Copertina 6,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2023
Durata:37 min.
Etichetta:Dying Victims Productions

Tracklist

  1. CARCASS ON YOUR SHOULDERS
  2. LIFE IN CHAINS
  3. MAKE MY DAY
  4. MASTER BATOR
  5. WHEELS OF FIRE
  6. NIGHTMARE INVADERS
  7. GLORY RIDERS
  8. THIRTY AND DIRTY

Line up

  • Pawel Nemkovic: guitars, vocals
  • Kevin Steelrider : bass
  • Tommy Z.: drums
  • Axel Warrior: guitars

Voto medio utenti

Non c’è solo l’INPS a ricordare continuamente a quelli della mia generazione che siamo “ancora giovani” … anche il ritorno in auge di certe sonorità ottantiane sembra volerci far intendere che in fondo non è cambiato molto da quando abbiamo iniziato a frequentare il variopinto mondo dell’hard’ n’ heavy.
Purtroppo è sufficiente anche solo uno sguardo distratto allo specchio per rendersi conto che la situazione è parecchio diversa, mentre effettivamente ascoltare un disco come questo debutto sulla lunga distanza dei teutonici Savage non può che evocare i tempi in cui W.A.S.P., Accept, Lizzy Borden, Twisted Sister e (primi) Mötley Crüe erano davvero sulla “cresta dell’onda”.
Accantonati i prevedibili languori nostalgici, “Glory riders” ci presenta una band parecchio divertente, gagliarda, verosimilmente molto indicata a travolgenti esibizioni live e tuttavia al momento un po’ troppo “derivativa” per poter fornire un sostanzioso contributo artistico alla scena contemporanea.
In particolare, la dipendenza da Blackie Lawless & C., fotografati nel loro periodo più “animalesco”, rende l’opera eccessivamente “prevedibile”, e non solo per chi quell’epoca l’ha vissuta in prima persona.
Troppi brani, pur conservando una bella energia istintiva, mancano di quel guizzo espressivo che distingue l’ispirazione dalla palese devozione, all’interno di un songwriting che, causa una certa superficialità, può magari anche determinare fulminei effetti emotivi, di certo, però, tutt’altro che duraturi.
Rimane l’impressione di una formazione che per attitudine potrà andare oltre gli attuali risultati, che vedono “Life in chains”, “Make my day”, “Master bator” e la più articolata e fosca “Nightmare invaders” (vagamente Sabbath-iana) come i momenti più riusciti del programma.
Non mi rimane, in conclusione, che ringraziare i Savage (denominazione azzeccata, malgrado anche qui sia da rilevare la poca originalità …) per il gradevole e illusorio flashback, e nella speranza di poter continuare il “sogno” sotto un palco, auspicare che il futuro consenta loro di reperire una maggiore identità propria, da impastare adeguatamente con quel “fuoco” che già arde rigoglioso nei loro frementi cuori metallici.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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