Copertina 6

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2016
Durata:50 min.
Etichetta:Inside Out

Tracklist

  1. HIGH/AFLAME
  2. THE GERM INSIDE
  3. I AM LOST
  4. THE DEATHLESS
  5. FOUL TEMPLE
  6. VISION OF THE BENT PATH
  7. I MUST SET FIRE TO YOUR PORTRAIT
  8. LOWERED INTO NECROMANCY
  9. A DREAM ABOUT A DREAM
  10. SECRET WORDS
  11. FEEL THE SORCERY

Line up

  • Kavus Torabi: guitar, vocals
  • Melanie Woods: vocals, percussion
  • Emmett Elvin: keyboards, vocals
  • Charlie Cawood: bass
  • Ben Woollacott: drums
  • Chloe Herington: bassoon, alto saxophone, vocals
  • Josh Perl: alto saxophone, clarinet, vocals
  • Oliver Sellwood: baritone saxophone

Voto medio utenti

Sono poche le band che possono permettersi di concepire un album “on the road” e registrarlo in soli nove giorni ricorrendo in minima parte a delle sovra-incisioni. I Knifeworld di Kavus Torabi, benché ambiziosi, purtroppo non fanno parte di questa ristretta cerchia di fenomeni. Non bastano una formazione atipica (un ottetto molto pittoresco con fagotti, sassofoni, percussioni e chi più ne ha più ne metta), un’immagine “fricchettona” mutuata direttamente dagli anni più psichedelici del “Peace & Love” o l’esperienza indiscutibile del sopraccitato mastermind di origine iraniana. In “Bottled Out Of Eden” i momenti buoni non mancano (penso all’introduttiva e colorata “High/Aflame”, ai frammenti più bucolici e folkloristici di “Foul Temple” o “Secret Words” o alla terzinata “The Deathless”) ma è tutto raffazzonato, poco fluido e un po’ abbandonato a se stesso, in particolare nelle linee vocali non riuscitissime (da sempre marchio di fabbrica della band) e in alcune trovate strumentali inutilmente cervellotiche (“Lowered Into Necromancy” o “A Dream About A Dream”), un goffo tentativo di risultare moderni e nostalgici allo stesso tempo senza mai riuscire veramente a centrare l’obiettivo in nessuna delle due direzioni. Ecco allora che brani potenzialmente interessanti come “The Germ Inside”, “I Am Lost” o “I Must Set Fire To Your Portrait” sembrano non finire mai nonostante la durata tutt’altro che titanica. Le idee sono tante, troppe, non sviluppate a dovere (com’è tipico dei “live-in-studio” più frettolosi), e l’unico risultato garantito è un ascolto pesante e a tratti ansiogeno. Il concept, legato alla morte delle persone care, di sicuro non aiuta a rendere particolarmente appetibile la proposta, ma è davvero un peccato, considerando il pedigree artistico di Torabi (già membro di The Monsoon Bassoon, Guapo e Cardiacs), trovarsi tra le mani “solo” questo. Sufficienza politica, ma non nascondo che mi aspettavo molto di più.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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