AA.VV. - Steel Bars - A Tribute To Michael Bolton

Copertina 7

Info

Anno di uscita:2023
Durata:49 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. EVERYBODY’S CRAZY (GIRISH PRADHAN)
  2. FOOLS GAME (STEVE OVERLAND)
  3. HOW CAN WE BE LOVERS (DAVE MIKULSKIS)
  4. STEEL BARS (SOCHAN KIKON)
  5. WAIT ON LOVE (ANA NIKOLIC, NEVENA BRANKOVIC)
  6. CAN’T TURN IT OFF (GUI OLIVER)
  7. SAVE OUR LOVE (SANTIAGO RAMONDA)
  8. GINA (ROBBIE LABLANC)
  9. CALL MY NAME (STEFAN NYKVIST)
  10. DON’T TELL ME IT’S OVER (RONNIE ROMERO)
  11. DESPERATE HEART (JAMES ROBLEDO)

Line up

  • Andrea Seveso: guitars
  • Saal Richmond: keyboards
  • Mitia Maccaferri: bass
  • Nicholas Papapicco: drums
  • Alessandro Del Vecchio: backing vocals

Voto medio utenti

Mi auguro che non ci sia dubbio alcuno sul valore di Michael Bolton e sul suo ruolo seminale nello sviluppo dell’AOR negli anni ottanta, grazie ad album epocali come l’omonimo del 1983 e, soprattutto, “Everybody's crazy” del 1985, seguiti dagli altalenanti “The hunger” (1987 ... ancora piuttosto buono) e “Soul provider” (1989).
Quello che l’eccezionale vocalist di origine russa (vero cognome Bolotin) è diventato dopo tali scintille artistiche è affare che riguarda soprattutto il suo conto in banca, ma, nonostante l’inevitabile disappunto dei suoi iniziali estimatori, ciò non sminuisce in nessun modo il fascino inalienabile e l’imperioso fervore espressivo con cui il nostro ha saputo trattare la “materia adulta”.
Un contributo alla “causa” a cui tutti gli chic-rockers devono inevitabilmente indirizzare un’enorme forma di riconoscenza, e se appartieni di diritto alla nobile categoria, ti chiami Serafino Perugino e sei a capo di un’etichetta discografica di nome Frontiers Music, trasformare tale “debito” in qualcosa di concreto e assai godibile anche per gli altri affiliati, diventa una faccenda meritevole di lode e considerazione.
Eh già, perché “Steel bars” è una gradevolissima raccolta di splendide canzoni tratte dal miglior repertorio Bolton-iano, affidate ad abili musicisti e, cosa abbastanza “rischiosa”, a un manipolo di cantanti chiamati a non sfigurare nei confronti di un signore capace di meritarsi l’appellativo di “Otis Redding bianco”.
Così, se non sorprendono le prove dei veterani del settore Steve Overland (affine per timbro e impostazione canora allo stesso Bolton e tranquillamente in grado di gestire senza impacci la melodia avvolgente e pulsante di “Fools game”) e Robbie Lablanc (ottima la sua prestazione nell’avvincente remake di “Gina”, che ricordo trattata con analogo ardore dai nostri HungryHeart), la curiosità aumenta quando sono nomi meno esperti ad affrontare un’impresa così “azzardata”.
Cominciamo con quelli, come dire, semi-notiGirish Pradhan (appena meno pastoso dell’originale) se la cava egregiamente con l’anthemica title-track dell’eccelso “Everybody's crazy” (non a caso il più “saccheggiato” di questo tributo) e lo stesso si può dire del “prezzemolino” Ronnie Romero, diventato uno specialista della difficile arte della cover-version e qui impegnato con discreto profitto (forse solo un pochino troppo “aspro”) nella sontuosa “Don’t tell me it’s over”, un altro gioiello prelevato dalla irreprensibile scaletta del disco che certifica la “sana pazzia” del rock n’ roll.
E sempre per rimanere in tema, plauso anche a James Robledo (Demons Down, Sinner’s Blood, Robledo), valido gerente della suggestiva atmosfera crepuscolare che alimenta “Desperate heart”.
Le “sorprese” maggiori, tuttavia, arrivano da illustri “sconosciuti” come Dave Mikulskis (di livello la sua prova nella Desmond Child-ianaHow can we be lovers”, uno dei pezzi migliori di “Soul provider”, assieme a “You woudn’t know love”, purtroppo assente dalla selezione) e Stefan Nykvist (ottimo nell’irresistibile pathos romantico di “Call my name”), seguiti dall’emergente Santiago Ramonda (Stormwarning), davvero a suo agio nella pulsante “Save our love”.
Alla categoria interpretazioni leggermente meno efficaci registriamo poi quella di Sochan Kikon (About Us) in “Steel bars” (una delle poche tracce decenti di “Time, love & tenderness”, scritta addirittura con Bob Dylan!) e di Ana Nikolic e Nevena Brankovic (The Big Deal), un po’ troppo leziose in “Wait on love”.
All’appello manca ancora un brano, e la cosa non è casuale, in quanto ritengo “Can’t turn it off” uno dei momenti FONDAMENTALI dell’intero universo AOR … affidata all’ugola “educata” di Gui Oliver (Auras, Landfall) conserva il suo travolgente fascino e consente di sottolineare anche la perizia e la sensibilità esecutiva di Andrea Seveso e Saal Richmond.
Steel bars - A tribute to Michael Bolton” appare dunque un bel modo, dai connotati transgenerazionali, di celebrare un talento artistico enorme, ahimè “sprecato”, che però merita di essere magnificato per quanto consegnato ad un genere che ancora oggi si avvale dei suoi immarcescibili insegnamenti.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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