Copertina 8

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2021
Durata:57 min.
Etichetta:Amor Fati Productions

Tracklist

  1. DER BERGSCHMIED I: MEIN BERG
  2. DER BERGSCHMIED II: DER EID
  3. DER BERGSCHMIED III: DESPERATIO
  4. DER BERGSCHMIED IV: ZAUBERWERK
  5. DER BERGSCHMIED V: SAGENLIEDER
  6. DER BERGSCHMIED VI: COGNITIO
  7. DER BERGSCHMIED VII: DER FREVEL
  8. DER BERGSCHMIED VIII: SARGDECKEL

Line up

  • Aragonyth S.: all instruments
  • Syderyth G.: vocals, guitars (acoustic), keyboards

Voto medio utenti

Con la classica cadenza di un album all'anno, che il gruppo mantiene dal 2016, tornano sul mercato discografico i tedeschi Dauþuz con il nuovo "Vom Schwarzen Schmied", sempre edito dalla gloriosa Amor Fati, nel solco della loro tradizione fatta di black metal epico, melodico, intriso di folk e dannatamente fomentante.
La ricetta del duo teutonico è sempre la stessa: chiari riferimenti al metallo nero degli anni '90, un riffing glaciale e ricco di "eroismo", cori da urlare a squarciagola, una sezione ritmica indiavolata, scream selvaggio e tanta, tanta, attitudine verso le atmosfere dal sapore medievale riproposte in maniera semplice ed efficace come pochi altri gruppi, oggi giorno, sono in grado di fare.
I Dauþuz si dimostrano impermeabili alle mode, ci regalano otto brani gloriosi, dolci intermezzi arpeggiati e riescono, ancora una volta, a fare centro con la loro musica potente e suggestiva, sempre cantata in lingua madre e sempre ancorata alla loro terra dalla quale il duo trae ispirazione spazzando via, come una tempesta, ogni cosa grazie all'ispiratissimo riffing (date un orecchio alla clamorosa "Der Frevel") e alla primordiale violenza che innerva ogni singola nota di un lavoro frutto di assoluta devozione alla nera fiamma nella sua declinazione più magniloquente e guerresca.
Di album così ne ascolteremo sempre di meno: fatene, dunque, tesoro e lasciate che il nostalgico ricordo di antiche battaglie cada su di noi con la sua patina disperata e sprezzante della vile modernità.
A mio avviso culto puro!
Recensione a cura di Beppe 'dopecity' Caldarone

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