Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2021
Durata:47 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. THE SECOND CRUSADE (INTRO, INSTRUMENTAL)
  2. NEVER SAY DIE
  3. HYPNOTIZED
  4. SHADOWS OF ETERNITY
  5. KILIMANJARO
  6. WHERE DOES IT HURT
  7. MY KALEIDOSCOPE ARK
  8. DIRTY LITTLE SECRET
  9. CALL OF THE WILD
  10. NORTHBOUND (INSTRUMENTAL)
  11. HARD LOVE
  12. SILVER LINING

Line up

  • Glam (Åge Sten Nilsen): vocals
  • Teeny (Trond Holter): guitars
  • Flash (Bernt Jansen): bass
  • Sporty (Øystein Andersen): drums

Voto medio utenti

Nelle vicende del vivere quotidiano è piuttosto raro che la classica “pausa di riflessione” sia una soluzione efficace per recuperare rapporti logori e incrinati, mentre non è inconsueto che mettere temporaneamente in stand-by un progetto musicale diventi un modo proficuo per recuperare l’intesa e l’ispirazione, dimenticando incomprensioni e routine.
Ed è proprio quello che è successo ai Wig Wam, monicker accantonato dopo l’uscita di “Wall street”, consentendo ai membri della band altre frequentazioni artistiche (il cantante Åge Sten Nilsen con gli Ammunition, mentre Bernt Jansen e Trond Holter hanno collaborato con Jorn e unito le forze negli Holter), verosimilmente, come vedremo, propedeutiche a questo eccellente ritorno.
Never say die” è un albo che prosegue nel processo di “indurimento” sonoro e di pragmatismo espressivo già rilevabile nei precedenti più recenti della parabola artistica dei norvegesi, e lo fa con una rinnovata verve ed energia, implementando quell’equilibrio che era venuto un po’ a mancare nel disco del 2012.
Meno lustrini e via libera a una formula espositiva maggiormente heavy e coriacea, insomma, in cui la “lezione” di Rainbow, Whitesnake, Eclipse e di (certi) Masterplan diventa spesso predominante su quella garantita da Sweet, Motley Crue, Kiss e Poison.
Superata l’eventuale delusione dei glam-maniacs, non rimane che accogliere “Never say die” come una vera e propria forma di “riscatto” inscenata da una formazione che dimostra di saper trattare la “nuova” materia con disinvoltura e tensione emotiva, chiarendo fin da subito i suoi bellicosi propositi.
La title-track dell’opera, collocata subito dopo l’epica introThe second crusade”, è una dichiarazione d’intenti piuttosto eloquente, recapitata all’astante attraverso una vigorosa linea melodica e un coro da contagio istantaneo.
Con “Hypnotized” il clima acquisisce un pizzico di superiore “ruffianeria” (soprattutto nel refrain), pur mantenendo intatta la forza d’urto, e se la successiva “Shadows of eternity” striscia nei sensi subdola e conturbante, “Kilimanjaro” aggiunge alle suggestioni dell’incisione un accattivante tocco rootsy, finendo per evocare nella memoria una sorta di cooperazione tra Jon Bon Jovi, Aerosmith e Ammunition.
Il groove possente e lascivo di “Where does it hurt” mescola Ratt, Alice Cooper e Jorn, e l’arrivo della ballata “My kaleidoscope ark”, sebbene quest’ultima non sia esattamente un “capolavoro epocale”, rafforza l’impressione di un programma ben calibrato, privo di autentiche controindicazioni.
Le folgori street-metal scagliate da “Dirty little secret” e da “Call of the wild” (con un ritornello che mi ha ricordato qualcosa di “Beat it” di Michael Jackson … avrò bisogno di riposo?), lasciano il posto all’elegiaco strumentale “Northbound“, seguito da una canicolare e “serpentesca” “Hard love” e da “Silver lining”, un altro suggestivo momento passionale, in cui (ri)affiora il retaggio seventies e glitterato dei Wig Wam.
Allontanarsi per poi ritrovarsi, alimentati da nuovi stimoli … “Never say die” dimostra che è una cosa possibile, almeno nel variopinto carrozzone del Rock n’ Roll.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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