Thee Maldoror Kollective (JD, vocals)

JD, macchine, software e voce dei Thee Maldoror Kollective ci parla a ttuto tondo di “Pilot”, ultima immaginifica fatica della band. Come al solito mi sono ritrovato di fronte ad una persona dedita, interessante e culturalmente stimolante. I TMK sono davvero qualcosa che è oltre tutto e tutti.

Prima di parlare del nuovo disco, siccome mi sono perso il capitolo “A Clockwork Highway”, potreste fare un sunto del periodo post “New Era Viral Order” e pre “Pilot”?
“ E’ stato un periodo in cui siamo cambiati molto, come persone e come musicisti, ma credo sia una cosa che direbbero un po’ tutti, tra un album e l’altro. E genericamente è vera, non voglio credere che non lo sia. Attualmente ho 31 anni, e valuto ciò che ho fatto fino ad ora con un distacco che prima probabilmente non avevo. Non ho mai più ascoltato New Era Viral Order, ma sinceramente non ascolto neppure Pilot, in questi mesi. A Clockwork Highway penso possa essere considerato come l’inizio di una nuova formula, dove effettivamente ho considerato che da grande avrei voluto fare il regista. Lo faccio con i suoni. Molte volte la volontà reale di un individuo rimane celata, servono tanti passaggi per metterla a nudo, e per capire dove realmente questa sta puntando. Ho sempre cercato un suono che potesse svolgersi molto liberamente, che permettesse a me e a chi ascolta l’album di sfruttare quella stessa libertà di cui tanto si parla ma che rimane forzatamente relegata a pochi ambiti della propria giornata. Un buon compromesso tra l’essere schiavi e padroni, occorre fare delle scelte…
A Clockwork Highway non è ancora un album a fuoco, cosa che invece mi sento di dire per Pilot. 23 Miles back invece è un capitolo a parte, l’escursione elettronica che mi serviva per testare la mia idea di collaborazione. Un disco che contiene a mio avviso delle idee molto interessanti…penso a Eraldo Bernocchi o a Bad Sector, che hanno fatto un lavoro di remix straordinario. Poi è stata la volta di Pilot.”

Il nuovo disco è strutturato come una sorta di colonna sonora di un immaginifico film, dove la classica “forma canzone” viene destrutturata, di modo che ci si trova di fronte non solo ad un contesto musicale, ma ad un contesto artistico a 360° dove le visioni suggerite dalla musica sono quanto e forse più importanti della musica stessa.
“ Si, è quello che mi interessa attualmente. Suppongo che uno dei tuoi più grandi amori sia la musica. Non hai mai pensato a quanta musica rimarrà probabilmente nascosta alle tue orecchie nell’arco della tua vita? Quanti album che avrebbero potuto sconvolgerti non avrai mai modo di ascoltare? E’ un pensiero che mi intriga, e che mi spinge a cercarne sempre di nuove. Più si cerca più si trovano forme ibride, connessioni che non ho il coraggio di definire inedite – Einstein definiva la creatività come la capacità di nascondere le proprie fonti, un pensiero decisamente acuto – e tutto ciò che possiamo fare è continuare a cercare. Inaridire la parte visiva, quella testuale o quella sonora a scapito di altre è come decidere di vivere ovattando un senso piuttosto che un altro. E’ come fare sesso riducendo le zone erogene a quelle genitali, tagliando i preliminari, scegliendo sempre il buio o la missionaria. Serve cercare esperienze importanti, non una marea di ricordi sbiaditi. Per ciò che concerne TMK, il problema è sempre quello del budget. Con più euro a disposizione, avrei delle idee piuttosto interessanti da realizzare. Si cerca di ovviare con il do it yourself, ovviamente.”

Sono molteplici le influenze disseminate lungo il disco. Ti va di citarci quelle più importanti e come contraltare anche quelle più nascoste, ovvero quelle cui nessuno potrebbe pensare?
“ Direi che le mie influenze più forti per l’album sono John Zorn e Foetus, un certo amore/odio per il concetto di americanità, Ennio Morricone e Nino Rota, le pellicole di Lynch, Carpenter ed Herzog, il noir ed Aleister Crowley. Quelle più nascoste sono tante, a dire il vero. In ordine sparso: i Black Sabbath, Johnny Cash, i Doors, Madonna, la musica rituale tibetana, la santeria, il culto dei Loa, l’improvvisazione, l’arte riproducibile, la gioventù giapponese, alcune cose di bluegrass, Miles Davis, Corea, Battaglia, la cucina tailandese. Senza dimenticare l’ironia che mi accompagna.”

L’iniziale “Exile”, sia come struttura, la quale cambia improvvisamente umore, sia per il sax iniziale, sebbene sembri un tributo a John Zorn, mi ha riportato alla mente “Lost Highways” di David Lynch. Lo stesso Lynch sembra essere una delle vostre influenze principali, visto che “Pilot” sembra prestarsi a differenti ed innumerevoli chiavi di lettura.
“ Senza dubbio, ed è una cosa valida per Pilot, ma credo non lo sarà più per il prossimo album. Spero sinceramente che la tua chiave di lettura del disco non sia la mia. Sarebbe sterile. Certo è interessante se ci sono punti comuni, ma preferisco appoggiare la teoria degli universi paralleli, e considerare il tuo mondo come una struttura differente dalla mia. Abbiamo più possibilità di scambiare informazioni, di creare un cut up che definisca un ambiente culturale più inaspettato. Il problema è sempre quello del linguaggio, uno strumento che fa una grossa parte nella costituzione della realtà consensuale. Servono più pieghe nel continuum spazio-temporale, più buchi neri, più bizzarrie genetiche, più scienziati pazzi, più particelle sub-atomiche. Se consideri il linguaggio come strumento essenziale per rendere una certa cosa identica ai miei sensi ed ai tuoi, allora servirà qualcuno che metta in discussione quel linguaggio, che provochi una frattura nella nostra identificazione forsennata. Qualcuno che neghi delle basi indiscusse e che frantumi il terreno sotto i nostri piedi. A forza di cadere nel vuoto capiremo che possiamo volare.”

Hai visto il nuovo INLAND EMPIRE? Cosa ne pensi?
“ Disgraziatamente non l’ho ancora visto. Ne ho sentito parlare in modi molto differenti, mi ha colpito chi dice che Lynch si è lasciato prendere la mano dal digitale – e dai suoi costi ridotti – ed ha esagerato con le sue tipiche carrellate lente e fondamentalmente vuote. Non so, credo lo vedrò, ma non sono una persona che corre al cinema non appena il film è fuori, non lo faccio neppure con un disco, a dire il vero.”

Tra le influenze viene citato Aleister Crowley, cui forse fa riferimento “Welcome To The Golden Dove Society” (il riferimento è alla “golden dawn” crowleyana). I Maldoror sono originariamente un gruppo tradizionalmente esoterico, proveniente da Torino, capitale esoterica italiana. Quello che vorrei capire è in che modo l’esoterismo trova spazio su “Pilot”. Lo chiedo perché stavolta la componente esoterica è meno esposta che nei precedenti dischi.
“ Volevo che questa componente fosse più celata, anche se in realtà in cui credo di aver centrato il punto nel modo ottimale per la prima volta. Anzi, è una componente sempre più presente. C’è una certa parte di pubblico esteticamente schiavizzato che tende ad identificare generalmente esoterico un prodotto che sciorina una serie ben specifica di parametri visuali e sonori. Così tanto da far pensare che non ha mai capito un cazzo di cosa il discorso magico possa comportare. Quando sento parlare tanti sedicenti giovani esoteristi mi cascano le palle. Davvero, soprattutto quando si cominciano a masticare discorsi sulla libertà dell’individuo, sull’analisi e sull’equilibrio dei dualismi dell’uomo. E quando a fare questi discorsi sono personaggi che non uscirebbero di casa se non hanno anche il buco del culo foderato di nero e la matita attorno agli occhi. La gente, evidentemente, è così profondamente religiosa da non riuscire a vivere senza il supporto di un sistema dogmatico incrollabile. Ne ha bisogno. Ha bisogno di riconoscere nella corrente di Thelema gli stilemi di una nuova chiesa (facendo il gioco di un meccanismo che dura da millenni, e che è davvero uno dei segreti più profondi della magia), ha bisogno di poter dividere ed identificare Bertiaux e Gurdjieff e di lasciarli diventare lettera morta, pronta per il primo museo dell’intelletto disponibile. Ha bisogno di ridursi una cariatide, di seppellire sotto la polvere grigia della cancrena la propria incapacità di mutare e di accettare il nulla come scopo ultimo. Io sono la voce di Dio, ora ho solo bisogno di un network che raccolga fondi per me. Devo cambiare la macchina.”

Il “TMK farà sempre ciò che vuole”, di crowleyana memoria, tradotto in questo disco assolutamente fuori dai canoni, non credi che possa non trovare riscontri tra un pubblico che è sicuramente poco avvezzo a concept così arditi e così poco fruibili? Va bene l’arte per l’arte, ma se una band non vende dischi, prima o poi smetterà di farli.
“ Senza dubbio hai ragione. Anzi, credo sia il nostro maggior rischio, e forse anche la componente più stimolante di tutto il progetto. Potrei risponderti in molti modi. Innanzitutto dicendo che la Fnac è piena di album con concetti molto meno arditi e molto più fruibili, quindi non abbiamo sentito la necessità di farne uno aggiuntivo. Potrei anche dire che siamo degli intellettualoidi di merda, mentalmente vanitosi come l’ultima delle puttane a cui dio ha dato un bel corpo, e non direi una cosa falsa. Infine, potrei aggiungere che semplicemente è ciò che ci va di fare. Liberamente, senza troppi fini. Il problema delle vendite può essere reale, ma considerando che già non vedo una lira per quello che faccio, non mi cambierebbe molto la vita, in effetti.”

La copertina e l’artwork complessivo del disco fanno parte del concept. La modella di copertina come è stata scelta? Ho letto che è un’icona di b-movies.
“ Si, Suzi è una mia vecchia conoscenza, apprezza molto i nostri album e condividiamo la passione per l’horror letterario e cinematografico. In più è una bionda meravigliosa. Nel contesto noir che permea un po’ tutto l’album credo sia perfetta. E’ anche una persona squisita, una cosa che apprezzo moltissimo. Mi sono rotto i coglioni di essere circondato da ragazzotti trucidi, duri, impettiti e tristemente insicuri. Un carattere che tollererei se almeno avessero il corpo di Suzi Lorraine.”

Sul disco ci sono anche alcune collaborazioni. Ti va di illustrarcele?
“ Z’ev l’ho incontrato a Torino durante la data in cui ha suonato al cantiere di Piazza San Carlo, allora ancora magnificamente sventrato. Ne ho sempre seguito le releases, un po’ perché mi piace il suo suono ed un po’ per affinità elettiva. Forse la collaborazione più naturale che si potesse ipotizzare, senza alcuna sovrastruttura. Marta Timon l’ho conosciuta durante i miei contatti con Carlos Atanes, il regista spagnolo per cui abbiamo recentemente realizzato una parte della colonna sonora di Proxima, il suo ultimo film presentato all’inizio di Marzo al Fantasporto. Credo abbia una voce bellissima, calda, magnetica e sensuale, di quella sensualità che raduna al suo interno tutte le stagioni di una donna. Ha un piglio evocativo, mi piace, tornerà a lavorare con noi. Ed Helen è una ragazza che ho incontrato nel più classico dei modi, amica di amici. Studia canto jazz, ed io cercavo proprio quello.”

Ricordo che “New Era Viral Order” era un disco freddo, meccanico, molto moderno. Con “Pilot” invece recuperate una sorta di “calore” più umano. Laddove “NEVO” era razionalità, cinica, fredda e affilata razionalità, “Pilot” è invece caldo, passionevole, emotivo. Mi spieghi allora il sottotitolo “Man With The Meat Machine” e i riferimenti connessi?
“ Considera però che New Era Viral Order era un album in cui la componente acustica era decisamente predominante, Pilot è quello che definisco un disco in cui la macchina si crede l’uomo. Racconta una storia che mette in discussione il nostro libero arbitrio, la nostra facoltà stessa di prendere decisioni, la falsità intrinseca nel dire “io voglio questo o quell’altro”. Siamo macchine, tristemente binarie, ed in molti casi abbiamo hard disks poco spaziosi, CPU datate e ventole che un po’ girano e un po’ no. Se ci sia una possibilità di redenzione non ne ho idea. Io cerco la mia strada, il mio graal per dirla in un modo che oggi suona mediaticamente troppo appetibile. Presumo tu abbia visto Matrix. Siamo tutti un po’ Cypher, e quella merda di bistecca ci piace da morire.”

Considero un disco come “Pilot” come un’esperienza totale, credo che Maldoror si sia messo completamente in gioco che realizzare un disco simile. Siete giunti alla soglia ultima della vostra evoluzione o continuerete a sperimentare? Quali sono gli stimoli che vi spingono a continuare dopo aver raggiunto un traguardo, dal punto di vista artistico, così ambizioso?
“ Sarebbe un’intervista di merda se ti dicessi che siamo giunti alla soglia ultima del nostro percorso. Anzi, ti dico che il nostro prossimo album – due, in sincerità – sarà bellissimo. In particolare, un lavoro sarà decisamente più pop, l’altro l’esatto contrario. Credo che gli stimoli, per me come per chiunque, siano tantissimi, e che quella che viene meno nel tempo è soltanto la voglia di cercarli. L’uomo si incancrenisce, e con il passare degli anni accetta supinamente un corso di vita che non ha scelto. Accetta l’adolescenza, l’età adulta e la senilità senza discuterle, le accetta perché quella è la cosa da fare. Io no, sono stronzo verso gli uomini, ma ancora di più verso dio.”

Se ti chiedessi di elencarmi i 5 dischi fondamentali per la tua evoluzione di musicista?
“ Cazzo, non è così semplice, mi metti in crisi. Facciamo che ti dico quelli che mi vengono in mente oggi, visto che sono terribilmente volubile e stronzo in modo significativo. Flow di Foetus, un disco che ascolto da tanto tempo e che continua a stupirmi ad ogni ascolto. L’omonimo di Naked City, perché John Zorn è un genio e basta. Zoso dei Led Zeppelin, perché Page è riuscito a copiare una canzone mediocre ed a farla diventare un classico della storia del rock. Dead Cities dei Future Sound of London, perché la classe non è acqua. E i Throbbing Gristle. Nominarne un disco significa non aver capito cosa volevano fare.”

Chiudi pure come vuoi.

“ Credi che un grazie sia abbastanza true per il pubblico?”

No, però va bene così.

Intervista a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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