Copertina 7

Info

Anno di uscita:2010
Durata:51 min.
Etichetta:InsideOut Music

Tracklist

  1. NO WAY
  2. SHE LIKES TO HIDE
  3. SISTERS
  4. OF DUST
  5. TELL ME YOU DON'T KNOW
  6. SLEEPING UNDER THE STARS
  7. DARKNESS OF MINE
  8. LINOLEUM
  9. CURIOSITY
  10. WHERE IT HURTS
  11. ROAD SALT
  12. INNOCENCE

Line up

  • Daniel Gildenlöw: vocals, guitar
  • Johan Hallgren: guitar, vocals
  • Leo Margarit: drums, vocals
  • Fredrik Hermansson : keys, vocals

Voto medio utenti

Il nuovo disco dei Pain of Salvation, preannunciato dall’EP “Linoleum”, ha sul groppone le aspettative e le paure di una fan-base disperatamente alla ricerca della band che fu, quella stessa band capace di capolavori prog-metal come “Remedy Lane” e “The Perfect Element”. Tanto scalpore era già stato sollevato per un concept difficile, seppur affascinante, come “Be”, e l’ultimo “Scarsick” aveva lasciato una sorta di amaro in bocca, perché si aveva già la sensazione che le cose stessero cambiando. Beh, amici miei, il nuovo “Road Salt One” spazzerà, in 52 minuti, tutte le vostre convinzioni sui Pain of Salvation. Sì, perché la band ha decisamente intrapreso una nuova vita, dopo le due morti annunciate nel recente dvd. Fuori due membri della band, Daniel ha deciso, ancora una volta, di mischiare le carte in tavola ed offrire alle stampe il prodotto forse più controverso della sua splendente carriera, peraltro diviso in due albums, di cui questo è solo il primo tempo. “Road Salt One”, il cui titolo originale era “Road Salt Ivory”, ci inizia dunque al percorso umano del protagonista, a confronto con le sue paure, la sua frustrazione, le perdite e gli inevitabili segni che questo cammino che è la vita ti lascia addosso. Musicalmente, scordatevi quanto ascoltato fino ad oggi: questo disco suona completamente diverso, un rock leggero e disturbato, influenzato da suoni anni ’70 e con una produzione volutamente lo-fi, qui di metal non c’è neanche una nota. Ciò non toglie che le composizioni risultino in qualche modo affascinanti, proprio per la incredibile capacità di Gildenlow e compagni di trasformare, plasmare, re-inventare generi e stili. Si parte.


No way” è l’emblema dei POS targati 2010: una canzone rock, urlata, sguaiata e sofferente, in cui la band si esprime al suo massimo nel delineare in musica la rabbia di un uomo che combatte contro un altro per l’amore della sua donna. Bellissimi ed inaspettati gli stacchi musica-voce all’unisono. Per intenditori.

She likes to hide”: morbida blues/rock song, in cui la voce di Daniel fa il bello ed il cattivo tempo, come sempre aiutata dai suoi degni compari di band. Molto Beatles, come tante delle composizioni di questo disco, rallenta e rarefà l’atmosfera a favore di un mood quasi sognante.

Sisters”: uno dei pezzi più belli dell’album è ancora una volta uno slow tempo, in cui la band riesce ad infiltrare in maniera stupefacente richiami alla musica giapponese, ed in cui la voce di Daniel prende il volo, dipingendo un meraviglioso affresco in punta di pennello, con un crescendo che ricorda “Undertow” per la struttura. Alle spalle, strumentisti mostruosi, ma non per questo asserviti alla mera esibizione tecnica, bensì alla più alta missione di valorizzare la canzone. Da riascoltare al buio, commovente.

Of dust”: breve brano (come molti in questo album), in cui i PoS cantano il dolore di una perdita, con un arrangiamento che ricorda molto “Vocari Dei” di “Be”, anche nelle sue parti recitate.

Tell me you don’t know”: altro brano praticamente blues, influenzato come tutto il cd dalla musica degli anni ’70. Redivivo Hendrix, il nostro eroe ci fornisce un brano leggero, easy e godibile, seppur scontato e strasentito.

Sleeping under the stars”: un valzerino in ¾ in punta di pianoforte, altra stranezza partorita dai Pain of Salvation, con un incedere a doppia voce che fa molto Pink Floyd meets Zappa, e poi mandolini, timpani, dissonanze, echi circensi… Sempre più strano, sempre più stranamente affascinante…

Darkness of mine”: oscuro come il titolo, disturbante nelle sue chitarre leggere come gatti nell’ombra di un vicolo, lo-fi come il nuovo corso impone, si permette un’esplosione nel ritornello, in cui tornano per pochissimo le chitarre sature, ma non distorte. Ideale colonna sonora di un noir anni ’30…

Linoleum”: questo brano dava il titolo ed apriva l’EP uscito di recente, ed è forse il pezzo che più si avvicina alla vecchia discografia PoS, con la sua alternanza di pieni e vuoti. Sempre bello, con un gran refrain ed un tiro convincente.

Curiosity”: si torna a volare leggeri leggeri, con un altro brano sussurrato che poco dopo si carica e parte in un up-tempo tenuto comunque leggero, grazie soprattutto ad un batterista, il nuovo Leo Margarit, che sa accarezzare il suo strumento e preferisce le coccole agli schiaffoni. Bello il refrain, simile alle prime produzioni di “Entropia”, ma tutto sommato un brano non imprescindibile.

Where it hurts”: il piano elettrico di Fredrik introduce questo pezzo, come già fatto con “Sisters”: dolore, perdita, senso di vuoto sono le emozioni che mi trasmette, ed ancora una volta il testo parla proprio di solitudine e dolore, mai come in questo disco. Un altro brano che non fa gridare al miracolo, ma che ha un pathos davvero disturbante ed a cui faccio fatica a restare indifferente.

Road Salt”: il famoso brano eseguito dal vivo nella trasmissione svedese equivalente di “Amici”, a me continua a piacere da morire. Solo tastiere e voce, per tre minuti di poesia allo stato puro. Troppo poco, dite voi? De gustibus. La voce di Daniel, a volte, vale il prezzo del cd.

Innocence”: il brano più lungo dell’album arriva alla fine: 7 minuti e spicci, che cominciano con una chitarra slide, e si configurano subito dopo nel “solito” brano lisergico e atmosferico, molto Pink Floyd ancora una volta; il testo riprende quello di brani precedenti, per condurre la prima parte della storia ad un finale, seppur non definitivo. “There was a me, who always knew the way…” La metafora della strada come percorso di vita qui raggiunge il suo apice finale, e, nelle parole del protagonista, il percorso, la Road Salt, è ancora da percorrere. Quello che è perso è ormai passato, l’innocenza non tornerà più, meglio raccogliere i cocci di una vita disseminata per i tanti sentieri impervi che ogni uomo deve percorrere, raccogliere le forze ed andare avanti, perché è più importante quello che arriverà che quello che è stato. Brano molto vocale ed evocativo, leggero nel suo peso strumentale, ma non nella sua aura poetica.


Piacerà da morire, o sarà odiato. Verrà osannato come l’ennesimo cambio completo di stile, o sarà la pietra dello scandalo e del tradimento. Comunque vada, nessuno potrà restare insensibile ad un album che, di per sé, rappresenta tutto ed il contrario di tutto, morte e rinascita, continuità ed innovazione, progresso e regressione. Da una parte, dunque, un grande plauso ad un uomo e la sua band, capaci ancora una volta di sorprendere e di essere progressive nel senso più puro del termine. D’altro canto, questa astuta operazione potrebbe nascondere mosse commerciali, un eccessivo ammorbidimento non del tutto giustificato dalle motivazioni suddette, un calo di ispirazione drastico, abilmente mascherato dietro un cambio di rotta. Ai posteri, come si suol dire, l’ardua sentenza.
Recensione a cura di Pippo ′Sbranf′ Marino

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 10 giu 2010 alle 14:15

Trovo "Sisters" una delle canzoni più belle mai scritte dai PoS e una delle meglio interpretate da Gildenlow. Ho i brividi ad ogni ascolto.

Inserito il 24 mag 2010 alle 11:50

Devo dire che cresce esponenzialmente con gli ascolti, mi piace sempre di più. Ho odrinato anch'io la versione limitata con le tracce "estese" e aspetto che l'album mi si completi con un approfondito esame dei testi che, come da tradizione PoS, spero si rivelino dei veri tesori.

Inserito il 20 mag 2010 alle 11:57

Consiglio assolutamente di acquistare l'edizione limitata di Road Salt One, in quanto rappresenta la versione integrale dell'albem e non la solita edizione con bonus track inutili. Infatti No way e Road Salt appaiono in versione allungata ma non con orpelli inutili, semmai è come se nell'edizione normale del cd sia stata inserita la versione edit (stile singoli per le radio) e nella limited vi sia la versione originale. Inoltre l'album inizia con una breve traccia vocale-corale che dà subito un tocco stile opera rock anni settanta veramente notevole. Comunque lo trovo un album stupendo, incredibilmente intenso, soprattutto nella seconda parte, più drammatica e se vogliamo più classicamente Pain of Salvation. In generale, a mio avviso, non è nemmeno un cambiamento radicale, ma è come se gli esperimenti apparsi in Be e Scarsick fossero stati finalmente realizzati compiutamente e con linee vocali bellissime. Spero che finalmente il mondo si accorga di quale incredibile cantante si Daniel!

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