RHumornero - Il Cimitero dei Semplici

Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2011
Durata:48 min.
Distribuzione:Venus

Tracklist

  1. OVERTURE
  2. HO PERSO LA DIREZIONE
  3. SCHIAVI MODERNI
  4. LA CONDANNA
  5. VITA DA CANI
  6. L'INCANTO
  7. SANGUE DEL TUO SANGUE
  8. LUCA DICE CHE SI AMMAZZERà
  9. I GIORNI DEL DELIRIO
  10. LA PAPESSA
  11. IL CIMITERO DEI SEMPLICI

Line up

  • Carlo De Toni: vocals, guitars, keyboards
  • Antonio Inserillo: bass, backing vocals
  • Ettore Carloni: guitars
  • Luca Guidi: drums

Voto medio utenti

Sarà vero, parafrasando Artaud, che i padri vanno “uccisi” e “divorati”? Che questa è l’unica speranza per l’allievo di superare il maestro, sconfiggendo quello stato di succube dipendenza tanto confortevole quanto inibente? E ancora, quanti sono capaci di rendere consapevole e determinato un gesto così improbo, l’unica strada per farlo diventare davvero catartico e produttivo?
Analizzando la scena musicale attuale, con un “occhio” particolare, vista l’origine del soggetto della disamina, ai confini italici dell’indagine, trovare formazioni capaci di concretizzare un atto di vantaggiosa depravazione di questo tipo non è per nulla semplice, ma francamente, pur ritenendo il tema dell’originalità nella musica rock un aspetto fondamentale per il raggiungimento delle vette artistiche della questione, non mi “scandalizzo” e non m’indigno di fronte ad un’ispirazione evidente se poi è anche altrettanto genuina e vitale.
I problemi spesso sono altri.
Prendete il secondo lavoro dei RHumornero, valente band toscana che annovera in formazione personaggi dal solido curriculum (Tossic, Death SS, Prozac+, Super B, Bobo Rondello, …): ebbene, è abbastanza evidente che “Il cimitero dei semplici”, non è un disco “assolutamente” peculiare. Il grunge e l’hard, la scuola dell’alternative e del rock nostrano sono fortemente radicati nei solchi del Cd, così com’è abbastanza facile identificare degli Afterhours, nei Ritmo Tribale, nei Tre Allegri Ragazzi Morti e poi anche nei Subsonica, se non addirittura in qualcosina dei Negramaro (dal punto di vista esclusivamente musicale, …) i suddetti “padri” a cui il gruppo rivolge il proprio sguardo ammirato, nondimeno nelle canzoni c’è forza, intensità e una tendenza introspettivo - malinconica abbastanza efficace, si percepisce nettamente che la band ha i mezzi per emergere e che possiede la “misura” necessaria per ottenere visibilità e considerazione.
L’uso che la band fa della nostra lingua, poi, è un altro punto a suo favore: illusioni e disillusioni, disagi sociali, il giogo dei bisogni fittizi, corrosive e frustranti osservazioni sulla gestione dei “poteri forti”, si combinano con una generosa sensibilità poetica (gli scritti di Alejandro Jodorowsky hanno rappresentato una rilevante base formativa) e danno origine a testi che riescono a non apparire oppressivi o eccessivamente banali, sebbene, anche qui, non si possa proprio parlare (ahimè) di tematiche del tutto inedite.
Quello che non convince, dunque, non risiede nell’annoso difetto di “personalità”, ma nell’incapacità di rendere un po’ più concise le composizioni, aumentando la “messa a fuoco” complessiva di brani piuttosto ben fatti e tuttavia non ancora in grado di superare la barriera della “bella canzone” e finire nell’ambito dei “pezzi memorabili”, dotati di quel “coefficiente di penetrazione” utile al salto di qualità, anche “commerciale”, definitivo.
Le “notizie” migliori arrivano da “Ho perso la direzione”, scura e profonda, dai vibranti saliscendi emotivi di “La condanna” (la mia preferita!) e dalla suggestiva e drammatica title-track, seguite da “Schiavi moderni”, “Vita da cani”, “Sangue del tuo sangue” e “Luca dice che si ammazzerà”, in grado di unire con acume biasimo e spigliatezze melodiche, mentre su tutto, però, aleggia una grafia compositiva la quale, pur gradevole, sconta un minimo di leziosa ripetitività e di scarsa incisività.
L’appetito dei RHumornero non è così famelico e i suddetti “genitori” possono, per il momento, dormire sonni tranquilli … ciò non ci esime dall’inserire i pisani di diritto tra le “cose buone” del nostro panorama ”indipendente”, nell’attesa che le notevoli potenzialità si esprimano completamente, oppure che le ambizioni e la “fame”, per rimanere all’interno della metafora, aumentino fino al fatidico e purificatorio atto di “cannibalismo” artistico.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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