Trascurati frettolosamente nei primi anni 80, gli inglesi Saracen si godono ora i frutti di un raccolto che già nel 2003 li aveva portati al comeback con "Red Sky", in cui erano presenti sia brani inclusi nell'ultimo "Change of heart" (1984) che pezzi nuovi e classici come la prima versione di "Follow the piper", a questo nuovo doppio box-set è stato anche incluso il debut album "Heroes, saints and fools" con l'aggiunta di 3 bonus tracks, un booklet con note introduttive ai brani ed una dettagliata biografia. Avevano le carte in regola per sfondare e si erano guadagnati la stima di molti critici, tra cui il dj Tommy Vance che li programmava ripetutamente nel suo "Friday night rock show" (culminato in un live radiofonico), ma troppi erano i punti di contatto del loro sound con quello dei più quotati Uriah Heep, Kansas, Praying Mantis, Deep Purple, Judas Priest, Magnum, ciò nonostante l'heavy melodic prog dei Saracen si distingueva per la massiccia e trascinante presenza delle tastiere (che sempre in quel periodo era il punto di forza degli emergenti Marillion, che le usavano "a manetta" in "The web", "Garden party", “Market square heroes"), lunghi passaggi strumentali dalle influenze più disparate (la strumentale "Menage a trois" con gli inserti di sax suona un pò come "Us and them dei Pink Floyd in chiave più rock), armonie vocali, melodie pompose ed orecchiabili come quelle di "Follow the piper" e "We have arrived" (in cui erano presenti anche strati di synths), uno stile personale nel comporre ballads che ammiccavano all'AOR come "Faith" (grande refrain corale e guitar solo), la Kansasiana acustica "Castle in the sand" e la malinconica dolce "Angel eyes" (la singer Dagi Kaletsch al controcanto). La parte più "british rock" era magnificamente rappresentata da "Red Sky", "Ready to fly", "Rock of ages", "Horsemen of the apocalypse" (riffs di chitarra alla Maiden, parti vocali simil Uriah Heep, pomposità garantita da strati di tastiere e cambi di tempo), la tiratissima "purpleiana" "Jekyll and Hyde" in cui Bettney sfodera un'ugola che non fa invidia al Gillan dei tempi d'oro riuscendo in altri brani a confrontarsi con il Rob Halford di "Sad wings of destiny", Ken Hensley e Glenn Hughes. La versatilità di stili della band si raggiungeva con le complesse strutture hard prog di "Heroes, saints and fools", che univano il sound Uriah Heep alle ritmiche in stile Maiden sorrette da strati di tastiere e parti corali sublimi con voci che passano da destra a sinistra, mentre nell'altra strumentale "Dolphin ride" non è difficile trovare passaggi di tastiere e chitarre risalenti ai primi Marillion combinati con l'uso di synths ed effetti spaziali. Difficili da inserire in un genere specifico,i Saracen finirono così per essere ignorati sia dai fans del metal che da quelli del prog che da lì a poco si sarebbero esageratamente inchinati alla ruffianeria commerciale e ripetitiva degli Asia (come se "Ride Shotgun to the wind" e "No more lonely nights" non fossero già in netto anticipo con le melodie pomp rock radiofoniche della superband di Wetton), per fortuna ora grazie all'interesse della Escape la band è stata riscoperta e al momento sta lavorando sul concept "Vox in excelso", ispirato sia al codice Da Vinci che ai templari.
They have re-arrived!!!!!
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