finlandese e la cantante Spinky, che già conosceva il portoghese Gabriel avendo militato con lui nei The Marianna Hollow. Semplice, vero?

To The Fire è il debut album per questo quartetto inglese soltanto di residenza, definito “fragoroso” sul loro sito ufficiale e descritto come “un viaggio che si muove con grazia tra pesantezza e aggressività, introspezione e fragilità” con “scoppiettanti riff, assoli velenosi e chorus potenti e memorabili”. Questo è ciò che vedono loro.

Quello che vedo io ascoltando questo disco è un hard rock oscuro, inquieto, come il cielo di sera prima di un temporale, come il mare grigio senza luce. Ci sono frammenti d’argento che illuminati dai fulmini si lasciano ammirare per pochi istanti, per poi tornare a scomparire per sempre tra le onde.

Quello che vedo io è un amore marcio, colmo di una violenza repressa che brucia con odio tutto ciò che cresce intorno e che non lascia scampo. L’immaginazione muore dimenticata e spalanca le porte all’attesa di una salvezza che è sempre sul punto di entrare in campo, ma che non arriva mai.

Quello che vedo io, in sostanza, è un disco in cui danzano insieme ballerini impetuosi e classici, in cui risuonano echi di anni passati e suggestioni moderne, in cui i musicisti viaggiano su territori in cui non si incontreranno mai se non per caso.

I Kingbreaker provano a vibrare una sequenza di colpi da knock out, che ogni tanto vanno a segno ma che troppe volte finiscono per andare a vuoto. Riff poco ispirati, melodie a impatto zero, ritornelli che vanno via dalla testa nell’esatto momento in cui finiscono e per finire una voce potente ma senza inventiva sono i lati negativi (troppi) di un disco in cui salvo giusto il tentativo di essere diversi e qualche canzone tipo “Outlaw”, “Some of Us” e “Feast and Decay”, che mischiano un po’ le carte in tavola. Poco per far salire l’asticella del giudizio finale, abbastanza per restare a galla senza sprofondare.
Recensione a cura di Massimiliano 'Koru' Cammarota

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