Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2017
Durata:81 min.
Etichetta:Crime Records

Tracklist

  1. NATAS FO LIVE
  2. THE VILLAGE
  3. BARBARA THE WITCH
  4. RED HOODED DEVILS
  5. PETER CROW
  6. THE BURNING PYRE
  7. END OF THE BEGINNING
  8. THE HEADLESS HORSEMEN
  9. OFFICER GREEN
  10. A LADY IN WHITE
  11. RETURN OF THE WITCH
  12. INTO THE ABYSS
  13. LOCKED UP IN SNOW (KING DIAMOND'S BLACK ROSE COVER)
  14. LET IT DIE (OZZY OSBOURNE COVER)
  15. KILLED BY DEATH (MOTöRHEAD COVER)
  16. IRON MAN (BLACK SABBATH COVER)
  17. SPEED KING (DEEP PURPLE COVER)
  18. GYPSY (URIAH HEEP COVER)

Line up

  • Christer Slettebø: vocals, lead guitar
  • Bjørnar Grøsfjell: guitar
  • Eimund Grøsfjell: bass
  • Egil Mydland: drums

Voto medio utenti

Barbara the witch” è il terzo album in studio dei Critical Solution, e, devo ammetterlo, finchè non mi è stata proposta questa recensione ero completamente ignaro dell’esistenza di questa band norvegese. Incuriosito ho accettato il compito, e quando mi è arrivato il promo la prima cosa che mi ha colpito è stata la presenza di un bonus CD con una serie di cover. Perché, direte voi? È un’usanza ormai abbastanza diffusa. E infatti non è stato certo questo a colpirmi, quanto la scelta dei gruppi coverizzati: Black Rose (prima band di King Diamond, per chi non lo sapesse), Uriah Heep, Deep Purple, Ozzy Osbourne, Black Sabbath e Motorhead, tutte band che ti aspetteresti relativamente se il gruppo in questione suona thrash metal. La cosa mi ha stuzzicato, e ho sperato da subito che qualche influenza di queste band seminali fosse confluita anche nel sound generale del quartetto.

Fortunatamente la mia intuizione ha trovato riscontro nel momento in cui ho iniziato ad ascoltare l’album. E se le influenze di Uriah Heep e Deep Purple sono veramente minime, e si limitano a qualche inserto melodico qua e là (“Red hooded devils”, per esempio), molto più marcate sono quelle del Re Diamante, sia per le tematiche trattate, legate al mondo dell’horror, sia per la presenza di Andy LaRocque in veste di produttore. Ed effettivamente diversi sono i richiami alle sonorità di King Diamond, che vanno a rendere la proposta nettamente più interessante e varia. Il thrash metal della band, di chiara derivazione Metallica, infatti, viene sporcato da innesti più classici, e il riffing e il drum works sono sempre vari e sul chi va là, con numerosi cambi di tempo e di atmosfere.

Tutto bellissimo, quindi, direte voi, no? E invece no, perché qualcosa che va storto deve sempre esserci, la legge di Murphy è sempre dietro l’angolo, nella fattispecie sotto forma del singer Christer Slettebø, e come sempre mi accade in questi casi mi viene da chiedermi se la gente è sorda o cosa. Come si fa a rovinare tutto questo ben di Dio con un vocalist che sta a metà strada tra un King Diamond afono e un James Hetflied periodo “Load”? Possibile che in tutta la Norvegia i nostri non siano stati cazzi di trovare un singer all’altezza, in grado di valorizzare l’ottimo lavoro compositivo che c’è dietro questi brani? E qui mi sorge il dubbio che Christer, in quanto anche lead guitarist, sia anche il leader della band, e in preda a delirio di onnipotenza non abbia, come spesso accade in questi casi, intenzionalmente voluto farsi da parte, condannando, in automatico, la sua stessa creatura a giudizi negativi.

È davvero un peccato, perché grazie anche a tetri arpeggi e ad inserti di organo, clavicembalo, pianoforte, e più in generale a sonorità horrorifiche che molto devono ad Alice Cooper, Arthur Brown, e ovviamente allo stesso King Diamond (stiamo parlando anche in questo caso di un concept album), i brani funzionano alla grande. L’ascoltatore è tenuto sempre sul filo del rasoio, perché non sa mai cosa aspettarsi dopo il prossimo riff, e questa è senz’altro una grande dote. L’album ti prende fin dal primo ascolto, è ricco di ottimi spunti ed è quanto di più vario e personale m’è capitato di ascoltare da molti anni a questa parte in ambito di thrash revival. Purtroppo, ripeto, l’abominio vocale ha abbassato di almeno un punto il giudizio finale sull’album, che, senza questo scempio, si sarebbe beccato tranquillamente un bell’8 e un bel Top Album.

Recensione a cura di Roberto Alfieri

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