Copertina 8

Info

Anno di uscita:2002
Durata:51 min.
Etichetta:Rise Above
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. YOUR WORLD WILL HATE THIS
  2. MONKEY PANIC
  3. RAGE OF ANGELS
  4. MADE OF RATS
  5. WHISKEY LEECH
  6. GETTING HIGH
  7. GRAVITON
  8. RED WEB
  9. BORN WITH BIG HANDS
  10. JESUS BEATER
  11. WE BITE
  12. STINKIN’O’GIN

Line up

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“Esiste un grande vuoto nella scena musicale odierna, ed i Goblins riempiono quel buco...”.
Commento impegnativo che non mi posso attribuire, sono infatti parole di John Garcia nelle vesti di super ospite di questa quarta fatica del gruppo inglese, che ne attestano la costante crescita e l’avvenuta collocazione nel piccolo olimpo degli stoner-gods.
A titolo personale posso dire che il loro “Frequencies from planet ten” mi fulminò a tal punto da spingermi ad abbandonare quasi totalmente il metal tradizionale, i cui confini iniziavano a sembrarmi angusti, per gettarmi a capofitto nella stimolante scena heavy-psych che prendeva forma in quegli anni. Gli Orange Goblin possiedono connotati particolari, pur dichiarando un’ammirazione per i Kyuss che sfiora l’idolatria, nella loro musica non si è mai sentito troppo il desert rock, bensì una massiccia dose di ritmi Motorhediani senza fronzoli, intervallati da fantastiche aperture verso lo spazio, restando sempre all’interno di canzoni ben definite evitando per lo più le lunghe jam strumentali caratteristiche di questo genere.
Grazie alla produzione di Scott Reeder (ex-Kyuss, ora Unida) la band ha affinato ulteriormente la qualità del songwriting e questo “Coup de grace” si presenta come il più vario, e forse bello, album da loro pubblicato.
Tutto il disco sfrutta un taglio spiccatamente metal, un wall of sound avvolgente che offre richiami ed influenze ben distinte tra loro, si passa con naturalezza dallo schizzo heavy iniziale “Your world…” all’omaggio punk “We bite”, il quale prosegue la curiosa tradizione del gruppo di dedicare una canzone di ogni lavoro ad uno stile in particolare (era già successo con il southern ed il doom). Ma la spina dorsale che sorregge il tutto è composta da vertebre d’acciaio come “Monkey panic” “Whiskey leech” “Born with big hands”, che mi permetto di definire in caratteristico stile “Gobliniano” dato che loro, come pochi altri, hanno scoperto la giusta alchimia tra influssi d’annata e potenza moderna personalizzandola in maniera inconfondibile.
Discorso a parte per i due brani dove compare l’ex singer dei Kyuss, il primo “Made of rats” è assolutamente strepitoso, il duetto tra la voce celestiale di Garcia e quella roca e nasale dell’istrionico Ward, divenuto simbolo della band, è qualcosa che non si sentiva da tempo e corona il sogno più volte sbandierato dagli inglesi di suonare qualcosa con God-John, il secondo “Jesus beater” ricorda gli Unida, è di buon livello, e contribuisce a portare avanti quest’altra consuetudine delle collaborazioni inaugurata da “Turbo effalunt” con Harry Armstrong degli Hangnail. Entusiasmante “Rage of angels” con il suo sognante trip centrale incastrato in un torrido riff circolare, ed anche l’esplosione finale “Stinkin’o’gin”, alcolico rock blues dal sapore southern che lascia spazio ai solismi un po’ compressi nel ritmo martellante degli altri brani.
Un 2002 che nasce all’insegna dei big dello stoner, The Quill, Fu Manchu, Orange Goblin in rapida successione con lavori all’apice delle loro produzioni, sono il termometro della resistenza di questo movimento che non si arrende alle esigenze di mercato. Un esempio da seguire per la miriade di formazioni che premono alle spalle dei leaders e che usciranno allo scoperto nei prossimi mesi.

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