Copertina 6

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2006
Durata:46 min.
Etichetta:Silverdust
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. IN
  2. STOMPING OUT IGNORANCE
  3. TWO FINGERS
  4. HATERIOT
  5. HOMEMADE FUNERAL
  6. CRAWLER
  7. BURIED IN SNOW
  8. ALWAYS HAVE ALWAYS WILL
  9. THIS IS THE WORST DAY….SINCE YESTERDAY
  10. D-MOOD
  11. OUT

Line up

  • Joachim Baschin: guitar, vocals
  • Thomas Jentsch: bass
  • Rainer Pflanz: drums

Voto medio utenti

Confesso di sapere poco riguardo ai precedenti dei tedeschi Undertow, se non che si sono formati nel ’93 e proprio tre anni fa, alla scadenza del decennale di attività, hanno pubblicato l’album “34CE” ottenendo buoni consensi di critica e pubblico oltre alla possibilità di imbarcarsi in tour di una certa importanza.
Dunque dei veterani, anche se non proprio di primo piano, che osservandoli in foto mi facevano presagire, chissà perché, un assalto di pestoni ultra-metal. Invece il trio ha impostato la propria linea in funzione di quel sound moderno, sicuramente aggressivo ed aspro ma sfuggente ad una precisa etichettatura, che ultimamente sembra aver successo anche fuori dai confini della musica heavy.
Uno stile che non manca di pesantezza a tratti squassante ma non è solamente ed unicamente metallico, pur se alla base evidenzia tracce di thrash/hardcore serrato e tagliente. Neppure esattamente rock, sebbene la componente di violenza venga costantemente stemperata da inserti melodici, parentesi di tranquillità vicine all’ombrosità del post-grunge o di certo stoner nord-europeo.
Se aggiungiamo la presenza di molti passaggi vocali forti della rabbiosa orecchiabilità insinuante che ti ritrovi a memorizzare quasi senza accorgertene, si comincia a capire perché questo progetto ibrido riesce a conquistare anche gente non abituata alla musica dura.
I brani di questo “Milgram” mostrano grande attenzione nell’equilibrare cattiveria, intensità ed accessibilità. Per evitare rischi gli Undertow non escono mai dal sentiero che si sono imposti, procedono senza esitazioni in modo preciso ed ordinato con suoni privi di sbavature e rinunciando a dilungarsi in fasi strumentali o ad effettuare cambi di passo se non strettamente necessari. Vietata qualsiasi divagazione sul tema principale ed eliminate perfino le parentesi solistiche, un tempo irrinunciabili in questo contesto.
Presumendo che l’obbiettivo degli Undertow sia quello di un lavoro che vada incontro a diverse esigenze d’ascolto, il risultato ottenuto è sicuramente apprezzabile. I tedeschi ovviamente adottano il consueto e stra-abusato schema di alternare episodi massicci e bellicosi con brani più distesi e drammatici, espediente diventato un classico analogo a quello cinematografico del duetto “poliziotto buono-poliziotto cattivo”.
Da una parte abbiamo le spallate bombastiche, con riffs scolpiti nel cemento inseriti su martellanti ritmiche ad orologeria, dominate dal barbarico assalto vocale di Joachim Baschin (“Stomping out ignorance, Crawler, D-mood”)
Dall’altra ci sono gli slow carichi di una tensione che sembra presa a prestito dalla gelida morsa dell’inverno nordico, spaziando dal modello tutta sofferenza armato di passo greve e funereo (“Homemade funeral”), alla cadenza severa con toni ieratici che ricorda qualcosa degli ultimi Metallica (“Always have always will”), per spingersi fino alla vera e propria ballata acustica pur se di breve durata (“This is the worst day..”).
A seconda delle competenze personali i tedeschi possono venir associati a svariati colleghi, ad esempio i già citati Metallica (nuovo corso..) oppure i label-mates End of Green. Nel mio caso li trovo molto simili a gente come i Sunride e soprattutto gli El Caco, altro power-trio che, a quanto sto notando di recente, grazie ai suoi successi è riuscito ad avere un’influenza superiore a quanto ritenevo possibile.
Ed infatti gli Undertow mi provocano lo stesso effetto a scoppio ritardato del terzetto norvegese, inizialmente non scorgo falle evidenti nel loro lavoro che mi risulta anche gradevole, ma dopo ripetuti ascolti finiscono inevitabilmente per sembrarmi monotoni. Sarà quell’incedere marziale, militaresco, che non ammette distrazioni come se le canzoni fossero soldatini da tenere in riga. Sarà quel sottile sottofondo di seriosità da metal-defender convertito che rende tutto così squadrato e precisino, quasi una conversione musicale degli stereotipi sull’efficienza teutonica, o ancora l’implacabile ripetersi dell’alternanza di fasi vocali raucamente urlate con quelle pulite e passionali, ma la mia eccitazione verso dischi come questo svanisce piuttosto velocemente.
Ciò non toglie che la scorsa estate in Scandinavia ho visto l’ultima uscita degli El Caco scalare prepotentemente le classifiche di vendita, per cui nulla vieta agli Undertow di fare lo stesso o magari anche meglio con il loro “Milgram”. E’ un’album fatto bene e vanta i suoi pregi, uno su tutti quello di avere a disposizione alcuni brani che possono attrarre pubblico non specializzato nei generi heavy. Per chi invece, come il sottoscritto, è cultore di nicchie più impulsive e disordinate, il consiglio è di passare la mano.

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