Non c’è solo l’
INPS a ricordare continuamente a quelli della mia generazione che siamo “ancora giovani” … anche il ritorno in auge di certe sonorità
ottantiane sembra volerci far intendere che in fondo non è cambiato molto da quando abbiamo iniziato a frequentare il variopinto mondo dell’
hard’ n’ heavy.
Purtroppo è sufficiente anche solo uno sguardo distratto allo specchio per rendersi conto che la situazione è parecchio diversa, mentre effettivamente ascoltare un disco come questo debutto sulla lunga distanza dei teutonici
Savage non può che evocare i tempi in cui W.A.S.P., Accept, Lizzy Borden, Twisted Sister e (primi) Mötley Crüe erano davvero sulla “cresta dell’onda”.
Accantonati i prevedibili languori nostalgici, “
Glory riders” ci presenta una
band parecchio divertente, gagliarda, verosimilmente molto indicata a travolgenti esibizioni
live e tuttavia al momento un po’ troppo “derivativa” per poter fornire un sostanzioso contributo artistico alla scena contemporanea.
In particolare, la dipendenza da
Blackie Lawless & C., fotografati nel loro periodo più “animalesco”, rende l’opera eccessivamente “prevedibile”, e non solo per chi quell’epoca l’ha vissuta in prima persona.
Troppi brani, pur conservando una bella energia istintiva, mancano di quel guizzo espressivo che distingue l’ispirazione dalla palese devozione, all’interno di un
songwriting che, causa una certa superficialità, può magari anche determinare fulminei effetti emotivi, di certo, però, tutt’altro che duraturi.
Rimane l’impressione di una formazione che per attitudine potrà andare oltre gli attuali risultati, che vedono “
Life in chains”, “
Make my day”, “
Master bator” e la più articolata e fosca “
Nightmare invaders” (vagamente
Sabbath-iana) come i momenti più riusciti del programma.
Non mi rimane, in conclusione, che ringraziare i
Savage (denominazione azzeccata, malgrado anche qui sia da rilevare la poca originalità …) per il gradevole e illusorio
flashback, e nella speranza di poter continuare il “sogno” sotto un palco, auspicare che il futuro consenta loro di reperire una maggiore identità propria, da impastare adeguatamente con quel “fuoco” che già arde rigoglioso nei loro frementi
cuori metallici.
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