Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2024
Durata:36 min.
Etichetta:Argonauta Records

Tracklist

  1. BONES
  2. WHEEL
  3. DARK SKY
  4. THE THIRD PLANET
  5. KOLI
  6. SPRINGTIME
  7. MY MOONIN' DOWN
  8. THE DAY THAT DAVID BOWIE DIED

Line up

  • Stefano Biagioni: guitar, vocals
  • Fabio Buda: bass, vocals
  • Alessio Tambellini: drums, vocals

Voto medio utenti

Pronti per l’esplorazione di un altro pianeta? Un mondo popolato da elefanti effervescenti, nubi fluorescenti e tramonti violacei? Un luogo collocato più o meno tra il Paese delle Meraviglie e Erewhon, avvolto da un involucro gassoso che non induce mirabolanti alterazioni psicosensoriali ma può alimentare riflessioni esistenziali e valutazioni sull’ineluttabilità del destino.
Mi auguro proprio di sì, poiché in questo modo potrete scoprire il sapido e pacato miscuglio di psichedelia con ascendenze hard-blues contenuto in “The third planet”, esordio discografico dei Moonin Down, il progetto artistico di tre musicisti toscani che da anni militano in band del sottobosco musicale italiano.
Esperienza e passione che si concentrano in un albo che attinge dalla lezione di The 13th Floor Elevators, (primi) Pink Floyd, Cream e Jimi Hendrix, per poi arrivare a includere influssi di Dr. Brown, Miracle Workers, Masters Of Reality e Tame Impala, finendo per costituire quello che il trio definisce PsicHARDelic Rock e si dimostra un apparato sonico edificato su basi solide, su cui i nostri innestano le proprie misture espressive con una certa disinvoltura e sensibilità.
Un repertorio, insomma, fatto di pulsazioni abbastanza dense e penetranti, come accade in “Bones” (con dei cori che potrebbero piacere pure agli estimatori dei Kasabian …) e nelle rituali irradiazioni garage di “Wheel”, a cui si aggiungono le ipnotiche oscillazioni di “Dark sky” e le rarefazioni enfatiche della title-track dell’opera e della fin un po’ troppo didascalica e prolissa “Koli”.
Con “Springtime” il clima si fa più torpido e narcotico, mentre “My moonin' down” irrora d’acido il “vecchio” rock n’ roll e “The day that David Bowie died” alterna pause e accelerate per poi sfociare in un’ebbrezza sonora impastata di carica lisergica.
I Moonin Down non sono certamente né i primi e né i soli a maneggiare la materia hard-psych, ma la loro “versione dei fatti”, pur senza svettare prepotentemente per eclettismo e “audacia” tout-court, piace per il buongusto e la credibilità, raccomandando ai cultori del genere una vigile attenzione nei loro confronti.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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