L’attesa per “Thirteen” era davvero enorme.
E non solo perché mi considero un devoto ammiratore degli
Harem Scarem e, in tali vesti, è naturale essere “apprensivi” per il nuovo lavoro dei propri eroi, arrivato dopo ben sei anni di “latitanza”.
Era necessario, infatti, anche cancellare del tutto la sgradevole sensazione di “raschiamento del fondo del barile” procurata da "Mood swings II", un’operazione di “re-play” (concessa ad un capolavoro, è superfluo sottolinearlo …) non proprio
rassicurante.
Ebbene, dimentichiamo dubbi e perplessità e prepariamoci ad aggiungere il tredicesimo sigillo dei canadesi ai numerosi gioielli di cui è costellata la loro discografia, confermando la consistenza di una carriera che sembra aver ritrovato negli ultimi anni la lucidità compositiva, la
verve e lo slancio dei momenti migliori.
L’inizio, in realtà, potrebbe sembrare un po’ "in sordina": “Garden of Eden”, pur evidenziando una squisita progressione armonica, ostenta un pizzico di pericolosa zavorra “poppettosa” (a qualcuno potrà ricordare i tempi dei Rubber …), che ritroviamo declinata pure nella grinta sofisticata di “Live it”, e se con i bagliori attualizzati dell’antracitica e spigliata “Early warning signs”, si cominciano ad avvertire i primi sintomi di una vertigine da “decollo verticale”, tocca a “The midnight hours” annullare completamente gli effetti della forza di gravità emozionale e condurre l’astante nella stratosfera della soddisfazione
cardio-uditiva, agevolato da una linea melodica assolutamente irresistibile e da una prestazione impeccabile del portentoso duo Hess / Lesperance.
Da qui in poi solo scintille melodiche a 24 carati, a cominciare dall’emozionante
slow “Whatever it takes”, transitando per il piglio vivace e contagioso di “Saints and sinners”, valicando le appassionanti vette “radiofoniche” e
anthemiche di “All I need” e approdando a “Troubled times” e alla spettacolare “Never say never”, semplicemente perfette nell’incarnare la tipica superiorità artistica degli Harem Scarem, praticamente imbattibili quando riescono a dosare così minuziosamente energia, raffinatezza e passionalità.
Le ultime vibranti scosse sensoriali le riserva “Stardust”, cinque minuti di sontuoso lirismo e magniloquente eleganza, adeguatamente innervati e resi talmente avvincenti da indurre l’ascoltatore appassionato all’ennesima genuflessione “al merito”, da considerare come l’ossequio conclusivo a un’opera complessivamente di gran pregio.
La concorrenza, soprattutto europea, è competente e agguerrita, ma gli Harem Scarem sono ancora una splendida realtà della “scena” contemporanea e “Thirteen”, per quanto mi riguarda, rappresenta uno degli acquisti essenziali dell’anno.
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