ANTEFATTOIn tutta franchezza, pazientare sino alle tre date italiche di fine luglio per assistere ad un concerto dei miei
Maiden sarebbe stato insopportabile e snervante.
Così, dando una scorsa al calendario nella disperata ricerca di appigli vacanzieri, ecco emergere un succulento ponte all’altezza di giovedì 2 giugno… vediamo un po’…
Ma tu pensa: quel weekend c’è il
Rock in Vienna. Tre giorni di concerti con
Iron Maiden,
Rammstein,
Iggy Pop,
Slayer,
Nightwish,
Kreator… e
Babymetal. Ahia.
Va bèh, chi se ne impipa delle cinguettanti giapponesine? Almeno riduco i tempi di attesa di quasi due mesi!
Anche se… a ben pensarci, parliamo comunque di uno stillicidio.
Che fare dunque?
Quest’anno Pasqua (e, ciò che più importa, il relativo lunedì non-lavorativo di Pasquetta) cade presto, a fine marzo. Chissà mai che…
Mmmh, interessante: mercoledì 30 marzo,
Madison Square Garden di
New York.
Come dite? Un po’ flebile come aggancio al ponte feriale? Non avete torto, ma d’altra parte il libero professionismo prevederà pure qualche vantaggio in termini di flessibilità, giusto?
Giusto, e quindi lo faccio.
Gande Mela, aspettami: ritorno da te!
IL PRE-CONCERTOQuale location migliore del
The Churchill Tavern, tra l’altro situata a pochi isolati di distanza dall’arena, per trascorrere le ore che precedono lo show? Se oltretutto il pub è stato scelto dal management della
Vergine come luogo di spaccio ufficiale di merchandise maideniano vario e
Trooper Beer, ancora meglio!
Almeno in teoria…
A differenza di altri illustri redattori del nostro Glorioso Portale non posso definirmi un sopraffino intenditore del nettare ambrato. Nondimeno, nel piccolo della mia ormai ultraventennale carriera di consumatore, ho avuto modo di apprendere che nove volte su dieci la lattina, rispetto alla bottiglietta di vetro, tende a svilire le qualità del liquido che contiene. Tuttavia, nel caso di specie, il verbo “svilire” suona sin troppo indulgente: utilizzerei piuttosto “affossare”, se non addirittura “annientare”.
L’incrollabile fede in tutto quanto graviti intorno alla galassia
Maiden mi fa propendere per la tesi della partita balorda, ma comunque sia, per riprendermi dall'infausta degustazione, mi vedo costretto a farmi seppellire di gadgets, poster, sottobicchieri e sticker dalla gentilissima ragazza all’ingresso.
In fondo, a noi fanatici incurabili basta poco per esser felici…
Saluto quindi il mio Primo Ministro britannico favorito e, colmo di ammennicoli dalla dubbia utilità, giungo tosto al celebre
Madison Square Garden.
Dopo una breve ed ordinatissima fila, una rapida scorsa alle T-shirt ufficiali -prezzi proibitivi, ma d’altra parte siamo a
New York- e il ritiro dei biglietti eccomi qui, sul parquet del palazzetto più famoso del Pianeta Terra, pronto per assistere all’esibizione di un altro gruppo che annovera un
Harris in line up…
IL CONCERTOAtto primo: The Raven AgeLe assidue frequentazioni ai concerti della
Vergine hanno fatto sì che, nel corso degli anni, io abbia dovuto far la conoscenza di svariati membri della popolosissima
Maiden Family.
Dapprima mi son sorbito alcune esibizioni di
Lauren Harris (figlia) -che con largo uso di diplomazia definirei più bella che brava-, il cui
hard rock zuccherino e innocuo veniva salvato in corner dalle piroette chitarristiche del futuro
Priest Richie Faulkner.
Poi è stata la volta dei
Rise to Remain, capitanati nientemeno che dal singer
Austin Dickinson (figlio). In quel caso buon sangue non mentiva: il ragazzino aveva dimostrato, almeno alle mie orecchie, di possedere corde vocali di buon livello. Già, peccato solo per la decisione di metterle al servizio dell’ennesima lagnosa, copiaincollata, insostenibile band crossover-core-emo-quella-roba-lì proveniente dalla
Perfida Albione.
“Purtroppo” i Nostri si sono già sciolti; chissà che il nuovo progetto di
Austin, denominato
As Lions, possa regalare qualche soddisfazione in più. Meno è dura, posso assicurarvelo.
Nell’attesa di cuccarmi, come gruppo spalla, il tremebondo progetto
christian rock promosso da
Rebecca, la moglie di
Nicko (dio, sono fermamente convinto che tu non esista, ma se dovessi sbagliarmi ti prego di adoperarti affinché ciò non accada mai) tocca quest’oggi al chitarrista
George Harris aprire le danze.
Narriamo, come avrete intuito, dell’ennesimo figlio di
Steve, che in alcune interviste ha speso parole davvero importanti per i
The Raven Age. La cosa, credetemi, non è scontata come potrebbe sembrare -per
Lauren, ad esempio, non ne ebbe il coraggio-.
Scopriremo a breve se l’investitura è meritata…
Alle 19:35, in effetti, i cinque baldi giovani fanno il loro ingresso in una venue d’incalcolabile prestigio, rompendo il ghiaccio con la discreta “
Uprising”.
Il loro è un
heavy moderno ma tinto di
classic, con qualche sparuto rimando al
death melodico. Un
heavy che alla velocità predilige il mid tempo, se possibile groovy, e che purtroppo non sa rinunciare al chorus catchy/epicheggiante con clean vocals d’ordinanza.
Nulla di stravolgente dunque, anche in considerazione di alcuni difetti lampanti:
- il songwriting pecca di eccessiva staticità strutturale, e mancano come l’acqua strappi ritmici, cambi di tempo e accelerazioni all’interno di brani che finiscono per risultare troppo monolitici;
- ho trovato il cantante
Michael Burrough piuttosto monocorde e ancora acerbo a livello interpretativo e di presenza scenica;
- spesso le composizioni scadono nell’ampolloso e necessiterebbero di una sforbiciata (dev’essere un vizio di famiglia);
- da ultimo, strappano un sorriso benevolo le armonizzazioni in twin (chissà a chi si sono ispirati?).
Al tempo stesso ritengo che, fra le varie manifestazioni di nepotismo maideniano, quella dei
The Raven Age sia ad oggi la più costruttiva: “
Eye Among the Blind” o la conclusiva “
Angel in Disgrace” ci regalano buoni riff e melodie più che accettabili prima del commiato e dei -timidi- applausi provenienti dalla platea.
Non mi smuoverei da una sufficienza di stima, e ad oggi, onestamente, non investirei mai 20 euro dei miei sudati risparmi per accaparrarmi un loro album (se mai arriverà, visto che sinora i Nostri hanno rilasciato unicamente un
EP). A meno che quei furbetti non ospitino babbo Steve per una canzoncina o due, obbligandomi così ad entrare in modalità-collezionismo acritico ed aprioristico.
Ah, dura e dispendiosa la vita del die-hard fan. Ma bastano le sublimi note di
Doctor Doctor degli
UFO, intro di ogni concerto da anni a questa parte, a ripagarmi di ogni tribolazione…
Atto secondo: Iron MaidenLe luci si spengono, i maxischermi ai lati del palco proiettano un bel filmato in computer grafica ambientato nella giungla (molto
Indiana Jones, ma non voglio spoilerare), un calderone sciamanico posto sopra il nuovo, stupendo drumkit di
Nicko inizia ad emettere sinistri fumi… e
Bruce compare dietro esso.
La gioia che provo nel rivederlo in un contesto live, dopo la ben nota malattia che lo ha colpito negli scorsi mesi, è davvero impossibile da descrivere a parole. Personalmente sarei già soddisfatto così, ma per sovrappiù c’è un intero concerto cui assistere. Concerto che entra nel vivo dopo la scorribanda solitaria di
Dickinson, allorquando tutti i restanti membri della
Vergine si presentano sulle assi dello stage per completare “
If Eternity Should Fail”.
Il suono è un po’ impastato, mentre le chitarre non escono dalle casse con la dovuta potenza, ma sono talmente entusiasta da non considerarlo un problema. Quanto mi siete mancati…
L’estasi permane anche in occasione della successiva “
Speed of Light”, eseguita alla perfezione da una band che pare davvero in ottima forma: per quanto mi riguarda, il singolo apripista dell’ultima fatica appare ancor più convincente in sede live. Superare la versione in studio di un classico immortale come “
Children of the Damned”, invece, non costituisce obiettivo ragionevole; ciò non toglie che i sei (
Adrian Smith in particolare) riescano a fornirne un’interpretazione grintosa e trascinante.
Analogo discorso per gli ulteriori estratti da “
The Book of Souls”, ossia la triste “
Tears of a Clown” e la torrenziale “
The Red and the Black”.
Tutto splendido, impianto luci, stage e backdrop inclusi.
Peccato solo per l’assenza di pubblico.
Ma come? I biglietti per la data newyorchese sono andati polverizzati in pochi minuti, vero?
Assolutamente sì, peccato però che una platea composta da vaganti della serie “
The Walking Dead” avrebbe garantito maggior dinamismo e partecipazione rispetto al branco di cartonati che stasera popolano l’arena.
Me n’ero già accorto pochi giorni prima, sempre al
Madison, mentre i
Cavs di Sua Maestà
LeBron James passeggiavano sui resti dei malcapitati
Knicks, e ne ho amara conferma stasera: questi americani non hanno la più pallida idea di cosa significhi partecipare attivamente ad uno show. Niente cori, niente pogo, niente movimento, solo migliaia di cellulari levati al cielo che catturano avidamente ogni singolo istante di concerto (atteggiamento, questo, che ho sempre detestato e che detesterò sino alla fine dei miei giorni) e applausi/urletti poco convinti a fine canzone, giusto per non risultare scortesi.
E questo è quanto.
Se considerate che in occasione della data precedente, a
San Paolo (Brasile), un tizio disabile ha fatto crowd surfing con la carrozzina a seguito, capirete che la differenza tra i due atteggiamenti è piuttosto significativa.
Ma i nostri
Iron, ben consapevoli del lassismo dell’audience a stelle e strisce, non lasciano nulla d’intentato: “
The Trooper”, che mette in mostra una volta ancora velocità e fluidità esecutiva dell’ineffabile
Dave Murray, e una “
Powerslave” magistrale, con uno
Steve Harris sugli scudi, chiudono idealmente una prima parte di show da 10 in pagella.
Mi astengo dal conferire la lode solo per colpa di un bilanciamento sonoro ancora perfettibile (il volume della chitarra di
Janick è miserello anzichenò) e di alcuni passaggi in cui
Nicko sembra andare un po’ col pilota automatico. Ma discutiamo davvero di quisquilie.
Sul bridge della successiva “
Death or Glory” inizia ad udirsi qualche lieve scricchiolio all’ugola d’oro di
Bruce, più che ineccepibile sino a quel momento. Sulla fenomenale
title-track dell’ultimo disco, invece, il nostro amato pilota canterino arranca vistosamente, tanto sul chorus -in effetti proibitivo dal punto di vista vocale- quanto nell’altrettanto ardua porzione finale.
Ma
Dickinson non si scoraggia affatto, e anzi si riprende alla grande con la successiva “
Hallowed Be Thy Name”, accantonata nel precedente tour proprio per le difficoltà canore che presentava. Stasera fila tutto più che liscio, con notevole sollievo del sottoscritto -in fondo parliamo pur sempre della mia canzone preferita in assoluto-.
Promosse a pieni voti anche le immancabili “
Fear of the Dark” (unico brano sul quale il pubblico pagante dimostra qualche timido segno di vita) e “
Iron Maiden”, che vede l’ingresso dietro al palco dell’enorme testone di
Eddie in versione
Maya.
I Nostri salutano, ma nessuno si muove di un millimetro -non avevamo dubbi-; dopo pochi istanti, un pupazzone raffigurante un sinistro capro antropomorfo ci introduce al secondo ingresso della band ed all’adrenalinica “
The Number of the Beast”.
Il mood frenetico dell'esibizione, esaurita questa messe di classiconi, cambia di colpo: le luci dello stage da rosso fuoco si tingono di un tenue azzurro, e Bruce annuncia “
Blood Brothers”. Scelta, a questo punto della setlist, abbastanza sorprendente, ma senza dubbio vincente in virtù di un'interpretazione davvero sentita da parte di tutti e sei i musicisti. A mio avviso uno dei punti più alti dell’intera esibizione, che si chiude altrettanto in gloria con l’irresistibile ritornello di “
Wasted Years”.
Purtroppo stavolta è finita davvero: a certificarlo interviene l’ormai noto fischiettio di “
Always Look on the Bright Side of Life” dei
Monty Python.
Ciò è oltremodo triste anche se, a ben vedere, nei mesi futuri avrò comunque modo di assistere ad altri quattro live della
Vergine, ragion per cui non posso ragionevolmente lamentarmi…
Anzi, tutt’altro: me n’ero già accorto visionando sul tubo le registrazioni delle precedenti date (in fondo, quei cellulari levati al cielo a qualcosina servono), ma accertare coi miei occhi l’invidiabile stato di forma in cui versano oggi gli
Iron Maiden non può che rendermi ilare.
A questo punto non resta che festeggiare l’indimenticabile concerto trangugiando un bell’hamburger innaffiato da una birretta o due. Magari non
Trooper in lattina, please…
LA MOSTRANemmeno a farlo apposta, dopo nemmeno 48 ore è di nuovo
Maiden time!
Il primo aprile conduco quindi la mia povera consorte a
Brooklyn, e più precisamente alla
Bottleneck Gallery, ove alle 7 di sera inaugura una piccola mostra. L’esposizione si concentra su opere pittoriche di giovani artisti americani alle prese con
Eddie mentre “fa cose” riconducibili alle lyrics di note canzoni del repertorio
Iron. Oltre a ciò, un televisore proietta i trailer dell’imminente role playing game per portatili “
Legacy of the Beast”, anch’esso dedicato al nostro amato zombie, facendomi venire una discreta acquolina (speriamo solo si tratti di un gdr a turni puro con un minimo di impianto strategico… ok, la smetto di dispensare nerdismo).
La mostra è minuta ma caruccia, non fosse per la sciagurata scelta degli organizzatori di offrire esclusivamente birre light tutt’altro che gelide (ma perché, mi chiedo e mi domando?). La mancanza di salatini e bevande decenti, d’altra parte, non m’impedisce di acquistare un paio di dipinti in tiratura limitata a 250 esemplari (uno dedicato a “
2 Minutes to Midnight”, l’altro a “
Speed of Light”).
Mi piaceva moltissimo anche il quadro ispirato a “
Killers”, ma d’altra parte non si può avere tutto dalla vita…
Tutto no, però un’altra data della
Vergine tra un paio di mesi la accetto ben volentieri, grazie!
Il
Rock in Vienna si avvicina ad ampie falcate, e non vedo già l’ora…
Nel frattempo, come sempre,
Up the Irons!
Report di
Marco “Cafo” CaforioFoto di
Giulia “Gonzalo Sabor” BianchiTHE RAVEN AGE setlist:
1 -
Uprising2 -
Promised Land3 -
The Death March4 -
Eye Among the Blind5 -
The Merciful One6 -
Salem’s Fate7 -
Angel in DisgraceIRON MAIDEN setlist:
1 -
If Eternity Should Fail2 -
Speed of Light3 -
Children of the Damned4 -
Tears of a Clown5 -
The Red and the Black6 -
The Trooper7 -
Powerslave8 -
Death or Glory9 -
The Book of Souls10 -
Hallowed Be Thy Name11 -
Fear of the Dark12 -
Iron MaidenEncore
13 -
The Number of the Beast14 -
Blood Brothers15 -
Wasted Years