(05 dicembre 2003) Napalm Death + Mothercare - Milano, 5 Dicembre 2003 - Transilvania Live

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La prima data del tour italiano dei Napalm Death, in un Transilvania Live gremito per l’evento di fan della prima ora, è stata una splendida opportunità per verificare come la carica e la potenza della storica band di Birmingham non si esauriscano col trascorrere del tempo.

Dopo il successo riconfermato lo scorso anno con un lavoro impegnativo come Order of the Leech, il tour mondiale dei Napalm Death ha fatto finalmente scalo nel nostro paese per quattro brutali date (oltre a Milano anche Bassano, Senigallia e Massa) che hanno riportato un enorme consenso di pubblico. Esito positivo decretato soprattutto dalle capacità di trascinatore del vocalist Mark “Barney” Greenway e dalla perfetta aggregazione, efficace più che mai dal vivo, degli elementi grind, hard core e death metal che hanno reso celebre il sound dei Napalm Death e che ha fatto dei loro brani dei classici. Inoltre è da ricordare che in tutti gli show la band è stata affiancata dalla preziosa presenza dei Mothercare e, per la data di Bassano, anche dai Cripple Bastards che si sono dimostrati supporter più che meritevoli.

La serata milanese è dunque inaugurata, come da programma alle 21.15, dai Mothercare e dalle loro poderose percussioni. La formazione veronese propone alcuni brani dall’ultimo lavoro “Breathing instructions” (di cui segnaliamo l’ottima l’esecuzione di Seldom e Erase me) e dimostra di aver raggiunto una grande maturità e sicurezza nella dimensione live offrendo un’esibizione tesa, efficace e violenta con una sezione ritmica che non teme confronti. Come sempre da sottolineare l’assalto sonoro e fisico della band che riesce a coinvolgere e sbalordire un pubblico più ricettivo del solito alle provocazioni del vocalist Guillermo. I Mothercare danno fondo a tutte le energie e ci trasmettono, oltre alla consueta veemenza del loro pain core, la gratificazione estrema che hanno sperimentato nel fiancheggiare un’istituzione come i Napalm Death, proseguendo la soddisfacente collaborazione iniziata nel disco (vedi la presenza di Barney in Copy/Paste).

Il tempo di un rapido avvicendamento di strumenti ed ecco che sul palco compaiono i Napalm Death introdotti dal cordiale volto di Greenway e dalla chioma inconfondibile di Shane Embury. L’assenza di Jesse Pintado, rimasto a Los Angeles, viene colmata mirabilmente dall’unica chitarra di Mitch Harris (di cui non posso non menzionare, oltre all’acutissimo scream, l’incredibile affabilità come persona) che accende subito gli animi esordendo con i noti riff che introducono i primi pezzi della performance tratti da Harmony Corruption. Riemerge immediatamente il nervoso, massiccio e sordo death metal su cui si fonde il growling cavernoso e soffocante di Barney, l’avanzare della chitarra è sorretto dalla batteria precisa e dominante di Herrera, mentre il basso di Embury passa da ritmi plumbei e cadenzati alle accelerazioni tipiche del grind che frantumano ogni suono.

La band, sebbene sia abbastanza statica sul palco, non conosce cedimenti, è assolutamente travolgente e tecnicamente impeccabile (Embury è senza eccezione grandioso) quando attacca classici quali Next on the list e Hung, un’ovazione accoglie il celebre avvio di Scum e il due secondi di You suffer(“ …but why?” domanda ogni volta destabilizzante). La ruvidezza e il caos dell’originaria ispirazione dei Napalm Death, che era tangibile in un lavoro seminale come Scum, sono ancora vivi e vegeti e ci trascinano in un sterminio sonoro, diffondono un concentrato sapiente di ruvidezza, distorsioni e tempi velocissimi che sembra spingere ancora, con rinnovato vigore, la formazione inglese verso la ricerca dell’estremo. Fedele al suo oltranzismo Mark, tra un’invettiva contro il governo inglese e un attacco politicamente scorretto alle strategie della guerra, celebrate in Continuing War on Stupidity, va all'assalto con Mass Appeal Madness, Deceiver, Suffer the children (con la mitica asserzione gridata da tutti “pledge all to the master plan”)e con la prepotenza hardcore di Can’t play Won’t play (stiamo urlando all’unisono “enemies of the music business!”). Il finale è affidato alla micidiale cover di Lowlife dei Criptic Slaughter, al delirio di Nazi Punk fuck off (noto brano dei Dead Kenendys rinnovato in veste grind nell’album Leaders not followers) e di Siege of power (a mio giudizio il pezzo meglio riuscito) in cui viene senza eccezione ribadita, come scelta artistica e di coscienza, vissuta sulla propria pelle, l’ostilità assoluta verso tutte le ipocrisie, verso i parassiti, verso le manipolazioni del potere e dei media che limitano la libertà e soffocano la riflessione individuale.

Alla fine della splendida performance, colgo l’occasione per fare qualche rapida domanda al disponibile e gentilissimo vocalist Mark Greenway:

-Ciao Barney cosa te ne pare fin’ora del tour europeo? Com’è stata l’accoglienza? So che a gennaio suonerete in Giappone (persino a Sapporo!) dove l’attitudine del pubblico verso la musica estrema è sempre estremamente entusiastica. Cosa ne pensi?
-“Il tour si è rivelato più faticoso del previsto devo dire ma il calore del pubblico specie in Germania e nella Repubblica Ceca è stato inaspettato. In Italia poi siamo sempre felici di suonare specie perché qui da voi abbiamo numerosi fan di vecchia data. C’è stato qualche commento negativo sull’assenza di Jesse ma, come abbiamo ripetuto più volte, aveva tutto il diritto di prendersi una pausa con la sua famiglia dopo un anno di grande stress. Per quanto riguarda il Giappone penso che saranno delle date memorabili vista l’inclinazione allo squilibrio tipica dei giapponesi e poi è un paese affascinante!”

-Ho sempre apprezzato i tuoi testi di denuncia sociale e il tuo impegno politico e ho sentito che prima sul palco denigravi la politica guerrafondaia di Bush, Blair e Berlusconi. Cosa ne pensi di questa invasione a oltranza e senza sbocchi dell’Iraq?
-“Credo che se gli USA continueranno,ogni volta che bombardano un possibile bersaglio militare in Iraq, a uccidere al posto dei terroristi solo donne e bambini non faranno altro che far proliferare nuovi terroristi e adepti kamikaze”.

-Cosa ne pensi delle band della nuova generazione grindcore come ad esempio i possenti Nasum (che linkate anche nel vostro sito) o degli italiani Cripple Bastards?
-“I Nasum sono eccezionali e devo ammettere che paragonato al loro il nostro grindcore di dieci anni fa suona davvero rudimentale e antiquato (ride)! Riguardo i Cripple so che in Italia sono un’istituzione e anche negli USA sono molto apprezzati. Credo che sarà molto interessante suonare con loro domani!!!”.

(grazie alla collaborazione di Luca “CynicalSphere” Paparelli e di Giorgia Carteri per le foto)

Report a cura di Simona Tiburtini

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