Copertina 6,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2003
Durata:50 min.
Etichetta:Arise
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. PREDATOR OF THE EMPIRE
  2. CURSED LAND
  3. THE DARKNESS
  4. POINT OF NO RETURN
  5. HEAVY METAL GOD
  6. THE HOLY SIGN
  7. ARISE
  8. NIGHTMARE
  9. ONE WAY TO HEAVEN, ONE WAY TO HELL
  10. REALITY UNKNOWN

Line up

  • Dick: vocals
  • John: guitars
  • Dennis: guitars
  • Patrick: bass
  • Mike: drums

Voto medio utenti

Ai tempi del loro primo album "Where Mankind Fails", la copertina, il logo e relativo monicker del gruppo, ma anche la loro foto sul retro del Cd, avevano messo il sigillo sull'appartenenza della band svedese al più tipico Power Metal. A quello che taluni definiscono "becer". Sebbene sembri facile far parte di questa schiera, non è poi così semplice districarsene ed arrivare a farsi apprezzare. Con il loro debut album non c'erano riusciti, sul successivo "Fall Into Madness" si era già visto e sentito qualche miglioramento, ma per annotare risultati più consistenti è stato necessario aspettare il terzo album "Predator of the Empire", uscito per la spagnola Arise dopo che la band si era affidata sin dall'esordio alla AFM Records. Nulla da far gridare al miracolo, troviamo comunque alcuni cambiamenti efficaci che non si limitano ad un nuovo logo ed allo stile adottato per la cover. Infatti, si nota subito la presenza di un nuovo vocalist, Dick Johnson, più tecnico e vicino ad un stile ottantiano rispetto al suo predecessore, come si evince da "Point Of No Return" o in brani come "The Darkness" e "Cursed Land", dove Dick arriva a ricordare Klaus Maine. Ma in generale appare evidente come anche la band abbia raddrizzato il tiro, lasciandosi alle spalle le atmosfere più grezze e speedy da "True" metal band, a favore di un metal più classico. Durante l'ascolto ho avuto spesso la sensazione di trovarmi di fronte a dei Dream Evil meno potenti e meno ispirati. Anche un brano come "Heavy Metal God", che dal titolo poteva lasciar prevedere l'apoteosi del Becer Metal e nelle intenzioni doveva essere un anthem trascinante, parte benino ma dopo, anche a causa di un refrain piuttosto fiacco, lascia a desiderare scivolando via senza sussulti. Migliori i risultati raccolti con "Arise", Edguy oriented e meno ripetitiva di altri pezzi, e con "Nightmare", più sul versante Hammerfall, con dei riusciti intrecci vocali e qualche buona intuizione dei due chitarristi. Non male nemmeno il connubio Hammerfall/Scorpions presente su "Reality Unknown", brano che conclude l'album con uno strambo siparietto finale. Che dire, qualche passo avanti lo hanno fatto, ma gli Steel Attack rimangono ancora impantanati nelle seconde linee.
Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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