Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2004
Durata:48 min.
Etichetta:Molten
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. TURN IT ON
  2. THE SCARLATTI TILT
  3. O.B.N.
  4. BLOODROCK
  5. KEEP ON PUSHIN’
  6. BEYOND
  7. SWEET TIME
  8. SYLVIE
  9. BLACK COUNTRY KILLER
  10. DEATH RIDES A HORSE
  11. UNWIND YOUR MIND

Line up

  • Mat Bethancourt: guitar, vocals
  • Sie Beasley: bass, vocals
  • Greg Baldwin: drums

Voto medio utenti

Secondo album per il power-trio Inglese, altro piccolo fenomeno di ruspante retrò-rock. Musica, voce, attitudine, perfino la grafica della copertina, tutto ciò che i Josiah esprimono è riferito ad un’epoca passata da tempo, ma grazie a quella strana alchimia che talvolta si sprigiona da un disco, nulla finisce per risultare anacronistico.
Il tiro è brillante e denso, a tratti quasi frenetico, si picchia forte e senza pause incrociando fuzz-sound e vocals Wyndorf-style, ci sono hard sguaiati ed anthemici che farebbero la gioia degli Hell’s Angels (“Turn it on, Keep on pushin”) e brani grezzi e fumanti alla Fu Manchu dritti al sodo senza fronzoli (“O.B.N., Beyond”) ma è viva ed abbondante anche la componente heavy-acida del rock seventies, così scopriamo una bella lista di ordigni pieni di energia psych debitori ai vecchi Monster Magnet. Groove esplosivo a partire da “The scarlatti tilt”, passando per la stralunata “Bloodrock” dai cori stranamente delicati e per la torrida “Black country killer”, finendo con l’immancabile monumento lisergico che qui s’intitola “Unwind your mind” ed è spezzato in due tronconi da un paio di minuti di vuoto silente.
Prima parte trippy-allucinata con voce sofferta ed enfatica e assolone ultra-distorto, seconda con solismo mesmerico e ritmica paludosa, tutto nel segno della consueta gigantesca nuvola di fumo creativo.
L’aspetto positivo dei Josiah è l’ottimo uso del bilancino nel dosare le parti toste, irruenti e muscolari con le aperture più leggere e stonate, sfuggendo a quegli aspetti soporiferi che ogni tanto affliggono i gruppi di questo genere. Non così flippati come i Gorilla o i 500ft of Pipe ma neppure rilassati e liquidi come On Trial o We, una via di mezzo che piace per grinta ed esuberanza. Il lato negativo è che si tratta di un trio di svaccati neo-fricchettoni senza tempo né voglia né volontà di rifinire i brani, limare qualche sbavatura, piallare le escrescenze, cosa che avrebbe fatto di “Into the outside” un discone da stordimento mentre così com’è si qualifica solo come buonissimo lavoro di settore.
La mia sensazione è che i Josiah siano più che soddisfatti di come stanno le cose e tra una serata a suonare in birreria ed un’altra a galleggiare nello spazio profondo, non si curino di simili sottigliezze. Però al di là delle apparenze c’è magari un cuore sensibile, la dolcissima parentesi acustica “Sylvie” memore dei Led Zeppelin folkeggianti fa pensare in tal senso. Ultimo cameo di un album assai ricco, visti i tempi correnti.

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