Copertina 7

Info

Anno di uscita:2007
Durata:53 min.
Etichetta:Interscope
Distribuzione:Universal

Tracklist

  1. TURNIN' ON THE SCREW
  2. SICK, SICK, SICK
  3. I'M DESIGNER
  4. INTO THE HOLLOW
  5. MISFIT LOVE
  6. BATTERY ACID
  7. MAKE IT WIT CHU
  8. 3'S & 7'S
  9. SUTURE UP YOUR FUTURE
  10. RIVER IN THE ROAD
  11. RUN, PIG, RUN
  12. THE FUN MACHINE TOOK A S**! & DIED

Line up

  • Joshua Homme: guitar
  • Troy Van Leeuwen: guitar, bass
  • Joey Castillo: drums

Voto medio utenti

Joshua Homme è un musicista di talento, ma anche un uomo dal carattere piuttosto complesso. Schivo, volubile, ombroso, sarcastico e sensibile, capace di alternare periodi di frenetica energia con lunghe fughe solitarie nella vastità del suo amato deserto. Ma anche personalità irrequieta e curiosa, che in campo musicale non ha mai nascosto la sua repulsione per l'immobilismo creativo, per la banale routine spacciata come rigore e coerenza professionale. Così la sua carriera è stata un florilegio di progetti, sperimentazioni, side-bands, collaborazioni e stravaganze assortite, alcune importanti e durature altre invece nate e svanite in un battito di ciglia.
Anche i Queens of the Stone Age, fulcro fondamentale della galassia Homme-iana, rientrano nello schema generale ed hanno risentito almeno in parte degli istinti umorali del loro leader. Il gruppo non ha seguito un processo evolutivo piatto e lineare, anzi finora era cresciuto a scatti pur se procedendo sempre in avanti nel perfezionare la propria formula rock. Un progresso che da tempo ha catapultato la band fuori dalla nicchia dei soli amatori, portandola a conoscenza di quel pubblico più generico che ne ha infine decretato il successo commerciale.
Finora, appunto.
L'arrivo di "Era vulgaris" tronca il discorso con una retromarcia tanto violenta quanto inattesa, facendo sospettare che si tratti dell'ennesimo tentativo di Homme di sorprendere gli appassionati e spiazzare la critica. In particolare è un guanto di sfida verso quelle prime malelingue che iniziavano a bollarlo come il solito travet del rock, pronto a clonarsi all'infinito pur di fare cassetta. Invece i QotSA spezzano il sottile filo di continuità che legava gli ultimi lavori e ricominciano tutto da capo, con un disco molto più simile a quello d'esordio che alla produzione successiva.
Rispetto a dieci anni fa ci sono differenze di contorno, piccole sfumature che non nascondono la volontà di rispolverare le vecchie teorie robotic-rock elaborate all'epoca insieme ad amici come Fatso Jetson o Masters of Reality. Questo è il motivo centrale di un album costato mesi di impegno e lavoro, ma che alla fine presenta la stessa atmosfera rustica e granulosa delle realizzazioni rock-stoner americane di fine '90.
Il disco piacerà a chi aveva mal digerito i troppi momenti di sonnolenta cupezza del discusso "Lullabies to paralyze", ma la sensazione più forte è quella di un lavoro dedicato ai fedelissimi della prima ora. Il primo nucleo di fans attirati dalla speranza che i QotSA si rivelassero i veri eredi dei mitici Kyuss, poi conquistati da questa creatura diversa nella forma ma ugualmente affascinante.
Nel disco sono sempre presenti i temi sornioni ed accattivanti che hanno fatto la fortuna della band, vedi i possibili singoli "Sick, sick, sick" e "3's & 7's", ma la loro confezione ignora le logiche commerciali presentandosi ostica ed irta di spigoli. Brani farciti di riffs angolari e di rigidità meccanica, più adatti ai cultori delle Desert Sessions che alle rotazioni sui media. Atmosfere ironicamente tecnologiche che profumano di ingenua sci-fi anni '60, ritmi ossessivi che martellano con una precisione ai limiti del maniacale, retrogusto urbano ed alienante da catena di montaggio, questo è ciò che attende coloro che prevedevano una seconda parte del glorificato "Songs for the deaf". Non basta infatti il romanticismo placido di "Into the hollow" o quello amaro e notturno in "Suture up your future" a bilanciare la corrente di cyber-psichedelia che scorre attraverso l'album, dal potente ingresso di "Turnin'on the screw" all'alienante finale "Run, pig, run".
Per il resto solito schieramento di amici-ospiti, dagli onnipresenti Goss e Lanegan al new-entry Julian Casablancas degli Strokes. I QotSA sono e saranno sempre un cantiere aperto a qualsiasi contributo, pur mantenendo la propria inconfondibile identità.
Il responso è chiaro. Se siete tra i pochi ad aver apprezzato i QotSA grazie agli storici primi split-cd o al disco d'esordio, "Era vulgaris" è stato realizzato proprio per voi. Al contrario, se della band conoscete a malapena quel paio di fortunati video-clip, è opportuno riflettere bene prima di un eventuale acquisto.

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