Tornano i
Funeral, band che sin dal 1991 porta avanti la propria fiera proposta del...funeral doom metal ovviamente, un monicker del genere è da questo punto di vista una garanzia.
Devo ammettere che, benchè il sestetto norvegese sia fra gli assoluti prime-movers di questo movimento, non sono mai riuscito a farmi stregare dalla loro proposta, forse un po' troppo goticheggiante e dark e troppo poco estrema e death per i miei gusti, sebbene certamente i nostri sappiano il fatto loro: devo riconoscere però di ammirarli per la loro coerenza, dato che nel mondo è pieno di band finto depresse che lo fanno solo per atteggiamento o gioco mentre ben due membri della band si sono suicidati nel corso della loro carriera, il che sebbene sia una cosa triste e tragica aumenta a dismisura la mia stima per loro, grazie a quella qualità che ormai nel mondo di oggi è sempre più una rarità: la coerenza.
"Bravi" dunque ad aver percorso il loro triste viaggio fino all'ultimo, sebbene questo ovviamente abbia sconquassato più volte la line up e lo stile dei Funeral, giunti oggi con
Oratorium al loro sesto full length album, per la prestigiosa
Grau Records: ancora una volta il loro discorso non mi fa impazzire benchè sia formalmente piuttosto ineccepibile. Il growl è praticamente scomparso, la componente romantica e decadente è ai massimi livelli ed echi di
Katatonia e
My Dying Bride si fanno pressanti come non mai.
Settantadue lunghissimi minuti di doom con pochissimi spunti personali e praticamente nessun momento degno di nota e soprattutto degno di essere ricordato dopo qualche mese dall'ascolto: per una band che percorre questo sentiero da 22 anni è un po' pochino, sebbene non possiamo assolutamente parlare di brutto disco: anzi "Hate" è sicuramente fatta molto bene e riesce nel difficile intento di emozionare, ma è troppo poco.
Sfortunati, coerenti, testardi: prendiamoli così come sono, per onesti mestieranti: è già tanto.
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