Nell’affollato macrocosmo sonoro che attinge a piene mani dal passato del
rock, distinguersi è diventata un’impresa titanica e non è sempre facile tentare di spiegare “a parole” la differenza che passa tra un gruppo dedito ad una forma di riciclaggio accurato ma sterile da uno che invece ha veramente metabolizzato i luoghi comuni del genere e li ha trasformati in proficua tensione emozionale.
È una questione che verosimilmente afferisce più alle sensazioni che non a dati in qualche modo “oggettivi” e sulla base di tali percezioni ritengo i
The Lunar Effect una di quelle formazioni in possesso di un
flavour artistico “speciale”, di un tipo che in passato ha reso Soundgarden, The Tea Party, Wolfmother e Graveyard grandi transcodificatori della tradizione del
rock duro dalle velleità ipnotiche e “allucinogene”.
Cresciuti in consapevolezza e pluralità espressiva rispetto al già ottimo “
Sounds of green & blue” i londinesi affidano a “
Fortune's always hiding” tutta la loro passione per i
late-sixties e i
seventies, intridendola però di una “magia” che converte i
cliché in brividi di soddisfatto straniamento.
E poi, come anticipato, c’è anche un piccolo ma significativo ampliamento (forse sarebbe meglio parlare di consolidamento …) delle fonti ispirative, che oggi consentono di materializzare in maniera piuttosto nitida l’effige dei Radiohead nella languida “
I disappear” e nella
bonus-track “
Tomorrow comes too soon” o addirittura, in forma più sfumata, la figura dei Franz Ferdinand in “
Scotoma”.
Anche nei momenti stilisticamente più consoni al settore, vedasi i vapori lisergici di “
Feed the hand” o i chiaroscuri magnetici di “
Wathcful eye”, i
The Lunar Effect riescono a fornire una “loro” visione di temi noti, esattamente come accade in “
Five and two” impregnata di elettricità Led Zeppelin-
esca alla maniera di certi Rival Sons.
“
My blue veins” avvolge l’astante in sbuffi circolari di fumi
blues, che si convertono in vaporosità vagamente
Lennon-iane in “
Stay with me” e diventano pulsanti foschie di natura
grunge in “
Settle down”.
L’apice dello “stordimento” lo si raggiunge nella litania orbitale denominata “
A new moon rising”, mentre in “
Nailed to the sky” soavi percorsi melodici si aprono in progressioni di marca Black Sabbath.
Concluso il reiterato ascolto di “
Fortune's always hiding”, rimane netta e imperiosa la “sensazione” di avere a che fare con una
band che non ha ancora raccolto tutto quello che legittimamente merita, e che trascurare, magari a beneficio di qualche nome più
cool e reclamizzato, è da annoverare tra i (tanti) “crimini” che contraddistinguono il
rockrama contemporaneo.
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