Monkey Business - The Noble Art of Wasting Time

Copertina 8

Info

Anno di uscita:2006
Durata:53 min.
Etichetta:Powerzone
Distribuzione:Masterpiece

Tracklist

  1. WAKE UP AND ROCK
  2. WHAT THE FUCK!?
  3. TIME OUT OF JOINT
  4. I SMELL THE PERFUME
  5. ONE OF A KIND
  6. NO LOVE NO PAIN (DEDICATED TO...
  7. CHILD INSIDE
  8. WAITIN' BY THE CROSSROAD
  9. KINDA LOVE
  10. SEPARATE WAYS
  11. EVERY NOW AND THEN

Line up

  • Valerio Sciascia: vocals
  • Dario Crocetta, Lello Miele: guitars
  • Attilio Barbato: bass
  • Yari Lanci: drums

Voto medio utenti

Bambini, su … un attimo d’attenzione prego … Oggi si parla di street metal, di quel genere musicale discendente dal glam e da un certo trash rock più fisico e tossico (Aerosmith, Hanoi Rocks, …) che, come ogni figlio che si rispetti, pur mutuandone alcuni aspetti fondamentali, “strapazza” gli insegnamenti dei propri progenitori con quella forma di ribellione tipica di un qualunque divario generazionale.
Niente più lustrini e rossetti, ma un incremento di quella rabbia, amarezza, violenza e “sporcizia”, che già i maestri di Boston e quelli di Helsinki avevano fatto vedere nella loro musica, la quale diventava un tutt’uno con quell’attitudine che voleva ogni attimo dell’esistenza vissuto come si trattasse dell’ultimo.
Nascono così tantissime bands devote a questi dogmi e per molte di loro nonostante la qualità e un fugace momento d’effimera notorietà, il destino riserverà solo l’oblio.
Il fascino e il peso “artistico” di questo stile è assolutamente innegabile e anche se il suo boom è stato relativamente breve (all’incirca tra i tardi anni ottanta e i primi novanta), ha sicuramente lasciato un segno profondo sia nella “storia” del rock, sia in molti appassionati di quest’incredibile forma d’intrattenimento.
Tra questi ultimi credo di poter annoverare anche i protagonisti di questa disamina, gli italiani Monkey Business, che la lezione l’hanno imparata proprio bene, almeno dal punto di vista musicale (alla fine l’unica questione davvero importante) e ne hanno assimilato a fondo il significato, evitando, dunque, nel momento dell’impegno in prima persona, di sciorinare pedissequamente parola per parola (e qui sarebbe meglio dire nota per nota!) quanto appreso durante il periodo di “formazione”.
In realtà, in questo “The noble art of wasting time” (a proposito, un titolo bellissimo!), non troverete solamente le stigmate del suono stradaiolo per eccellenza (esplicato da Guns ‘n’ Roses e Skid Row, due dei suoi rappresentanti maggiormente emblematici in assoluto), ma anche parecchi riflessi di hard rock americano “classico”, a dimostrazione che evidentemente il percorso educativo dei suoi autori non è stato affatto monotematico.
“Wake up and rock”, “What the fuck!?”, “One of a kind” (ancora migliore di come me la ricordavo, ascoltata nella compilation “Sintonie Rumorose”) e “No love no pain (dedicated to...”, amalgamano ad arte rock ‘n’ roll, blues, sudore, polvere, metal e vetriolo, con la voce di Valerio che quando s’inasprisce ricorda un po’ quella del mitico Axl, con il quale condivide, pur senza eguagliarlo (per il momento!), anche l’approccio duttile nell’uso delle corde vocali e il magnetismo delle interpretazioni.
Le vibrazioni più esplicitamente hard-blues delle pregevoli “Time out of joint” e “Waitin’ by the crossroad”, nonché dell’intenso slow “Child inside”, mi hanno fatto venire in mente, a tratti, quel formidabile misto di carica e classe denominato Great White o certe soluzioni care ai favolosi Tesla (a cui aggiungerei pure qualcosa dei magnifici “losers” Law And Order), assegnando ai Monkey Business una considerevole abilità nel trattare anche temi a minor coefficiente sleazy, confermata pure dalle ardenti progressioni di “Kinda love” o ancora dalla mirabile spigliatezza corale vagamente “radiofonica” di “Every now and then”.
La deliziosa ballata ricca di sfumature denominata “I smell the perfume”, mostra il lato intimista del quintetto, mentre la cover di “Separate ways” dei magistrali Journey fornisce un altro indizio sulle variegate passioni del combo e sulle sue capacità melodiche: l’atto di devozione, per quanto assai “rischioso”, è risolto con buona personalità, anche se, malgrado lo zelo, la grandezza degli interpreti originali del brano sollecita paragoni da cui pochi potrebbero uscire completamente vincenti.
Dopo aver elogiato le ottime doti del cantante Sciascia è necessario incensare anche quelle della coppia di chitarristi Dario Crocetta e Lello Miele, artefici di riffs intriganti e di agili solos, rispettando completamente la migliore tradizione “del settore”, così come preparata e tonica appare la prestazione della motrice ritmica della band, prerogativa del basso fremente di Attilio Barbato e dei poderosi tamburi di Yari Lanci.
In un periodo in cui i “ricorsi storici” sembrano ben accolti dal pubblico e in cui segnali di una certa “fame” di street metal si possono cogliere in maniera piuttosto evidente (uno su tutti: la risposta dell’audience al ritorno dei Guns al GOM), perché non sperare che il rilancio di questi suoni possa passare anche attraverso una portata succulenta e variamente speziata cucinata a Caserta, anziché nella solita Los Angeles?
Dopo il Power Project, un’altra proposta molto convincente dalla capitolina Powerzone Records, un’etichetta che sta facendo un lavoro eccellente e che sono sicuro ci riserverà in futuro parecchie altre sorprese.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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