Copertina 8

Info

Anno di uscita:2012
Durata:61 min.
Etichetta:Escape Music
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. I KNOW WHERE YOU BEEN
  2. PLACE CALLED RAGE
  3. TRAPPED
  4. TAKE IT LYING DOWN
  5. SOMEDAY
  6. ONE CHILD
  7. WHAT THESE EYES HAVE SEEN
  8. CAN’T FIND MY WAY HOME
  9. JENNY DOESN’T LIVE HERE ANYMORE
  10. THUNDERBOX
  11. WE’RE NOT COMING HOME
  12. CHAINED TO MANIAC

Line up

  • Tommy Farese: vocals
  • Al Pitrelli: guitars, keyboards, vocals
  • Danny Miranda: bass
  • Chuck Bonfante: drums, percussions
  • Mark Mangold: keyboards on “Someday”, “I Know Where You Been” and “Thunderbox”
  • Corey Wheeler: backing vocals
  • Gary Corbet: keyboards on “Trapped”, “Jenny Doesn’t Live Here Anymore”, “Chained To Maniac”

Voto medio utenti

Una spiccata tendenza al revival e una notevole predisposizione alla (ri)valorizzazione di misconosciute formazioni del passato sono due aspetti assai ricorrenti dell’attuale business discografico, e se qualche volta tali atteggiamenti sono inevitabilmente oggetto di una certa “circospezione”, nel caso specifico non si può che essere enormemente grati a questa prepotente voglia di “classico”, anche se non particolarmente “audace”.
I Place Called Rage, sorta di supergruppo formato da Al Pitrelli (Alice Cooper, Asia, Widowmaker, Savatage, …), Tommy Farese (Trans Siberian Orchestra), Danny Miranda (Blue Oyster Cult) e Chuck Bonfante (Joe Lynn Turner, Saraya, Drive, She Said) e il loro disco eponimo licenziato nel lontano 1995, finora erano stati, infatti, una “merce preziosa” appannaggio esclusivo degli apparati cardio-uditivi dei rockofili giapponesi, mentre ora ci pensa l’attenta Escape Music a rendere capillare e meritata giustizia a questo gioiellino di viscerale hard-rock blues, nella speranza che i tempi attuali apparentemente piuttosto ricettivi nei confronti di questi immarcescibili suoni, possano essere favorevoli alla sua diffusione.
All’autorevole lista dei membri della line-up, manca, poi, ed è utile per comprendere ancora meglio la portata dell’opera, l’appendice rappresentata dalla presenza del divino Mark Mangold (Valhalla, American Tears, Touch, Drive She Said, …), molto più che un semplice collaboratore del gruppo, capace di concedere lo sfolgorio della sua penna e dei suoi tasti d’avorio anche a questo particolare contesto artistico, sviluppato, non a caso, due anni dopo con i Flesh & Blood (in compagnia degli stessi Pitrelli e Bonfante e con il contributo di Mitch DeStefano e dell’eccelso Danny Vaughn) di “Blues for daze” in cui, a chiusura del cerchio, verranno proprio recuperati due brani ("I know where you been" e "Jenny doesn't live here anymore") di questo “Place called rage”.
Insomma, se vi piacciono Stones, Zeppelin Humble Pie, Aerosmith e Bad Company, Cinderella, Great White e Black Crowes oppure ancora formazioni leggermente meno acclamate (ma altrettanto interessanti …) come Little Caesar, Cry Of Love, Tattoo Rodeo e Dirty White Boy, procurarvi quanto prima una copia di questo killer-album, da troppo tempo assente dalla vostra preziosa collezione di dischi, sarà una scelta tanto intelligente quanto tassativa.
Davvero nulla da scartare in sessantadue minuti di bruciante, intrigante e ruvida materia musicale pilotata in modo superbo dal timbro vocale pastosamente raunchy di Tommy Farese (una specie d’ibridazione fra Paul Shortino, Steven Tyler e Ron Young) e dalla chitarra sensibile di Pitrelli, in grado di distillare emozioni radicate e intense senza ricorrere a “facili” istrionismi.
Che si tratti di puntare sulla fisicità (il torrido anthem "I know where you been”, la potente “One child” – da far ascoltare subito ai fans di BCC e Chickenfoot – la grintosa cover version di “Thunderbox” degli Humble Pie e “We’re not coming home” tra Dirigibili londinesi e Bombardieri bostoniani), di essere avvolgenti e sensuali (l’eclettica title-track, l’ardore funky di “Trapped”, il mid elettro-acustico“Someday”), disinvolti (la sudista “Can’t find my way home”, il rhythm n’ blues n’ roll “Chained to maniac”, con tanto di vago ammiccamento finale alla leggendaria “Chain of fools”) o d’illustrare melodie virilmente romantiche ("Take it lying down”, la suggestiva “Jenny doesn’t live here anymore”), i nostri ostentano una vocazione schiacciante la quale, affiancata ad una più prevedibile irreprensibilità tecnica, rende l’intera operazione di “recupero” una faccenda assolutamente encomiabile.
E nel caso qualcuno avesse dei dubbi residui in merito all’attendibilità della succitata affermazione, sono certo che "What these eyes have seen” li incenerirà all’istante … difficile trovare, pure nella generosa offerta del terzo millennio, una celebrazione dell’incandescente arte Purple-iana più credibile, avvincente e convincente.
“Place called rage” è un degnissimo esponente del “rinascimento” delle radici del rock, e qualora i suoi autori volessero tornare a suonare assieme, onorando così un altro dei trend della scena contemporanea, non resterà che accogliere senza sforzo alcuno anche questa “omologata” decisione …
Recensione a cura di Marco Aimasso

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