Clutch - From Beale Street To Oblivion

Copertina 8

Info

Anno di uscita:2007
Durata:43 min.
Etichetta:DRT
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. YOU CAN'T STOP PROGRESS
  2. POWER PLAYER
  3. THE DEVIL & ME
  4. WHITE'S FERRY
  5. CHILD OF THE CITY
  6. ELECTRIC WORRY
  7. ONE EYE DOLLAR
  8. RAPTURE OF RIDDLEY WALKER
  9. WHEN VEGANS ATTACK
  10. OPOSSUM MINISTER
  11. BLACK UMBRELLA
  12. MR. SHINY CADILLACKNESS

Line up

  • Neil Fallon: vocals
  • Tim Sult: guitar
  • Dan Maines: bass
  • Jean Paul Gaster: drums
  • Mick Schauer: hammond

Voto medio utenti

Tutti coloro che seguono da tempo la parabola dei Clutch finiscono per esprimere i medesimi concetti sul gruppo statunitense. In particolare nessuno può evitare di porsi questo spinoso interrogativo: perché valide formazioni rock contemporanee come QotSA, Audioslave, Jet ed altri, hanno ottenuto un successo planetario, mentre gli altrettanto bravi Clutch arrancano da sempre nel sottobosco underground?
Io non vedo un divario tale da giustificare destini diametralmente opposti, quindi sarebbe necessario dilungarci sull'eterna questione della purezza musicale e dei compromessi per il business, delle amicizie importanti, della fortuna che bacia gli audaci e quant'altro. Conserviamo invece queste analisi per le fredde serate invernali e parliamo dell'ultimo album della band.
Un disco ruvido e trascinante, orecchiabile e sanguigno, impetuoso, graffiante, vitale, eccitante, che colpisce con tale efficacia da obbligarti a pensare che quel brano, il particolare passaggio strumentale, l'affascinante linea vocale, potevano essere solo così ed in nessun altro modo.
In un certo senso il quartetto ha usato la musica come linguaggio universale, comprensibile a tutti. Infatti c'è l'impatto grintoso per i rockers esigenti, la fisicità per scatenarsi, l'energia per ricaricarsi, il groove dei tempi d'oro, ed anche una piacevole orecchiabilità adatta al pubblico occasionale. Troviamo omaggi alla scuola hard-seventies, sottolineati dall'Hammond del nuovo entrato Mick Schauer, insieme ad esempi di nervosa urgenza del tutto figlia di questi giorni. Tanti hits irresistibili che non sprecano un secondo della loro durata, ma anche tracce libere di espandersi per offrirci qualche istante di fantasia onirica.
I ragazzi del Maryland masticano il rock da una vita, ma questo si può dire di gran parte delle bands in circolazione. Quello che distingue i Clutch dal resto della truppa è la loro assoluta normalità, l'assenza di qualsiasi dettaglio che li collochi in un ambiente specifico. L'aspetto anonimo e stropicciato forse avrebbe funzionato nel breve periodo del grunge di tendenza, oggi significa soltanto essere ignorati dallo show-biz che accetta solo gente capace di bucare lo schermo. Ecco la vera ragione per la quale il gruppo resterà ai margini della scena, anche se dopo vent'anni di onorata carriera trova ancora le motivazioni per realizzare un disco come "From Beale street to oblivion".
Non un prodotto standardizzato, bensì un fiume di adrenalina con la sorgente nel passato e l'estuario nel presente. Una sintesi di classicismo ed attualità che può nascere solo da una formazione di talento.
Episodi tambureggianti e arcigni, armati di refrain esplosivo come "You can't stop progress", "Power player", "One eye dollar", esemplari energy-rock nei quali si coglie un lontano eco degli ultimi Monster Magnet. Il mix di brividi notturni ed irruenza heavy in "White's ferry", una coppia di mefitici trip-blues, "Electric worry" e "Black umbrella", dove nel turbine chitarristico spunta l'armonica delirante dell'ospite Eric Oblander (Five Horse Johnson).
Come non citare "When Vegans attack" o "Mr. Shiny cadillackness", ibridi di cadenze pulsanti e nero sarcasmo che i Clutch sanno fare così bene, ed ancora le scintillanti geometrie orecchiabili di "Child of the city" e "Opossum minister", canzoni che non è folle immaginare ben piazzate in classifica se solo qualcuno le portasse all'attenzione del grande pubblico.
Dietro a tutto questo c'è una band inossidabile, illuminata da un chitarrista incisivo, misurato e sottovalutato come Tim Sult e dal carismatico Neil Fallon. Costui è un raro esempio di vocalist-camaleonte, capace di immedesimarsi con la medesima efficacia in un grezzo rocker o nel suadente crooner da pianobar, oppure nel bluesman, nel cantore romantico e perfino all'occorrenza nel rapper all'ultima moda. Un personaggio che può reggere il confronto con icone quali Wyndorf o Garcia.
Per una volta anche la produzione è al top visto che è stata affidata ad un guru come Joe Barresi, che ha evitato i moderni suoni tecnologici esaltando invece brillantemente l'essenza live del gruppo.
Si potrebbero dire altre cose, ma darebbe l'impressione che si stia parlando di un disco importante. Magari uno che riduce l'ultimo celebrato QotSA a lagnosa musica per lattanti e che i nomi di tendenza neppure si sognano di realizzare. Invece il discorso riguarda una formazione che in due decadi non ha mai sfondato e certo non lo farà con il presente lavoro.
I Clutch sono e restano un'eterna promessa di qualcosa, dei maturi veterani condannati a vita alla parte degli emergenti.
Non ha smosso nulla neanche la tanto pretesa ed idolatrata "evoluzione stilistica", mito dei critici esteti, che loro hanno compiuto per davvero. Dagli esordi vicini all'hardcore alla travolgente "pure rock fury" di oggi, la strada è piuttosto lunga. Ma quando ai potenti media di te non frega nulla, forse perché non ti prostri al loro cospetto o non cambi look ad ogni stupida nuova moda, ottieni quattro frasi svogliate solo all'uscita di un disco e poi passi nel dimenticatoio. E se alle spalle non hai almeno una promozione capillare, allora fattene una ragione e continua a suonare per il piacere di farlo.
L'anonimo scriba della rete non ha liquidato i Clutch con le solite due righe d'ordinanza ed è in pace con la coscienza, magra consolazione ma meglio che niente. Certo non cambierà la situazione, ma credo che per Fallon e soci non sia più un traguardo né una necessità.
Chi li conosce si procuri il nuovo rifornimento di rock per il corpo e la mente, un disco nel quale la band ha dato come sempre il massimo di sé stessa. Per gli altri vale il solito invito a vuoto ad avvicinarsi al gruppo, non un fenomeno né un gigante del rock, ma senz'altro uno dei suoi migliori interpreti oggi in circolazione.
Ennesima scommessa vinta, a beneficio di pochi intimi.

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