(18 dicembre 2022) EMPEROR + MAYHEM + NECROMASS, Alcatraz (Milano)

Info

Provincia:MI
Costo:48 euro
Pareggio di Mbappé.
L’inatteso 2-2 francese interviene nell’esatto istante in cui parcheggio, a pochi metri dall’Alcatraz. Per l’inizio delle ostilità, ad ogni modo, c’è ancora tempo, anche a causa della dolorosa defezione dei Selvans -passi per questa volta, solo perché sono un fan di “A Christmas Carol”-; mi dirigo quindi all’ingresso col cellulare ben saldo in mano, intenzionato ad assaporare gli ultimi minuti del match… che ultimi minuti, come saprete, non si riveleranno.

Una volta entrato nel locale, già piuttosto popolato, ho finalmente modo di conoscere di persona lo squisitissimo Cory, cui sono demandati gli oneri fotografici dell'evento -meglio per Voi: gli scatti del sottoscritto costituiscono seria minaccia per la retina-. Tutto pronto quindi; peccato solo per la contemporaneità con una delle finali Mondiali più spettacolari di sempre…

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NECROMASS
Alle 18:20 in punto, come da programmi e dopo un interminabile intro, irrompono sul palco i Necromass, compagine nostrana che vedo dal vivo per la prima volta. Lo show è stato annunciato come una celebrazione degli album di culto “Mysteria Mystica Zothyriana” (debut del lontano 1994) e “Abyss Calls Life” (1996); occasione succulenta per i Nostri, che tuttavia, a sommesso parere di chi scrive, non riescono a coglierla appieno.

Parte del problema non è riconducile alla band in senso stretto, ma ha piuttosto a che fare con una resa audio ancora perfettibile, con strumenti molto slegati tra loro e una voce sin troppo preponderante.
Anche sulle vocals in sé, giacché ci sono, mi permetto di esprimere qualche perplessità: lo screaming di Ain Soph Aour si rivela alle mie orecchie piuttosto monocorde, privo di elementi interpretativi e, in ultima analisi, molto sforzato.
Allo stesso modo, i brani sembrano quasi eseguiti con eccessiva foga, dissipando così l’atmosfera e le sfumature che si facevano apprezzare nelle versioni da studio.

[Non hanno nemmeno aiutato, per amor di verità, i concomitanti calci di rigore, che per qualche minuto fungono da inevitabile distrazione; avevo deciso di celare il dettaglio per apparire più professionale, ma onestà intellettuale mi impone di ammettere le mie colpe. Scusate cari Necromass, e forza Argentina!]

La band fiorentina, ad ogni modo, si sbatte notevolmente, può contare su un buon bottino di pezzi di qualità e, alla fine, la pagnotta la porta a casa. Non tutto è filato alla perfezione, ma se le nostre strade dovessero incrociarsi nuovamente ne sarei lieto.
A risentirci, quindi, in condizioni più propizie.

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MAYHEM
Oh, eccoli qui, gli alfieri del black norvegese, che non ammiravo in sede live da circa un ventennio.
Bisogna render senz’altro merito all’ultimo fullDaemon” se mi approccio all’adorata compagine scandinava con rinnovata fiducia, dopo anni di scelte e album discutibili. Ci pensa, in effetti, la dirompente “Falsified and Hated” a rompere gli indugi ed a confermare le buone impressioni della vigilia: la macchina da guerra dei Mayhem è tornata a mietere vittime.

La prima parte dello show, incentrata sui brani più recenti -si fa per dire: la tirannica “Symbols of Bloodswords”, tanto per fare un esempio, ha ormai un quarto di secolo sul groppone-, mette da subito in mostra un Hellhammer sovrannaturale, capace di erigere un muro sonoro invalicabile e privo della seppur minima incrinatura, ed un Attila davvero in palla, tanto magnetico in termini di presenza scenica quanto inumano vocalmente (ogni volta che lo ascolto mi chiedo come riesca ad emettere certi suoni…).
Il basso dell’ineffabile Necrobutcher, dal canto suo, sferraglia che è un piacere; decisamente meno protagonista, all’interno del mix, la coppia di asce, e purtroppo questa problematica continuerà ad affliggere l’esibizione sino all’ultima delle tre parti di cui sarà composta.
Peccato, benché l’esecuzione di ottimi episodi come “Bad Blood” o “Voces Ab Alta” riesca comunque, e senza particolari patemi, a convincere una platea sempre più folta.

Certo: allorquando, dopo un rapido cambio di fondale e di abiti, viene inaugurata la seconda porzione del concerto dedicata al caposaldo “De Mysteriis Dom Sathanas”, la temperatura all’interno dell’Alcatraz sale ulteriormente.
Anzi, scusate, ho scelto il modo di dire sbagliato: semmai è proprio il contrario. Già, perché il riff glaciale che inaugura “Freezing Moon” riuscirebbe a materializzare la brina anche su un’assolata spiaggia caraibica, e di certo riesce a far scorrere un brivido di gelido piacere sulla schiena degli astanti.

Analoghe sensazioni suscitano le successive “Pagan Fears” e “Life Eternal”, benché, in tutta franchezza, in questa fascia di show faccia capolino qualche magagna sonora di troppo: sulla prima, in particolare, le chitarre risultano pressoché inaudibili, mentre sulla seconda si fa strada uno spiacevole rimbombo da eccessiva saturazione.
La situazione migliora in occasione della sempre splendida “Buried by Time and Dust”, che chiude nel miglior modo possibile il secondo atto.

E’ tempo di tornare ancor più indietro nel tempo, e l’allucinata marcetta di “Silvester Anfang” sortisce proprio l’effetto di catapultarci in un’epoca fatta di demo copiati di ottava mano scambiati con gli amici, di cassettine coi titoli scritti a mano che frusciavano sempre più ad ogni ascolto e di passaparola che narravano, con enfasi e dettagli ogni volta più macabri, delle gesta criminali di questi folli norvegesi.

Bei tempi davvero, come testimoniato dalla truculenta “Deathcrush” e da “Chainsaw Gutsfuck”, sempre deliziosa. Con le marcissime “Carnage” e “Pure Fucking Armageddon” i suoni si aggiustano e bilanciano ulteriormente, ma purtroppo si chiude anche la sanguinolenta retrospettiva.
Bene così, in ogni caso: i Mayhem si congedano nel modo migliore da un pubblico più che soddisfatto, al termine di una performance ampiamente positiva.
Speriamo di rivederci presto, magari per il tour di supporto al prossimo album

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EMPEROR
Avessi dovuto stilare una classifica del rimpianto relativo a band che idolatro ma che, per un motivo o per l’altro, non son mai riuscito a vedere dal vivo, avrei probabilmente optato per questo podio:
1- Emperor
2- Pantera (quelli veri, mica la tribute band di oggidì)
3- Arcturus

Ebbene, capirete quanto sia felice di poter infine depennare il primo dei tre nominativi dalla bieca lista. Ed è proprio la felicità, se devo esser sincero, il sentimento principale che mi pervade nel momento in cui Samoth e soci salgono sul palco.
L’inizio, tra l’altro, è di quelli che tolgono il fiato, con le apocalittiche sferzate di “In the Wordless Chamber” a flagellare un Alcatraz ormai davvero gremito.
L’amalgama sonoro si rivela da subito azzeccato, e tocca alla doppietta da sogno “Thus Spake the Nightspirit” – “Ensorcelled by Khaos” sancire l’ottimo stato di forma dei musicisti coinvolti (Trym in primis).

Un discorso a parte lo merita il leader Ihsahn: come accaduto poco prima con Attila, anche in questo caso viene demandato in via pressoché esclusiva al frontman qualsivoglia tentativo di interazione col pubblico. Ma se il cantante ungherese puntava le proprie fiches su istrionismo e lugubre presenza scenica, per il genio noto all’anagrafe come Vegard Sverre Tveitan è proprio il contrario.
Vestito da ufficio, con un po’ di pancetta e gli occhiali da vista, il Nostro decide (come da svariati anni a questa parte, a voler ben vedere) di sbattersene di outfit, corpse painting e trucchetti della paura assortiti, puntando esclusivamente sulla sostanza.

Non esistono torto e ragione in scelte di questo tipo, ma una cosa è certa: se la “sostanza” sulla quale puoi fare affidamento è quella di brani straordinari come “The Loss and Curse of Reverence” o “The Acclamation of Bonds”, allora, per quanto mi riguarda, puoi presentarti sul palco anche in pigiama e babbucce.
Se poi, per sovrappiù, sei dotato di quell’inconfondibile screaming, nel contempo acido e solenne, e macini senza colpo ferire quella incessante gragnuola di riff tanto contorti ed originali quanto immancabilmente sublimi, ecco che il fattore visivo/estetico diventa davvero l’ultimo dei parametri di valutazione.

Credo che nell’intera galassia saremo al massimo in 5 o 6 a pensarla così, ma per il sottoscritto “Anthems to the Welkin at Dusk” non si fregia solo del titolo di miglior disco mai realizzato dagli Emperor, ma anche di quello di miglior disco symphonic black metal in assoluto.
Sulla base di tali premesse, capirete quanta commozione mi pervada durante l’esecuzione di “With Strength I Burn”, brano-monumento che ai tempi delle superiori ascoltavo in cuffia, a volumi autolesionistici, con cadenza quasi ossessiva, e che ho sempre considerato la “Rime of the Ancient Mariner” del metal estremo.
Pelle d’oca a profusione, nostalgia come se piovesse e lacrimuccia (prontamente asciugata) sul finale, tocca ammetterlo -questo report, in effetti, è ricco di confessioni scabrose-.

Il mio incondizionato amore per il secondo full dei Nostri, ad ogni modo, non sminuisce in alcun modo il piacere nell’assistere alla seconda parte dello show, incentrata perlopiù sul capolavoro “In the Nightside Eclipse”.
Le melodie al tempo stesso maligne e solenni, le trame complesse eppur indimenticabili, l’atmosfera inarrivabile di pezzi come “I Am the Black Wizards” o “Inno a Satana” sono ardue da spiegare a parole, e riescono addirittura a smuovere una platea pressoché inerte sino a pochi minuti prima. Io, per la cronaca, mi astengo dal pogo: sono troppo concentrato sull’esibizione, senza contare che la mia schiena da ultra-ottuagenario non gradirebbe affatto…

L’unica controindicazione di cotanta beltà e che il tempo finisce letteralmente per evaporare, tanto che senza nemmeno accorgersene è già tempo dei bis, con la epocale “Cosmic Keys to My Creations & Times” a cedere il passo ad un altro dei brani che hanno scandito e marchiato a fuoco la mia esistenza: “Ye Entracemperium”, maelstrom sonoro di rarissima intensità esecutiva ed emotiva, che chiude le danze come meglio non si potrebbe.

Siamo già giunti ai saluti, e ci pensano le suggestive armonie di “The Wanderer” ad accompagnarci verso l’uscita, colmi di gratitudine e soddisfazione. Come lo stesso Ihsahn ha avuto modo di ricordare: ci sono voluti 25 lunghi anni, ma l’attesa è stata ampiamente ripagata.
Posso solo augurarmi che si tratti di un arrivederci…

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NECROMASS setlist:
1- Sodomatic Orgy of Hate
2- Black Mass Intuition (Atto 1: Introibo Ad Aetare, Atto 2: Silver Reign)
3- The Bornless One
4- (An Animal) Forever
5- Vibrations of Burning Splendour
6- Fair of Blasphemy
7- Mysteria Mystica Zothyriana 666
8- Sadomasochist Tallow Doll

MAYHEM setlist:
Act I
1- Falsified and Hated
2- To Daimonion
3- Malum
4- Bad Blood
5- My Death
6- Symbols of Bloodswords
7- Voces Ab Alta
Act II
8- Freezing Moon
9- Pagan Fears
10- Life Eternal
11- Buried by Time and Dust
Act III
(Silvester Anfang – intro)
12- Deathcrush
13- Chainsaw Gutsfuck
14- Carnage
15- Pure Fucking Armageddon

EMPEROR setlist:
1- In the Wordless Chamber
2- Thus Spake the Nightspirit
3- Ensorcelled by Khaos
4- The Loss and Curse of Reverence
5- The Acclamation of Bonds
6- With Strength I Burn
7- Curse You All Men!
8- Towards the Pantheon
9- I Am the Black Wizards
10- Inno a Satana
11- Cosmic Keys to My Creations & Times
12- Ye Entrancemperium
(The Wanderer – outro)
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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