W.A.S.P. - Blackie Lawless (guitar, vocals)

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Gruppo:W.A.S.P.

Blackie Lawless non ha bisogno di presentazioni: con le sue canzoni, i suoi testi, i suoi spettacoli e le sue dichiarazioni, il leader indiscusso dei veterani WASP ha sempre dimostrato di possedere un grande talento, un’intelligenza e una dialettica fuori dal comune e soprattutto una grande onestà. Non si potrebbe parlare altrimenti di un artista americano che, profondamente ferito come tutti i suoi connazionali dagli atroci attentati dell’11 settembre 2001, decide di mettere mano agli strumenti e di urlare tutta la propria rabbia, senza censura alcuna, in un album composto e pubblicato a tempo di record. Testi graffianti, musica aggressiva, concerti spettacolari sono da sempre caratteristiche degli WASP e il nuovissimo album ‘Dying For The World’ non fa eccezione, presentando il marchio inconfondibile di una band nuovamente orfana dell’istrionico chitarrista Chris Holmes (sostituito dal valido Darrell Roberts) e del batterista Stet Howland (rimpiazzato dalla vecchia conoscenza Frankie Banali), ma sempre più che mai efficace e proiettata verso un sound sempre più moderno.
Abbiamo raggiunto Blackie al telefono per fare quattro chiacchiere e dobbiamo dire che non ha affatto tradito le nostre aspettative: quella che segue è infatti solo una parte della nostra lunga conversazione, che più che una canonica intervista ha finito per diventare una retrospettiva di tutta la carriera degli WASP, dagli esordi fino ad oggi, per giungere alla previsione di un imminente futuro che dovrebbe riservarci alcune notevoli sorprese…

“Dying For The World” è un album molto cupo; pare quasi che tu voglia ancora shockare la gente, ma questa volta in maniera decisamente più seria e meno appariscente rispetto agli esordi degli WASP, quando eravate conosciuti più per i vostri spettacoli che per altro. Cosa ne pensi?
[Lunga pausa, Nda] Mi parli della nostra presunta volontà di shockare la gente: ebbene, in tutta sincerità, devo dire che non mi è mai importato nulla di fare una cosa del genere, neanche ai tempi dei nostri primi dischi. Quello che ho sempre cercato di fare è stato usare un certo tipo di arte astratta, per indurre la gente a pensare: riflettere sulla propria situazione personale, sulla politica, sulla società… in poche parole, sul mondo che ci circonda. Mi ricordo di quando siamo venuti da voi in Italia per il tour di ‘K.F.D.’: all’epoca, cinque o sei anni fa, portavamo in scena uno show particolarmente forte ed il pubblico rimase a dir poco sconcertato a causa della violenza visiva del concerto. Ho sempre fatto uso di questo genere di iconografie, perché voglio che ci segue sia in qualche modo spinto a pensare a ciò che gli sta intorno. Sinceramente, a me non frega assolutamente niente dello shock rock, non ha alcun significato per me. Per esempio, se uno come Marilyn Manson si presenta in un certo modo col fine di far riflettere la gente, la considero una cosa molto positiva. Se invece lo fa solo per farsi pubblicità, allora penso che sia una cazzata. Ritengo che la musica possa essere uno strumento di comunicazione molto potente, pensa ad esempio a quanto è successo negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60, quando la musica contribuì a creare nella gente la consapevolezza che la guerra in Vietnam era del tutto sbagliata. Lo stesso discorso, più o meno, è stato fatto anche col muro di Berlino, che fu abbattuto verso la fine degli anni ’80 anche grazie al contributo del mondo musicale. La musica può veramente cambiare il mondo, può aiutare le persone a rendersi conto di cosa realmente le circonda e può quindi spronarle a voler cambiare ciò che non va. Questo è quello che da sempre cerco di fare con le mie canzoni e i miei concerti, anche se spesso la nostra proposta viene fraintesa, soprattutto per quanto riguarda i live show. D’altra parte sono consapevole che, per creare in chi ci viene a vedere la voglia di riflettere, a volte si debba colpirlo visivamente in maniera molto forte e questo inevitabilmente ci ha portato un sacco di critiche negative. Per dirne una, che ci crediate o no, all’inizio della nostra carriera non volevo fare nient’altro che esprimere la mia opinione sulla maniera in cui le donne venivano trattate nella società: la reazione più frequente era un attacco nei nostri confronti da parte delle associazioni femministe, che ci accusavano di essere solo dei pervertiti sessuali [infatti, si è detto spessissimo che WASP è un acronimo per We Are Sexual Perverts! Nda]. Si sbagliavano di grosso, perché non abbiamo mai voluto essere sessisti, al contrario, io cercavo di aiutare il genere femminile! Peccato che questo non l’abbiano mai capito, tutto quello che volevo era portare l’attenzione di chi ci seguiva su un grosso problema sociale.”

A mio parere, la vostra vera pietra miliare è “The Headless Children”, forse il primo album in cui, al messaggio contenuto nei testi, siete riusciti ad affiancare un commento musicale più credibile e completo.
Esattamente, quello è stato il primo disco in cui sono riuscito ad unire efficacemente la musica e lo show. Il nostro stile è cambiato in modo abbastanza marcato e nonostante i nostri primi tre dischi non fossero malvagi, erano comunque diversi da ‘The Headless Children’. Molto spesso mi sento chiedere qual è il segreto di una band che riesce a mantenersi in attività per così tanto tempo, come abbiamo fatto noi: io credo che a qualunque gruppo con dieci o più anni di attività alle spalle succeda prima o poi qualcosa, in mezzo alla loro carriera, che lo cambia radicalmente. Tutti i gruppi che mi vengono in mente e che sono riusciti ad andare avanti per molti anni, in qualche modo rientrano in questa categoria. Pensiamo ai Beatles, ad esempio: all’inizio cantavano ‘I Wanna Hold Your Hand’, ‘Love Me Do’ e cose del genere, ma ad un certo punto hanno cominciato a sfornare dischi come ‘Revolver’ e ‘Sgt. Pepper’, completamente diversi rispetto ai loro esordi. La stessa cosa è accaduta a noi, abbiamo iniziato in un certo modo, ma dopo un po’ siamo profondamente cambiati ed è proprio questo cambiamento che, secondo me, ha gettato le basi per la nostra longevità e ci ha permesso di essere qui ancora oggi. Non riesco infatti a pensare come avremmo potuto durare se non fossimo cambiati in quel momento…

Secondo alcune persone, la vostra carriera sembra quasi seguire un ciclo: avete iniziato con album irriverenti come “The Last Command”, per poi cambiare radicalmente con “The Headless Children” e raggiungere il culmine con “The Crimson Idol”, già orfani di Chris Holmes. Poi, dopo un periodo di transizione, è tornato Chris e sono arrivati il feroce “K.F.D.” e il grezzo “Helldorado”, che richiamava prepotentemente le prime produzioni. Infine, di nuovo due album del tutto diversi come “Unholy Terror” e “Dying For The World”, ancora una volta senza l’apporto di Chris. Che ne pensi? E’ solo una coincidenza il fatto che Chris vi abbia lasciati per due volte in momenti così particolari?
E’ un’interpretazione interessante… Ti posso dire che, onestamente, quando mi trovo a comporre e a suonare da solo, sono più serio di quando sono con Chris. Mi spiego, quando abbiamo realizzato ‘The Headless Children’, lui, che si era appena sposato e quindi passava con sua moglie più tempo possibile, non è stato coinvolto più di tanto nel progetto. Quello è stato un album che ho composto prevalentemente da solo e per me stesso; c’è stata la presenza fondamentale di un musicista straordinario come Frankie [Banali, attuale batterista, Nda], il quale ha avuto veramente un’influenza notevole sul mio modo di lavorare in studio, ma Chris non è stato granché presente. In un certo senso posso essere d’accordo con quello che mi hai appena detto, anche se credo che fra i nostri album ci siano differenze ben maggiori. Se consideriamo ‘Dying For The World’, ho la netta sensazione che esso possa rappresentare l’inizio di un nuovo capitolo nella storia degli WASP. Ho composto questo disco mentre ascoltavo a ripetizione ‘Revolver’ dei Beatles, e spesso mi veniva da pensare che in fondo non ci sono stati molti gruppi di heavy rock ad avere sperimentato l’aggiunta di suoni psichedelici nei loro lavori. Questo mi ha stimolato a provare nuove soluzioni e mi ha portato ad esplorare una dimensione musicale del tutto nuova, che non avevo mai considerato prima. Quando ‘Dying For The World’ è stato completato, Frankie è venuto da me mentre stavamo ascoltando il prodotto finito e mi ha detto: ‘Questo è l’inizio del terzo capitolo della storia della band!’. Non ci avevo pensato in questi termini, ma in effetti, se mi guardo indietro, posso indicare ‘The Headless Children’ e ‘The Crimson Idol’ come l’inizio della seconda fase della nostra carriera, in quanto portavano il nostro sound molto più avanti che in precedenza. ‘Dying For The World’ rappresenta più o meno ciò che hanno rappresentato quei due album in passato: è un indice di come si può ulteriormente evolvere il nostro sound e di quanto lontano possiamo ancora andare. Io e Frankie abbiamo discusso molto su questo argomento e sulla direzione che prenderà il prossimo album, che sarà molto più estremo in quanto a contaminazioni psichedeliche. Tornando al discorso del ciclo, ammetto che ci possa essere un fondo di verità, perché la direzione che stiamo prendendo in questo periodo presenta senza dubbio dei punti in comune con quella che avevamo intrapreso una dozzina di anni fa, ma sarà al tempo stesso molto diversa, a causa appunto della combinazione fra due diversi stili di musica che fino ad ora non avevamo mai sperimentato. Penso che ‘Dying For The World’ potrà essere visto, fra cinque o sei anni, un po’ come viene da tempo considerato ‘The Headless Children’: allo stesso modo in cui quest’ultimo rappresentava l’inizio di un cambiamento nella nostra musica, ‘Dying For The World’ potrà essere il simbolo di questa nuova direzione musicale.

So che, parallelamente a ‘Dying For The World’, hai iniziato a comporre un nuovo e complesso concept album: come mai hai deciso di svilupparli insieme, e quali caratteristiche avrà questo nuovo lavoro?
Quando ho realizzato il mio concept precedente, ‘The Crimson Idol’, ho impiegato un periodo di quattro/cinque anni per mettere insieme tutte le idee che avevo e per dargli una forma definitiva. Per questo nuovo progetto, sta succedendo la stessa cosa: ci sto lavorando da moltissimo tempo, sempre raccogliendo quelli che fino ad ora sono solo delle piccole idee o degli spunti che potrebbero adattarsi bene. Non è certo un disco che ho iniziato a comporre sei mesi fa, mettiamola così. Ad essere sinceri, prima dell’11 settembre pensavo di concentrarmi solo su questo progetto, ma dopo la tragedia del World Trade Center mi sono recato personalmente a Ground Zero e questo mi ha profondamente segnato. Ho sentito l’impulso di esprimere il mio punto di vista e di parlare del futuro del mondo, perché ciò che mi aveva turbato di più non era tanto quello che era successo, quanto cosa sarebbe potuto succedere dopo un simile disastro. Come dicevo prima, considero la musica uno strumento eccezionale per comunicare con la gente e per contribuire a dei cambiamenti importanti. Per realizzare ‘Dying For The World’ non mi ci sono voluti più di quattro mesi, si è trattato di uno degli album più veloci che abbia mai composto: fatta eccezione per i nostri primi due dischi, che furono realizzati in un paio di mesi ciascuno, negli ultimi 15 anni non c’è stato un solo album che sia stato completato in così poco tempo, e questo è stato possibile perché ero guidato da una sincera passione. Quando sei veramente ispirato come è accaduto a me questa volta, è senz’altro possibile realizzare lavori come questo in tempi brevissimi, ragione per cui ho deciso di mettere un attimo da parte il progetto del concept e dedicarmi a ‘Dying For The World’. Ribadisco, però, che sapevo molto bene che il concept avrebbe avuto bisogno di un lunghissimo periodo prima di essere completato, anche perché quasi sicuramente si tratterà di un doppio album. Cercherò di pubblicarlo entro la fine del 2003, ma per adesso non posso garantire ancora niente, so solo che ho ancora di fronte a me un bel po’ di lavoro prima di completarlo. Ho un’idea abbastanza precisa di come dovrà essere il prodotto finito e posso già dirti una cosa: quella musica è incredibilmente emozionale, potrà farti davvero piangere! Mi ci è voluto moltissimo tempo per convincermi che avrei potuto fare meglio di ‘The Crimson Idol’, per anni ho pensato che non sarei più stato in grado di comporre qualcosa che ne fosse all’altezza, ma finalmente sono riuscito a porre la giusta distanza fra me stesso e quell’album e a trovare il coraggio per realizzare un’altra opera simile. Qualunque cosa succeda, so benissimo che nel momento in cui dovessi annunciare di aver realizzato un concept album, quest’ultimo verrebbe immediatamente paragonato a ’The Crimson Idol’. Non vorrei pubblicare un disco di quel genere solo per sentirmi dire cose del tipo ‘sì, è buono ma non al livello di ’The Crimson Idol’’; per questo so che stavolta devo andare oltre, devo osare di più e comporre un’opera migliore. Adesso sono consapevole di potercela fare.

Cosa puoi dirci della storia che stai componendo? Sarà qualcosa di personale come lo era stata quella di ’The Crimson Idol’?
Hmm… Probabilmente, in un certo senso, ma bisogna anche capire che in effetti ’The Crimson Idol’ non era così personale come la gente può pensare: quando ho creato il personaggio di Jonathan, l’ho fatto prendendo spunto da diverse persone, non solo da me stesso. Diciamo che in lui c’è forse un 10% di me. Sai, qui a Hollywood, dove c’è una grande industria cinematografica, dicono che per realizzare un buon film bisogna dare credibilità ai personaggi, fare in modo che siano il più possibile ‘reali’: bisogna dar loro una personalità, un passato, bisogna far capire quali sono i loro amici, che cosa mangiano, cosa conoscono… insomma, chi sono. Questo al fine di farli apparire veri e credibili, ed è ciò che ho cercato di fare con Jonathan, che altro non è se non la combinazione di alcune persone che ho avuto modo di conoscere nel music business. Ho preso un po’ della personalità di ciascuno e come dicevo, un 10% di me stesso, ottenendo alla fine un personaggio che è in pratica un miscuglio di almeno sei persone distinte. Quindi, ripeto, ’The Crimson Idol’ non era poi talmente autobiografico ed il nuovo concept che sto preparando potrà assomigliargli in certi punti, ma anche esserne molto distante.

Nei vostri dischi c’è sempre stato, più o meno, un messaggio da lanciare. Al punto in cui sei adesso, comporresti ancora musica solo per divertimento, senza voler comunicare qualcosa di particolare?
Credo di sì, prima o poi può accadere e d’altra parte a noi è successo con ‘Helldorado’, che era, diciamo, l’anti-‘K.F.D.’: dopo aver realizzato un disco talmente arrabbiato ed oscuro, volevo divertirmi un po’! Vedi, quando io e Chris ci siamo riuniti, eravamo entrambi in una situazione abbastanza brutta: lui aveva appena divorziato, mentre io stavo con una ragazza che, dopo tre anni di relazione, mi aveva appena confessato di essere lesbica! Io ero uno che pensava sempre di essere un buon ‘psicologo’ e di poter capire bene il carattere di una persona… mi sbagliavo e questo fatto ovviamente mi ha mandato su tutte le furie! Perciò io e Chris ci siamo trovati a comporre il disco più oscuro, sgradevole e cattivo che potessimo fare: ‘K.F.D.’ è un’istantanea del periodo che noi due stavamo attraversando e potrebbe essere facilmente definito con una sola parola: ODIO! Eravamo incazzati col mondo intero e credo che lo abbiamo dimostrato con quel disco e specialmente il tour che è seguito subito dopo, che considero uno dei migliori mai fatti dagli WASP, anche se in effetti abbiamo scandalizzato molta gente perché avevamo uno show particolarmente forte. Dopo l’album e il tour ci siamo sentiti decisamente meglio, per noi è stato un po’ come andare dallo psichiatra, eravamo riusciti a liberarci della nostra rabbia. A quel punto ci siamo chiesti: ‘cosa ci piacerebbe fare adesso?’ e così è nato ‘Helldorado’. Forse è anche per questo che a volte la nostra carriera presenta dei cicli: il fatto è che componiamo le nostre canzoni seguendo l’ispirazione di un dato momento e i nostri album rispecchiano esattamente chi siamo in quel momento, non chi siamo stati cinque anni prima o chi vorremmo essere dopo altri cinque. Lo stesso ovviamente è accaduto per ‘Dying For The World’, sto vivendo un periodo in cui penso molto al futuro e mi interrogo su dove andremo a finire; mi è quindi venuto spontaneo volerne parlare in un mio album e voler rendere partecipe chi lo ascolta. Sinceramente, credo che ogni artista che si rispetti abbia una responsabilità nei confronti del proprio pubblico, anche solo per il fatto di essere ancora in attività dopo tanti anni. All’inizio non volevo saperne nulla di responsabilità, quando abbiamo pubblicato i primi due dischi pensavo solamente a divertirmi e mi andava bene così, per lo meno per quanto riguarda la parte strettamente musicale, visto che durante i concerti cercavamo comunque di lanciare dei messaggi al pubblico tramite il nostro show. Ad un certo punto però sono arrivato a chiedermi se avessi davvero voluto continuare a proporre solo quel tipo di musica, il che mi ha portato alla fine a realizzare ‘The Headless Children’. Mi ricordo che i rappresentanti della EMI, una volta ascoltati i demo per quel disco, vennero da me a dirmi che quel materiale non suonava come gli WASP, che non avremmo dovuto pubblicare un disco del genere, che non era ciò che la gente si aspettava da noi, ecc. ma io risposi semplicemente che quelle canzoni rappresentavano ciò che eravamo in quel momento. Ripensandoci, il motivo per cui abbiamo voluto interpretare la canzone ‘The Real Me’ degli Who era che questa simboleggiava per noi una sorta di confessione: quelli eravamo noi, senza finzioni. Penso che un artista debba credere in se stesso e fare ciò che realmente si sente, ma questo include anche essere consapevoli di correre dei grossi rischi: infatti, sia per la realizzazione dello stesso ‘The Headless Children’ che per quella di ‘The Crimson Idol’ la EMI mi aveva avvertito che se i dischi non fossero andati bene, il nostro rapporto si sarebbe interrotto lì. Per fortuna i risultati ci hanno dato ragione, ma sono ben consapevole del fatto che se quegli album fossero stati dei fiaschi, la nostra carriera si sarebbe conclusa bruscamente. Oggi sono certo che se non avessimo pubblicato ‘The Headless Children’ in quel preciso momento, quando cioè l’hard rock degli anni ’80 era in profonda crisi, adesso non saremmo qui ma saremmo affondati insieme a tutte le altre band di quel periodo.

Concludiamo con una domanda di rito: quando tornerete a suonare in Italia?
Penso che torneremo sicuramente dopo aver pubblicato il prossimo album. Non effettueremo tour per ‘Dying For The World’ poiché preferisco concentrarmi sul lavoro per completare il nuovo concept, a cui voglio dedicare la massima attenzione. Per ‘The Crimson Idol’ eravamo rimasti in tour per quasi un anno ed anche questa volta ho ragione di credere che succederà più o meno la stessa cosa, per cui allestiremo un tour lungo ed impegnativo che senz’altro toccherà anche l’Italia.

Intervista a cura di Michele 'Freeagle' Marando

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