Baro Prog (Alberto Molesini): Italian prog-jets flyin’ high …

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Gruppo:Baro Prog

Prendendo spunto dalle prestigiose note del passato, si può ancora essere efficaci e vitali? Per quanto mi riguarda, la risposta è sicuramente affermativa, sebbene l’impresa sia ardua ed emergere dal pantano della scena musicale contemporanea sia sempre più difficile. Una “sfida”, questa, che sta coinvolgendo un po’ tutti i generi, e nell’ambito del prog-rock “classico” credo sia necessario segnalare il brillante lavoro di Alberto Molesini, alias Baro, artista dalla notevole esperienza e sensibilità che con il recente “Utopie” ha fornito prova di saper coniugare arrangiamenti sofisticati, facoltà evocative, cultura, versatilità e scorrevolezza.
Conosciamolo meglio …

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Ciao Alberto, grazie della disponibilità e benvenuto su Metal.it! Direi d’iniziare con il raccontarci qualcosa di te e del tuo (ricco) percorso artistico …
Ciao, grazie dell’invito e un saluto ai lettori di Metal.it.
Mi chiedi una breve bio … il mio è un percorso artistico lungo e umile, per la sua durata avrebbe certamente potuto produrre di più. Ma non lo cambierei. A fine anni 70 si è costituita La Sintesi, band di amici che ha avuto un buon riscontro locale. In quegli anni ho abbozzato i miei primi due progetti solisti con l’intento – realizzato in piccola parte - di divulgarli attraverso la band. Poi, durante gli anni dell’Università, a Milano, io e il cugino Emanuele abbiamo dato vita al progetto pop-metal ELAM. Ritornato a Verona sono stato ingaggiato dagli Hydra fino alla ricostituzione dei 4/5 de La Sintesi in una cover band chiamata Fratelli Brothers, che mi ha impegnato con circa 300 live per tutti gli anni 90. All’inizio del millennio, sazio di suonare dal vivo ho sentito il richiamo della composizione e le nuove tecnologie mi hanno permesso di riprendere e sviluppare idee abbandonate più di 10 anni prima, portando a realizzare la prima demo di Utopie. Poi l’incontro con Stefano Bigarelli dei Marygold, la reunion de La Sintesi, la scrittura di nuovi brani tra il 2012 e il 2017, la pubblicazione di “One Light Year” dei Marygold e l’incontro con Gianni Della Cioppa e Andromeda Relix. Questo mi ha portato finalmente nel 2019 alla pubblicazione dei miei primi due prog-jets scritti quasi 40 anni prima. E infine all’ultimo restyling di “Utopie”.
Ed eccoci dunque all’ottimo “Utopie”, il cui primo embrione, se non erro, risale addirittura al 2004 … cosa mancava al disco per poter essere finalmente rilasciato?
Diciamo la produzione. Quello del 2004 è stato un demo compositivamente del tutto analogo alla versione finale, ma i suoni di tastiere e batteria venivano dal set general MIDI di una Soundblaster ed erano decisamente poveri. Certamente non ci volevano 17 anni per correggere, ma la mia evoluzione ha avuto i suoi tempi, in cui ho ripreso i lavori di gioventù e scritto altro materiale, come poco fa accennato, che spero di pubblicare più avanti. Un grande cantiere aperto insomma, metafora che mi piace, in cui solo quando mi sono sentito di disporre della giusta strumentazione ho iniziato le finiture. Che hanno portato alla pubblicazione di 3 album, quelli che chiamo prog-jets, in due uscite a due anni di distanza. La mia produzione è rimasta artigianale, ma ha potuto essere adeguatamente curata.
Ho trovato molto interessante il concept che alimenta la tua nuova incisione… ce ne vuoi parlare?
Utopie” racconta una storia fantapolitica, parte da un colpo di stato, da una promessa di leggerezza dell'esistenza (insostenibile, direbbe Kundera) che si scopre essere contraddittoriamente alimentata dall’energia di un torneo violento. Poi il nuovo dittatore incarica filosofi e opinionisti dello sviluppo ideologico della sua utopia; gli esperti pongono l'obiettivo del superamento dei limiti fisici e del condizionamento della realtà sul pensiero. Il tentativo è quello di distorcere gli aspetti della realtà umana, vista come limite e negatività, in favore di una forma di sviluppo che è essenzialmente virtuale. E' un bel giardino, ma di ferro, in cui nulla si muove né cresce. Questo può bastare per un primo entusiasmo, ma prima o poi la realtà bussa. Nell'ultimo brano qualcuno intravede una presenza positiva nella realtà, e fugge dall'Utopia.
Sono temi comunque accennati, non cercate risposte dettagliate nei testi.

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Musicalmente si percepisce una grande sensibilità espressiva, devota ai “classici” del prog, ma sufficientemente carismatica da non rischiare “eccessi ispirativi”. Un disco, insomma, che mi sembra più “vissuto” che “studiato” … è una sensazione corretta? Cosa ci puoi dire sulla genesi e i numi tutelari dell’opera?
Musicalmente non sono né uno studioso né un teorico. Mi sono sorpreso un mesetto fa, vedendo un dibattito live di Fabio Zuffanti con La Maschera di Cera, a scoprire di avere in comune con lui un fratello più grande, da cui è arrivato il sacro fuoco, e l’essere autodidatta. Non essere troppo preparato teoricamente è certamente un limite, ma se accompagnato da una grande passione permette forse di affidarsi più liberamente alla propria ispirazione. Ho una formazione scientifica e m’intriga il rapporto tra musica e matematica, ma non mi sento spinto a ricorrervi. Del prog mi piace la varietà dei temi, la loro interazione, il fatto di proporli in modo multiforme. Mi piace scoprire questo nella musica che ascolto e provare a costruirlo, in questi miei cantieri, senza preoccuparmi dei tempi che questo richiede.
Naturalmente sono influenzato dai miei riferimenti “classici”; negli anni 90 ho seguito molto poco l’evoluzione del neo-prog, pertanto all’epoca erano i miti del prog anni 70: Yes, King Crimson, Genesis, ELP, Gentle Giant. Nulla di sorprendente.
Utopie” si apre con un pezzo abbastanza diverso dal resto del programma, per di più avulso dal suo soggetto portante … come mai hai deciso di affidare al clima poppettoso di “Non sento!” l’ouverture dell’albo?
Ho raccontato qui di come, tra “Non Sento!” e “Utopia” (prima suite del concept vero e proprio), ci sia una lunga fase di storia personale: una scelta non facile tra un genere più fruibile e la musica che mi piace davvero creare, unita a una crisi compositiva legata all’inadeguatezza degli strumenti musicali e soprattutto di registrazione, a me disponibili allora. Ho voluto condensare questa fase nella frazione di secondo che c’è fra i due brani. Comunque trovo interessante la posizione esistenziale che propone “Non Sento!”, a mio parere impegnata; e la musica, ancorché di matrice pop-AOR, penso vi si adatti bene. All’arrangiamento del brano aveva contribuito in modo determinante La Sintesi, e per dare testimonianza di questo ho pubblicato da pochi giorni un videoclip in cui sfila l’intera band.
Il resto del programma si dipana in quattro articolate composizioni, cangianti e coerenti, che hanno il merito di conciliare fantasia e intelligibilità … un preciso intento o il risultato del tuo innato approccio alla composizione e all’interpretazione musicale?
“Per volontà e per caso”, direbbe Boulez (in un libro che onestamente non ho letto). Non disegno la struttura di un brano articolato con un programma CAD, però nasce in testa e poi viene con calma sviluppata. Spesso una nuova idea se ne porta dietro altre rimaste non utilizzate nel passato, a volte remoto. Diventa un fenomeno divergente, durante il quale provo a esplorare molte combinazioni fra queste idee diverse, finché il mix ottimale emerge da solo, e tutto converge alla versione finale e ufficiale. Nessuna ricetta, solo la ricerca di una struttura che abbia fascino e coerenza, in cui le idee fluiscano una nell’altra con naturalezza e, ogni tanto, con qualche sorpresa. L’intelligibilità è conseguenza del fatto che in questo processo compositivo (questo andare a comporre le idee, i mattoni in una struttura) cerco di evitare forzature, cerco di attendere questo emergere naturale della migliore concatenazione.
Ho trovato davvero intrigante anche l’artwork dell’opera … mi piacerebbe sapere qualcosa di più di com’è nata e da chi è stata realizzata …
Qui devo ringraziare Andromeda Relix e Gianni della Cioppa, che mi ha sempre spinto alla ricerca dell’”artwork perfetto”. E’ stato un lavoro di ricerca di un filone iconografico che potesse accompagnare visualmente l’evoluzione del concept brano per brano. Ho iniziato a trovare corrispondenza nel filone fantasy, finché mi sono imbattuto nei lavori di Stefan Keller, in arte Kellepics. Lavori di composizione fotografica di materiale proveniente da fonti diverse, in cui ho intravisto una notevole visione e profondità espressiva. Allora ho detto “è lui il mio uomo”, l’ho contattato e mi ha lasciato la massima libertà di scelta e di utilizzo dei suoi lavori. Tra le componenti dell’artwork finito in copertina, c’era un simpatico baloon di tale Susannp4, trovata in Pixabay; anche questi elementi scorporabili mi hanno fornito utili spunti visuali, finiti efficacemente nei trailer.
Il booklet perciò è stato costituito da una copertina che rappresenta quel giardino di ferro (Iron Garden) cui accennavo prima, sorvolato dal baloon che rappresenta la possibilità di fuga offerta dalla realtà, e da un artwork per ciascuna canzone. Il cui scorrimento mi sembra suggestivo.

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Con “Utopie” prosegue felicemente, dopo la pregevole riedizione rimaneggiata di “Lucillo & Giada / Topic Würlenio”, la collaborazione con l’Andromeda Relix. Com’è nata quali sono le caratteristiche che deve possedere un’etichetta discografica nel convulso “mercato” contemporaneo?
L'incontro con Andromeda e Gianni è avvenuto grazie alla mia collaborazione coi Marygold. La sintonia direi che è scattata subito, e sono rimasto colpito dal fatto che la reazione non sia stata del tipo "sì, bello, ma...". Gianni mi disse di finire la produzione meglio che potevo, fidandosi delle capacità e del gusto che aveva già potuto riscontrare dai primi ascolti. Da lì in avanti un rapporto che non mi ha mai deluso, che mi ha spinto a migliorare senza mai invadere la mia sfera artistica. Sono molto grato a Gianni di averci messo la faccia, artisticamente spero (e mi sembra sia così) di aver ripagato la fiducia. E' stata ed è un'esperienza molto costruttiva che si gioca su un piano di passione comune e rispetto.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, se parliamo - come nel mio caso - di un mondo underground e indie, credo che il compito dell’etichetta sia di scoprire il potenziale espressivo dell’artista, lasciandolo libero di esprimerlo. Guidandolo nell’aspetto promozionale, con l’obiettivo di raggiungere tutti gli appassionati e fargli ottenere il giusto riconoscimento artistico.
Il prog italiano può contare su una grande e prestigiosa tradizione artistica, internazionalmente riconosciuta, a differenza di altre soluzioni stilistiche, fin dagli albori … cosa differenzia la “scuola” italica dalle altre?
Credo che in Italia abbiamo una tradizione melodica importante, che ha caratterizzato anche il nostro prog. E poi come sempre un po’ d’imprevedibilità, di guizzo creativo, forse anche di scanzonatezza, autoironia e capacità di non prendersi troppo sul serio.
La situazione dei live, in Italia già abbastanza “difficile”, si è ulteriormente complicata a livello mondiale a causa della situazione sanitaria contingente. Quali sono le tue valutazioni in merito? Hai intenzione, appena si potrà, di portare su di un palco i tuoi “prog-jets”?
Anche qui credo che le considerazioni siano diverse in base all’ambito che andiamo a considerare. Non invidio chi vuol fare della musica la propria professione ma non è riuscito ad accedere al mainstream: mi sembra debba sempre più mettere insieme una grande quantità di attività per sbarcare il lunario. L’attività live richiede molti sforzi e sacrifici ed è difficile che ripaghi economicamente. Da questo punto di vista non sono particolarmente ottimista.
Per quanto mi riguarda, sarebbe un bel sogno … però, mi dispiace deludere, il live dei miei prog-jets richiederebbe una band con il doppio degli elementi rispetto ad esempio a La Sintesi in formazione classica, e un grosso lavoro di preparazione. E un cantante che mi affianchi perché alcune mie parti di quasi 20 anni fa purtroppo oggi, onestamente, sono rischiose per me dal vivo.
Per cui, poco probabile. Forse qualche live parziale (base e qualche parte live). O qualche presentazione on line con elementi live.

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Si fa un gran parlare di un rockrama attuale povero di “nuovi” stimoli, costretto a rivolgersi ai Maestri del passato per sopravvivere … qual è la tua posizione sul tema?
Non ne sono convinto, anzi. Mi sembra che quantità e qualità delle produzioni siano entrambe molto alte, anche in ambito underground. Mi scuso se non allargo troppo l’ambito e resto in casa mia, ma solo scorrendo il recente catalogo di Andromeda Relix si trovano molti capolavori uno in fila all’altro. La qualità della proposta c’è, ma non basta più. E’ difficile appassionare le nuove generazioni, per le quali l’interesse nei confronti della musica è uno fra molti. C’è un problema culturale ed educativo, ridare se possibile un ruolo più centrale all’arte e alla musica tra gli interessi delle persone. Perché probabilmente, tra questi molti stimoli ed interessi, quelli a cui si dedica più tempo potrebbero non essere quelli che hanno più valore.
Alberto, in dirittura d’arrivo di questa intervista, non posso evitare di chiederti da cosa nasce il nickname “Baro” …
La cosa giustamente incuriosisce. Il soprannome ha radici molto remote e duplice significato. Nel ‘72 la mia famiglia si è trasferita da Verona a Sommacampagna, in un appartamento al primo piano di una specie di maniero che si dice fosse stato abitato da una baronessa. Ne è derivato il soprannome Barone, rapidamente abbreviato in Baro. Perciò un po’ barone e un po’ baro, diciamo un nobile imbroglione. Quando ho iniziato a suonare mi sembrava che Baro sottintendesse questa interessante duplice natura e ne ho fatto il mio nome d’arte.
Siamo ai saluti, non prima di ribadire ringraziamenti e complimenti, lasciando infine a te la conclusione di questa chiacchierata …
Ringrazio molto della considerazione che mi avete riservato. Mi sorprende sempre quando riscontro interesse da parte di un pubblico che immagino appassionato di metal, genere che sulla carta è abbastanza distante dal mio prog di matrice sinfonica, romantica e melodica. Questo a testimonianza dell’ampiezza di vedute e interessi di questo “popolo”. Che saluto con un caloroso “prog on!”.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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