Il progetto Greenhouze nasce nel 1999 quando il chitarrista Lars Levin, apprezzato musicista e songwriter dei Second Heat negli anni Ottanta, trova la voglia di dedicarsi ad un suo nuovo progetto, dopo diversi anni passati in veste di session musician. Trovata la voce adatta alle sue nuove composizioni (il singer Solli, che alcuni potrebbero ricordare dagli Psycho Motel del Maiden Adrian Smith), Levin registra dodici canzoni avvalendosi della collaborazione di altri musicisti (Frank Tostrup, Celio de Carvahlo e Mike Sturgis per le parti di batteria, Leif Johansen per i backing vocals) e le propone alla MTM, disposta a puntare sin da subito sulle potenzialità di questo progetto. Francamente non riesco proprio a capire cosa possa aver attirato in tal modo l'attenzione di Mario Lehmann, boss della label tedesca, perchè questo "Greenhouze" è uno dei dischi meno riusciti che abbia sentito da diverso tempo a questa parte.
I musicisti coinvolti in questa band si dimostrano certamente competenti ed estremamente professionali, riuscendo in alcuni casi a creare episodi AOR di discreta gradevolezza ("Train Song", "Rain" e "Waterline"), ma è la generale mancanza di intensità a decretare la noia più totale, sia perchè la voce pulita e generalmente priva di mordente di Solli non riesce a conquistare l'attenzione dell'ascoltatore, sia perchè il songwriting di Levin sembra mancare di passione e coinvolgimento. La presenza di alcune sonorità New Age qua e là non contribuisce a migliorare la situazione, e i cinquanta minuti di "Greenhouze" trascorrono senza lasciare il benchè minimo segno.