Hungryheart: cuori affamati di rock & melodia.

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Considero gli Hungryheart uno dei migliori esempi di hard-rock melodico presenti oggi sulla scena.
E in tale valutazione, il fatto che siano “anche” italiani, è da considerare soltanto un’emozionante appendice d’orgoglio da aggiungere a un percorso artistico inattaccabile, giunto con il nuovo “Dirty Italian Job" (qui la nostra recensione a cura di Andrea Lami) a un livello di maturità e varietà espressiva davvero invidiabile.
Avere la possibilità di parlarne diffusamente con Mario Percudani, uno dei principali responsabili di questo splendido risultato, è stato per me un grande piacere e onore, che mi ha consentito ancora una volta di costatare quanto sia importante la “passione” (oltre alla competenza, ovviamente …) per realizzare dischi di enorme valore e conquistare un’ampia e gratificante credibilità internazionale (basta leggere il curriculum del nostro per rendersene immediatamente conto …) e quanto tale dotazione sia poi probabilmente fondamentale anche per conservare quella disponibilità e quella semplicità concessa solo a chi la musica la vive in maniera davvero sincera e “totalizzante” (e non è un caso se un concetto analogo era già stato espresso nella recente intervista ad Alessandro Del Vecchio …).
E’ grazie a “gente” come questa che l’Italian Wave Of Melodic Rock è qualcosa di più concreto e reale di una semplice iperbole “giornalistica” … don’t stop believin’, guys …

Ciao Mario, innanzi tutto, da grande ammiratore degli Hungryheart, lasciami dire che sono molto felice di ospitarti sulle nostre pagine … grazie e benvenuto … presentati a chi (e mi dispiace molto per lui o lei …) non conosce te e la tua favolosa band …
Ciao Marco e tutti i lettori di Metal Hammer. Il piacere è davvero mio e ricambio l’ammirazione per la passione che mettete ogni giorno nel lavoro che fate. So che possono sembrare frasi di circostanza, ma sono sempre consapevole dell’importanza del vostro supporto.
Sono qui con voi in occasione dell’uscita del nuovo album degli Hungryheart, il nostro terzo e “soffertissimo” disco … Sofferto perché esce a distanza di cinque anni dal precedente, anni intensissimi di lavori e collaborazioni che non ci hanno permesso di farlo uscire prima, ma che nello stesso tempo hanno implementato il nostro bagaglio musicale, rendendolo per noi un disco davvero tanto atteso e sentito.
Iniziamo a parlare di “Dirty Italian Job" il vostro nuovo album, partendo dai primi due lavori degli Hungryheart … dovendo esplicitare tramite una sola “illuminante” descrizione ogni episodio della vostra discografia, quali sarebbero le tue parole?
Potrei sintetizzare con una sola parola: Evoluzione. Parola che credo accomuni molte band che come noi hanno voglia di continuare negli anni a dire qualcosa. Ripercorrendo la nostra storia e la nostra discografia abbiamo cercato di evolverci, pur mantenendo il nostro stile e il nostro sound che naturalmente negli anni ha preso sempre più forma e carattere grazie anche a un’intensa attività live.
Il primo album omonimo esce nel 2008, dopo esser rimasto nel cassetto per alcuni anni a causa di mille vicissitudini. E’ un album genuino, realizzato con un budget ridotto, ma che ci è servito per iniziare a farci conoscere tra gli amanti del genere, soprattutto all’estero. Con “One Ticket To Paradise” realizzato due anni dopo, abbiamo iniziato a maturare sotto l’aspetto del songwriting e rappresenta l’anello di congiunzione con quest’ultimo “Dirty Italian Job”, sicuramente il nostro disco più maturo.
Personalmente considero “Dirty Italian Job" una sorta di “summa” della vostra versatilità artistica … ci racconti qualcosa di com’è nato e di quali sono stati i passi fondamentali del percorso ispirativo che vi ha condotto a un risultato così variegato, maturo ed emozionante?
A dir la verità non c’è nulla di programmato ed è una delle caratteristiche che più amo sottolineare quando parlo di questo nuovo disco. Se esiste un’idea di base è stata semplicemente quella di lasciarci andare alla realizzazione di un album che potesse rispecchiare totalmente ciò che siamo oggi come musicisti e quindi anche come persone. Questo binomio a mio avviso è fondamentale per cercare sempre di fare musica con il cuore, cercando ispirazione in maniera spontanea da tutto ciò che ci succede e ci circonda. Mi piace dire che è un album realizzato alla vecchia maniera, suonando e assimilando i pezzi e cercando di dare priorità all’insieme e a quelle dinamiche che si possono ricreare solo suonando l’uno per l’altro. Sotto l’aspetto musicale la matrice fondamentale è l’hard rock melodico ispirato alle nostre principali influenze che vengono soprattutto dagli ’80 e ’90, ma è facile riconoscere al suo interno diverse altre contaminazioni.
Ho avuto la fortuna di produrlo nel mio studio in Tanzan Music e il fatto di seguire ogni singola fase della realizzazione, ad eccezione del mastering realizzato da Brad Vance in California, ha contribuito a ottenere il risultato che avevamo in testa.
Normalmente, soprattutto quando, a causa di una qualità costante, non sono in grado di operare agevolmente delle selezioni, a questo punto mi piace chiedere agli intervistati quali sono i loro brani preferiti dell’ultimo disco e li prego di giustificare le loro scelte … di solito le risposte sono abbastanza “evasive” e tirano in ballo la metafora dell’impossibilità di scegliere uno dei propri “figli” … vediamo come te la cavi …
Confermo che non è una scelta facile! Ci sono alcuni brani in quest’album che sono stati scritti in particolari momenti della nostra vita e tra questi ci sono sicuramente “Nothing But You” e “Shoreline” … “Time For The Letting Go” è dedicata a un aneddoto che ci ha emozionato ... una lettera in un forum americano di una persona, di cui non conosciamo l’identità, che ascoltando il nostro precedente album “One Ticket To Paradise” ha trovato la forza e lo stimolo per voltare pagina e raggiungere il suo paradiso in un altro posto.
E aggiungo “All Over Again” perché è il brano che ha dato il via al disco.
Per il singolo “Shoreline” avete realizzato un suggestivo video e la toccante “You Can Run” era già stata inclusa nel tuo disco solista … ti chiedo di raccontarci i dettagli della prima circostanza e i motivi che vi hanno fatto decidere di riproporre uno dei pezzi di “New Day” …
Il video di “Shoreline”, realizzato da Riccardo Bernardi con la collaborazione di Daniele Ventola, è stato girato sulle rive del Po, il fiume della nostra terra (Lodigiano), ma anche delle nostre origini. È il luogo dove tanti anni fa io e Josh Zighetti, cantante degli Hungryheart, andavamo a scrivere le prime canzoni e ci è sembrato giusto renderne omaggio.
“You Can Run” l’avevo scritta originariamente pensando potesse essere adatta per gli Hungryheart e nello stesso tempo è un brano al quale tengo particolarmente. Quando decisi di inserirlo nel mio album solista “New Day” scrissi una strofa diversa insieme al produttore Marco Tansini e da quel momento la versione originale è rimasta da parte ... una sera abbiamo provato suonarla a nostro modo e ci siamo subito resi conto che sarebbe stata perfetta per il nuovo album!
Apprezzo molto il vostro approccio ai testi … semplice e “positivo” ma mai banale, senza dimenticare un pizzico di sarcasmo (il titolo stesso dell’album è abbastanza eloquente in questo senso …) … come scegliete i temi da trattare nelle canzoni?
Spesso i brani nascono contemporaneamente con un’idea di titolo e da lì si sviluppano cercando di esprimere ciò che vogliamo dire o raccontare. La maggior parte dei testi parla di noi, nostre esperienze passate e presenti, ma anche di sogni e speranze. “Shoreline” ad esempio è la metaforica linea di confine sulla quale sempre cerchiamo di rimanere in equilibrio, una costante per chi fa una vita come la nostra e non solo.
“Right Now” invece è il brano che s’ispira al titolo dell’album, parla del nostro povero paese che sembra aver perso la memoria del proprio passato, pur avendo lasciato il segno ovunque …
Tecnicamente parlando, si cerca comunque sempre di dare importanza alle metriche e alla musicalità delle parole, a mio avviso un aspetto importante nei generi melodici come il nostro.
Adoro anche il modo in cui affrontate l’insidiosa prova delle cover, realizzando trascrizioni sempre vitali e rispettose … prima “Gina”, poi “Man in the mirror” e ora “Bad Love” di Eric Clapton (elaborata come avrebbero potuto farlo i Mr. Big!), sono dimostrazioni lampanti di queste prerogative … come vi ponete di fronte a questa difficile operazione? Quali sono i criteri che vi portano a stabilire i pezzi da rivisitare? Quando riserverete il “trattamento Hungryheart” alla monumentale “Can't turn it off”, con te nel ruolo di Kulick, Josh a reinterpretare nuovamente i panni Bolton-iani e magari Alessandro Del Vecchio nel ruolo che fu del divino Mangold?
Penso che una delle cose più affascinanti sia affrontare una cover cercando di suonarla come se fosse un pezzo che hai appena scritto e interpretarla con il proprio gusto e stile. E’ un bel modo per rendere omaggio a un brano che ami. A proposito di “Bad Love”, abbiamo sempre pensato che potesse essere perfetta per essere rivisitata con un vestito hard rock e il fatto che fosse scritto da un artista proveniente da un genere molto diverso ha reso la sfida ancora più emozionante.
Quanto a “Can’t Turn it Off”... che dire … brano meraviglioso ... Non male come idea!!
L’ultimo nome citato, il quale, tra l’altro, ha partecipato fattivamente alla realizzazione "Dirty Italian Job", mi consente di chiederti se, dall’alto delle tue innumerevoli frequentazioni internazionali, ritieni che grazie a gruppi come voi, i Perfect View, i Wheels Of Fire e i MainStreet, e artisti come lo stesso Alessandro, Pierpaolo "Zorro11" Monti, Gianluca Firmo e Stefano Lionetti, oggi esista davvero, al di là delle suggestioni “giornalistiche”, una “via italiana” al rock melodico, magari prive delle nostre ataviche gelosie …
Certamente! Credo che diverse uscite degli ultimi anni molto apprezzate anche a livello internazionale siano la dimostrazione che davvero qualcosa di buono si è fatto. Ho collaborato e tuttora collaboro con molti dei nomi che hai menzionato e anche la stessa connessione che esiste tra queste persone è un aspetto molto positivo e che può fare solo bene alla scena. Ne approfitto per salutare Pierpaolo Monti che per la scena italiana sta facendo davvero tanto!
Tra gli ospiti del Cd c’è anche Giulio Garghentini, singer piuttosto apprezzato dal sottoscritto ai tempi dell’uscita del suo “Believe”, uscito per la tua Tanzan Music e a cui hai contribuito assieme ad altri membri e coadiutori degli Hungryheart … ci dici qualcosa di questo sodalizio?
Io e Giulio ci siamo incontrati per la prima volta nel 2011. Avevamo lo stesso manager olandese che ci ha messo in contatto proprio perché aveva in mente di realizzare un suo album solista e da quel momento è nata, oltre alla collaborazione, una grande amicizia. Produrre “Believe” è stato molto stimolante perché è un lavoro che vede al suo interno molte contaminazioni; è un album melodic rock, ma con diverse influenze anni ’70 e con la presenza costante dell’hammond suonato da Paolo Apollo Negri. Gli altri musicisti sono Paolo Botteschi (batterista degli Hungryheart) e Gianni Grecchi al basso.
Recentemente è uscito il terzo video tratto dall’album in collaborazione con l’associazione A.DI.CA e con la regia di Roberto Lena (SKY) con lo scopo di sensibilizzare l’argomento dell’abbandono dei cani. Giulio è sempre attivo su questi aspetti e tra l’altro è anche un docente apprezzatissimo di Tanzan Music Academy.
Lo abbiamo appena detto, la tua esperienza e la tua “credibilità” hanno ormai raggiunto livelli “planetari” … cosa ci puoi rivelare in merito a questa tua prestigiosa attività con Mitch Malloy, Ted Poley, Axe, Bailey, Kelly Keeling, ecc.
Come dicevo prima sono stati anni intensi di collaborazioni e album, e non solo nell’ambito Hard Rock/AOR.
Riguardo agli artisti che hai nominato, sono state esperienze che mi hanno dato molto come musicista e che mi hanno permesso di suonare in diversi paesi all’estero e in festival come Firefest e Sweden Rock, Frontiers Festival, Melodic Rock a Chicago, ecc … Al momento, insieme ad Alessandro Del Vecchio, Anna Portalupi e Alessandro Mori, stiamo lavorando sul nuovo album di Ted Poley, prodotto dallo stesso Del Vecchio e che uscirà il prossimo anno.
Questione live … come e quando vi potremo apprezzare dal vivo e come hai vissuto la tua partecipazione “attiva” alle edizioni dell’appena menzionato Frontiers Rock Festival?
Anche in questo caso è stata un’esperienza fantastica, sia il primo anno con Issa che l’ultima edizione ... suonare con Ted Poley brani con i quali sono cresciuto è stato qualcosa di davvero emozionante. E il fatto di poter passare alcuni giorni a contatto con molte band e mostri sacri del genere, ha reso il tutto ancora più unico. Tornando agli Hungryheart, attualmente stiamo facendo alcune date italiane e subito dopo l’estate inizieremo a suonare all’estero, iniziando da Olanda, Germania e Svizzera.
Sei un grande chitarrista (e un ottimo cantante, pure …), con uno stile accostato a venerabili dello strumento del calibro di Pete Lesperance, Mike Slamer, Neil Schon e Paul Gilbert … quali sono i tuoi veri “numi tutelari”?
Ti ringrazio Marco! Sono un autodidatta e ho un modo di suonare molto istintivo … difficilmente suono lo stesso brano allo stesso identico modo e non amo eseguire parti o soli a memoria … potrebbe essere considerato un limite, ma nel mio piccolo è il mio modo di esprimermi … Ho imparato a suonare ascoltando e assimilando stili anche molto diversi tra loro. Sicuramente alcuni dei chitarristi del genere che più ho amato sono Steve Lukather, Dann Huff, Van Halen, Michael Thompson (potrei citarne molti altri!), ma anche altri più bluesy come Kotzen, Robben Ford e Larry Carlton.
Ora ti chiedo di approfondire due dichiarazioni che “qualcuno” (ovvero lo stesso Mario e il singer Josh Zighetti nell’Official EPK del disco … n.d.a.) ha affidato alle frenesie della Rete: ‘"Dirty Italian Job" è un album atteso soprattutto da noi …’ e poi “gli Hungryheart, prima di essere musicisti sono grandi amici …’ …
Ahahha … credo di sapere chi l’ha detto ... L’uscita di un terzo album per una band è quasi sempre un momento importante e delicato. Da una parte c’è quella sana ansia di sapere se sarà apprezzato e dall’altra la speranza che venga accolto come una riconferma di ciò che si è fatto fino a quel momento. Quando lavori molto su una produzione rischi di perdere l’obiettività e fino a quando non arriva agli ascoltatori non puoi prevedere effettivamente come sarà accolto. E’ stato un album atteso soprattutto da noi per tutti questi motivi e perché avremmo voluto realizzarlo almeno un paio di anni fa, ma come dicevo prima non è stato possibile per i troppi impegni.
Ora ci sentiamo molto più rilassati nel vedere i riscontri positivi da parte dei media di tutto il mondo del Rock Melodico e la cosa ci riempie davvero di gioia oltre a darci nuovi stimoli.
Sono convinto che questo nuovo “Dirty Italian Job” sia anche la logica conseguenza del rapporto e l’amicizia che c’è tra di noi all’interno della band e chi avrà voglia di venirci a vedere dal vivo lo potrà chiaramente notare anche sul palco. Josh Zighetti, con il quale sono cresciuto, Paolo Botteschi e Stefano Scola sono prima di tutto grandi amici e splendide persone, oltre ad essere rari musicisti. E ognuno di loro ha saputo mettere il proprio segno distintivo in ogni singolo brano dell’album ...
Siamo alla fine, grazie ancora e di nuovo complimenti … in conclusione oltre ai saluti per i nostri lettori, ti chiedo di suggerir loro il nome di una band “emergente” di valore e quello del gruppo appartenente alla “scena” melodica che ritieni più “criminalmente” sottovalutato …
Grazie a te Marco, a tutto lo staff e ai lettori di Metal Hammer. E’ stato davvero un piacere!
Più che suggerire una singola band, spero che sempre di più venga supportata la scena italiana dagli amanti del genere perché è solo così che potranno nascere sempre più realtà interessanti anche dal nostro paese e svilupparsi condizioni migliori per poter proporre i propri dischi dal vivo.
Un gruppo sottovalutato? Ahahah ... ovviamente gli Hungryheart!
Ciao a tutti!
Intervista a cura di Marco Aimasso

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