Ho sempre nutrito profonda stima e simpatia per i
Tankard… Destino beffardo il loro, che li ha portati ad avere una carriera perennemente vissuta (ingiustamente, dal mio punto di vita) all’ombra della Sacra Triade tedesca, e che non gli ha tributato i giusti riconoscimenti e la giusta fama, rimasta relegata a livello di cult band. Ma, in fondo, a noi sta bene così, ed evidentemente anche a loro, visto che, incuranti di tutto, proseguono imperterriti per la loro strada, pubblicando l’ennesimo disco, il sedicesimo, all’insegna del thrash metal più cazzaro e ironico che possiate trovare in giro. Già, perché da sempre la loro formula è stata questa: thrash metal di pregevole fattura, impreziosito da testi ironici e spassosi, ed è stata proprio questa loro propensione al divertimento che li ha portati ad avere frotte di fan fedelissimi, sempre pronti a stappare una birra in loro onore. E manco a farlo apposta questo nuovo disco si intitola proprio “R.I.B.”, acronimo di Rest In Beer, e non potevamo aspettarci altro da Gerre e company. Partiamo proprio dalla ‘funebre’, si fa per dire, titletrack, beffarda come non mai e sorretta da un ottimo riffing di Andy Gutjhar, mai come in questo disco così ispirato. Ed è proprio merito del chitarrista, ormai nella band dal lontano 1998, se gli ultimi album dei Tankard hanno una marcia in più, anche rispetto ai grandi classici del passato, più diretti e incazzati ma sicuramente meno vari. Il suo stile melodico, infatti, s’è incastrato alla perfezione nel sound della band, arricchendolo e differenziandolo, dandogli un valoer aggiunto in più, grazie proprio alle aperture melodiche che il nostro inserisce qua e là, e grazie ai suoi ottimi assoli, molto di gusto. E come non nominare “Fooled by your guts”, “Enemy of order” o “Breakfast for champions”, esempi lampanti del loro stile? Ed è del tutto inutile tacciare la band di ripetitività, intanto perché non è vero, secondo perché non vedo per quale motivo bisognerebbe aspettarsi altro da loro, e terzo perché fino a quando i nostri saranno in grado di scrivere brani vincenti come “The party ain’t over ‘til we say so” non ci sono chiacchiere che tengono, io continuerò ad ascoltarmeli e a scapocciare, pur se conscio di come sarà accolto questo disco: con sufficienza e critica da un lato, dai soliti intellettualoidi del metal, che non riescono a discernere le cose e a capire quando è il caso di cercare novità, e, per fortuna, con allegria e spensieratezza dal lato opposto, da chi vuole semplicemente divertirsi un po’ con l’ennesima burla messa su dall’allegra combriccola di Francoforte…
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