Andre Matos: una intervista in jam session!

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Il lunghissimo ritardo accumulato prima del suo showcase acustico alla libreria Mondadori di Milano, ha impedito ad Andre Matos di parlare “face to face” con i vari giornalisti presenti, come inizialmente era stato previsto.
Ci dobbiamo così accontentare di una conferenza stampa improvvisata, che l’ex Angra ci concede al termine di una infinito meet and greet con tutti (e dico proprio tutti) i presenti all’insolito evento.
Ne è nata comunque una piacevolissima chiacchierata, durante la quale il musicista brasiliano si è mostrato più che disponibile a rispondere alle nostre domande, nonostante l’ora tarda e i vari problemi di jet lag.
Una prova ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua grande caratura umana, oltre che artistica. Buona lettura!

Puoi spiegare che significato si nasconde esattamente dietro a un titolo come “Time to be free”?
Probabilmente la prima impressione che può dare questo titolo è che io abbia cercato di rendermi libero dal mio passato, dalle mie ex band, in modo tale da poter fare la musica che più mi piace, senza condizionamenti di sorta. Questo è vero solo in parte. Da una parte è certamente vero che io sia ora libero dalle limitazioni del passato. Mi spiego: quando fai parte di una band, devi per forza seguire un certo stile musicale. Gli Angra erano una cosa, gli Shaman un’altra, ed è stata una buona cosa che le due realtà abbiano cercato di non assomigliarsi. Voglio dire, se gli Shaman avessero cercato di imitare gli Angra, non sarebbe stato un bene, esattamente come se gli Angra avessero cercato di copiare i Viper. Ogni band ha cercato di avere un suo sound peculiare, che potesse distinguerla dalle altre. Adesso che sono solista, sono libero di muovermi tra tutte queste diverse esperienze che ho avuto in passato, e assemblarle insieme in un unico lavoro. E questo è probabilmente quello che troverete su questo disco. Il mio stile è certamente riconoscibile, ma non mi sono semplicemente limitato a copiare cose già fatte, questo è un disco nuovo, e credo che questa sia la cosa più importante.
Questo per quanto riguarda il primo approccio a “Time to be free”. Il secondo, ed è la ragione per cui ho scelto questo titolo, è che si tratta di un concept album. Stiamo vivendo in un mondo che non abbiamo mai sperimentato fino ad ora. Tutto è collegato insieme, tutto è sorvegliato costantemente, la tecnologia, il mondo virtuale, sta prendendo sempre più il posto di quello reale. Certo, la tecnologia ha molti vantaggi, è riuscita a migliorarci parecchio la vita, non lo si può negare. Dall’altra parte però, c’è un prezzo da pagare nel nostro essere così tanto dipendenti dalla tecnologia, e cioè che abbiamo iniziato a dimenticarci molti degli elementi umani che un tempo erano importanti e che adesso sono stati completamente rimpiazzati da elementi virtuali. Giusto per fare un esempio: si può passare un sacco di tempo a conoscere gente navigando su internet, e non sapere neppure chi sia il proprio vicino di casa. E’ questo il vero significato di “Time to be free”: bisogna cercare la libertà, che certo è un qualcosa che l’uomo ha sempre inseguito, ma bisogna cercarla dentro se stessi, non fuori. Oggigiorno la gente è troppo preoccupata da cose come la carriera, i soldi, leddone come l’unico modo per essere liberi. Non è così in realtà: puoi essere qui, vero con te stesso, felice. Come siamo stati poco fa, ad esempio. Sono questi i momenti che ti rendono felice, e credetemi, la puttana più bella del mondo non può darti sensazioni simili a queste! Ma è una cosa che bisogna cercare di fare, bisogna sforzarci di raggiungere questo tipo di libertà. Ne vale della nostra vita, e di quella dell’intero pianeta, che sta soffrendo sempre di più le conseguenze di come stiamo vivendo ultimamente.
Dopo quello che hai appena detto, immagino non sarai d’accordo con quanto sto per dire, ma te la butto lì ugualmente: mi pare che nelle canzoni del nuovo disco sia predominante l’influenza di un album come “Angels cry”. E sempre legato a questo, mi risulta curiosa una certa scomparsa di quelle sonorità etniche che erano invece ben presenti su “Holy land” e sul primo disco degli Shaman: è una cosa voluta oppure ti è venuto fuori spontaneamente?
Parto dalla seconda delle tue osservazioni, ok? No, non mi sono dimenticato di queste influenze, diciamo che le ho utilizzate, seppure in modo diverso. Quando ero più giovane, avrei voluto mischiare quanti più stili musicali possibili… sai come funziona quando si è giovani… ero poco più che un teenager allora… (in quel momento Andre Hernandez, evidentemente annoiato da tutte quelle domande che non lo riguardavano, si alza e saluta, facendo segno che se ne andrà a dormire NDA)
Sapete? Abbiamo avuto veramente una settimana terribile, non potete nemmeno immaginare! Abbiamo fatto tre concerti in Francia nel giro di due giorni, il giorno dopo siamo andati in Grecia, abbiamo fatto interviste tutto il tempo e alla sera abbiamo suonato, poi siamo venuti in Italia, abbiamo partecipato ad un programma radio dove abbiamo anche suonato qualcosa, poi siamo venuti qui a fare questo concerto… beh, grazie mille per aver accettato di fare la conferenza stampa. Normalmente avremmo parlato singolarmente con ciascuno di voi ma sinceramente non so se ce la farò a stare in piedi ancora per molto! I primi due giorni sono riuscito a dormire due ore, ma gli ultimi due solo un’ora! (ride NDA) Ok, dov’eravamo rimasti?
Le influenze etniche…
Giusto! No, non me ne sono dimenticato. E’ che quando ero giovane giocavo a mischiare vari stili musicali così per il gusto di farlo, ci tenevo che si vedesse, che venisse fuori che ero capace. Adesso faccio la stessa cosa, ma cerco di essere meno banale. Molte band provano a mischiare influenze diverse, ma i risultati non sono sempre buoni, perché non è un processo così semplice. Quando studiavo composizione, ho imparato che quello che più conta nella musica è la forma. Il metal e la musica classica hanno la stessa forma, ed è per questo che possono andare assieme così bene. La stessa cosa vale per la musica etnica. Per me ha senso mischiare tutto insieme, solo se esse sono profondamente insite all’interno della canzone. La canzone deve nascere prima, deve essere un qualcosa a sé, e non un collage nato dall’unione di sonorità e melodie diverse. Quindi, ci sono sì influenze etniche in questo album, ma ho cercato di metterle dentro in una maniera meno ovvia, più subliminale. In questo modo è più efficace, può colpire molto di più l’ascoltatore, il quale non saprà però esattamente perché è stato colpito!
Ad esempio, nella canzone “Rio”, che tra le altre cose mi è stata ispirata dal film brasiliano “City of God”, una pellicola che mi ha molto colpito, visto che parla della nostra realtà… beh, ovviamente se pensi a Rio pensi alla samba, al carnevale, e questo è quello che abbiamo fatto: abbiamo messo un ritmo di samba su tutta la canzone, ma l’abbiamo reso oscuro, rallentato e profondo. In questo modo la canzone risulta davvero efficace e potente!
Questo per quanto riguarda le influenze etniche… scusami, qual era invece l’inizio della tua domanda?
Ti stavo chiedendo dei riferimenti al sound di “Angels cry”…
Giusto! Come ho detto prima, considero questo disco una sorta di sintesi di tutte le principali fasi della mia carriera, ma non nel senso di un semplice scopiazzamento di esse. Sinceramente non mi piace quando gli artisti copiano se stessi all’infinito, pensando così di ottenere successo facilmente. E la cosa triste è che qualcuno ci riesce anche ad avere successo in questo modo! E’ un successo che può anche durare qualche tempo ma, credimi, non credo proprio che i loro nomi rimarranno scritti nella storia! Ho sempre cercato l’originalità, in tutta la mia carriera, ed è quello che continuerò a fare anche in futuro. Credo profondamente che il metal sia una musica con parecchie potenzialità di innovazione, nonostante esista ormai da quasi trent’anni. Quindi, se ti va di fare metal, bisogna farlo bene, evitando di scopiazzare di qua e di là. Attenzione, va benissimo mettere delle citazioni ogni tanto, perché tutti noi abbiamo le nostre influenze, ma copiare è tutt’altra cosa!
Per cui, se ti sembra di riconoscere così tante cose di “Angels cry” in questo nuovo lavoro, questo credo sia dovuto al fatto che gli Angra sono stati la band con cui ho trascorso la maggior parte della mia carriera. Ancora una volta però mi sento di precisare che sì, le nuove canzoni possono ricordare quel disco, ma non ne sono una semplice copia!
Non ti dà fastidio che il tuo nome venga tuttora associato a quello degli Angra? Dopotutto sono passati dieci anni dalla tua fuoriuscita dal gruppo e nel frattempo hai proseguito in modo consistente la tua carriera musicale…
Beh, credo che dovrei essere soltanto fiero di questo! Ho fondato io gli Angra, sono stato con loro per nove anni, durante il periodo in cui hanno raggiunto probabilmente il top del successo. Poi questa cosa è finita, ma fa parte della vita, le cose non durano per sempre, è come quando uno muore, è triste, ma vero, come dicono i Metallica (ride NDA)! Ora ho questa nuova band, che, ci tengo a sottolinearlo, è una vera band, non un semplice progetto. I progetti sono qualcosa di estemporaneo, mentre questa è una band vera e propria, nonostante sul disco ci sia scritto il mio nome. D’altronde, la gente ormai sa che cosa aspettarsi, e se avesse visto sul disco un nome diverso, probabilmente avrebbe avuto paura che anche questo nuovo gruppo si sarebbe diviso, esattamente come accaduto per Angra e Shaman. Invece c’è scritto Andre Matos, e io non posso certo fare uno split con me stesso (ride NDA)! C’è un grande affiatamento tra tutti i membri della band, una grande unità. Non ho mai voluto mettere su un gruppo con l’idea di esserne il capo, bensì per essere amico dei miei musicisti, per lavorare insieme con loro. La cosa più importante nella vita è il rispetto reciproco, il fatto che ci si fidi l’uno dell’altro. Il fatto che molte band si sciolgano è probabilmente segno che questa cosa non è stata da loro compresa.
Ok, probabilmente io sono il responsabile ultimo di questa band, essendoci scritto il mio nome sul disco, se le cose vanno male sarà colpa mia! Questo mi dà probabilmente il diritto di dire l’ultima parola su alcune scelte, ma è una cosa ben diversa che comportarsi da dittatore, mi spiego? D’altronde, a pensarci bene, non è una situazione diversa rispetto a prima, visto che mi sono sempre occupato di molteplici aspetti concernenti un disco, dalla scelta della copertina, ai testi, ecc. L’unica differenza è che forse ora l’atmosfera è migliore rispetto a prima, dato che non ci sono diverse persone che lottano tra loro, ciascuno per ottenere maggiore visibilità.
Che cosa ci puoi dire riguardo al tour? Ci sarà la possibilità di vederti in giro per qualche festival, quest’estate?
Sapete tutti benissimo che per suonare nei festival estivi bisogna prenotarsi con largo anticipo. Il problema è che il disco è appena uscito per cui ormai non siamo più in tempo per inserirci. Se l’edizione europea fosse uscita contemporaneamente a quella giapponese, cioè alla fine dello scorso anno, allora non ci sarebbero stati problemi, ma così la vedo un po’ dura. Non tutto è perduto in realtà: in ogni festival c’è sempre qualche band che viene aggiunta all’ultimo momento, per cui speriamo di potercela fare così! In caso contrario, quest’estate mi dedicherò al tour di Avantasia, e tornerò in Europa tra settembre e ottobre. Si tratterà di un grande tour europeo, che certamente toccherà l’Italia, non vedo nessuna ragione per cui non dovrebbe essere così! Ovviamente suoneremo a Milano, ma il mio grande sogno sarebbe quello di poter toccare altre città: il vostro paese è grande, e soprattutto al Sud risulta penalizzato, perché i fan non possono sempre recarsi a Milano per vedere suonare qualcuno! Per cui, oltre a Milano, cercheremo di fare di tutto per suonare almeno altre due date, a Roma o a Napoli per esempio…
Hai già ascoltato il nuovo disco degli Shaman?
(Ride NDA) Sinceramente, se non vi dispiace, preferirei non parlarne. Sai, non vorrei influenzare in nessun modo le persone che vorrebbero comprarlo…
Almeno ci puoi raccontare che cosa è successo con loro?
Su questo non c’è problema! Vedi, si è trattato semplicemente di un deteriorarsi dei rapporti all’interno della band. Non andavamo più d’accordo, è stato un processo lento, andato avanti poco per volta, abbiamo anche cercato di fare qualcosa per migliorare, ma è risultato tutto inutile. In pratica ci siamo trovati nella situazione di dover comporre del materiale nuovo, e nessuna idea veniva fuori: questo perché non c’era più nessuna connessione tra di noi, eravamo mondi completamente separati. Sono cose che accadono spesso, non solo nella musica, ma anche nella vita privata, e io stesso mi sono trovato altre volte in questa situazione; pertanto so che la cosa migliore da fare è sempre quella di dare un taglio netto, senza stare troppo a girarci intorno! Non è una cosa indolore da farsi, ma a volte non ci sono altre soluzioni. Arriva un punto nella vita in cui dici: “O me ne vado, o ci dò un taglio, o scoppio!” Le persone devono dire di no ogni tanto, perché tenere in piedi delle situazioni ormai completamente logorate solo per la paura di fare questo passo, oppure per altri interessi, è assolutamente brutto da vedere: pensa ai Rolling Stones, o ad altre band di quel calibro. Sono in giro da oltre trent’anni, e tra di loro non si parlano più! A me non piace una cosa così, sembra che vadano avanti solo per opportunismo, per soldi, per non perdere il loro status. E non diciamo cazzate del tipo: “Lo facciamo perché siamo professionisti. Saliamo sul palco e suoniamo perché è il nostro lavoro.” Non funziona così. Fare musica non è semplicemente come andare a lavorare in fabbrica dove, forse, una cosa così puoi farla: non ti piace la persona che hai di fianco, ma fai il tuo lavoro cercando di ignorarla. La musica necessita uno scambio di emozioni tra le persone, e questo può avvenire solo nel momento in cui esse si fidano le une delle altre. Altrimenti diventa una cosa fredda, senza significato. Ora, tornando agli Shaman, è stata sicuramente una separazione non facile e non particolarmente piacevole, eppure sono sicuro che è stata la cosa giusta. Guarda a “Time to be free”: la gente capisce il valore delle tue scelte nel momento in cui te ne vieni fuori con prodotti del genere!
Lo studio della musica classica ha ricoperto un ruolo fondamentale nella tua vita artistica: ritieni sia necessario per un musicista che voglia arrivare ad alti livelli, cercare di ottenere una preparazione tecnica di questo tipo?
No, non penso sia necessario. Per me è stata una grande cosa: mi ha aperto nuovi orizzonti, ho imparato nuovi modi di rapportarmi alla mia musica, che prima non avrei mai immaginato. Ci sono quelli che si possono chiamare autodidatti: specialmente nel campo dell’heavy metal, molti musicisti non hanno diplomi o cose del genere, eppure riescono ad essere molto bravi in quello che fanno. Dipende da persona a persona, non si può generalizzare. Personalmente, nel momento in cui ho realizzato che avrei voluto diventare un musicista, ho deciso che sarei stato un musicista vero, completo; il che per me vuol dire che avrei studiato musica classica, che è la madre di tutti i generi musicali. Penso che in definitiva, ciascuno debba pensare a cosa sia meglio per lui. Io comunque lo suggerirei!
Bene, non resta che ringraziare Andre per il tempo che ci ha concesso e sperare di vederlo presto dal vivo sui nostri palchi!!
Intervista a cura di Luca Franceschini

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