Copertina 7

Info

Anno di uscita:2021
Durata:48 min.
Etichetta:WormHoleDeath

Tracklist

  1. THROUGH THE FIRE
  2. LABYRINTH
  3. COLD PINE HIGHWAY
  4. SUN STROKES THE WALL
  5. MYRMIDON'S BIG JAM
  6. HEAD OF MEDUSA

Line up

  • Thomas: lead guitar
  • Frédéric: guitar
  • Benoit: bass
  • Mathieu: drums

Voto medio utenti

Il Qilin (anche Kilin o Kirin) è una creatura mitologica del folklore asiatico, noto anche come unicorno giapponese. La sua rappresentazione è simile a quella della chimera ed è considerato uno dei quattro animali di buon augurio insieme a drago, fenice e tartaruga.
Questo il significato del nome scelto dal presente quartetto parigino, che debutta con l'album "Petrichor". Lavoro interamente strumentale, che ingloba solide basi stoner con suggestioni post-rock, vibrazioni desert, intensa fuzz-energy ed atmosfere che spaziano dallo psych-space ad un certo retrogusto doomy. Una ricetta piuttosto variegata, che i francesi dipanano lungo sei brani estesi e ricchi di variazioni stilistiche.
Ad esempio, se vi piacciono gli Earthless o i Wo Fat troverete gratificante il lungo trip acido "Myrmidon's big jam", che procede per dieci minuti con passo gladiatorio e combattivo seguendo il turbinio chitarristico di Thomas sul modello di Isaiah Mitchell. Jam-song da stordimento assicurato.
Se invece preferite temi più rallentati e vagamente sinistri, c'è l'altrettanto dilatata "Head of Medusa" con il suo andamento cupo e lievemente decadente che sfocia poi nell'assolo centrale e successivamente in poderose divagazioni quasi sludgy. Si coglie l'eco dei Pelican e del movimento post-stoner rock, ma il quartetto regge ottimamente sul piano strumentale e finisce per denotare una certa freschezza di idee.
Altri spunti interessanti provengono dall'iniziale "Through the fire", pezzo heavy-stoner molto robusto e spedito (alla Karma to Burn) che impatta a valanga facendo scapocciare per bene, così come dall'intreccio doom/prog/fuzz della più sofisticata "Labyrinth" e dai vapori desertici e psichedelici che si diffondono da "Cold Pine highway", una sorta di rivisitazione dei Kyuss in chiave contemporanea.

Un lavoro strumentale ben strutturato e poco ripetitivo. Certo qualche passaggio sembra un pò abbondante, ma i transalpini evitano di esagerare e finiscono per risultare buoni esecutori della materia. Se apprezzate i nomi citati nella recensione, apprezzerete i Qilin.

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