Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2022
Durata:52 min.
Etichetta:Fastball Music

Tracklist

  1. THE BIRTH OF A STAR
  2. NOCTURNE OF COLD MYSTERY
  3. THROUGH FIRE
  4. BY GOD
  5. TO AILSA ROCK
  6. REPRISE: HARBOUR LIGHTS
  7. HIBERNATION
  8. DARK NIGHT OF THE SOUL PT. I
  9. SEVEN YEARS
  10. VIATOR
  11. THE KING’S SONG

Line up

  • Miril Schmidt: lead vocals, piano
  • Elia Schmidt: bass, growls, backing vocals
  • Benjamin Wiesli: guitars, backing vocals
  • Raphael Gruenig: drums

Voto medio utenti

Gli Askara ci hanno messo sei anni per dare un seguito all'esordio "Horizon of Hope", ma il quartetto svizzero non pare avere sfruttato al meglio questo periodo.

"Lights of Night", come il suo predecessore, si muove all'insegna di un Symphonic Death Metal, con rimandi a Crematory (la voce del bassista Elia Schmidt spesso richiama quella di Felix Stass) ed Epica, con la voce e il piano di Miril Schmidt a reclamare la scena, con le parti melodiche che si sovrappongono, alternano e fondono con quelle più estreme.
Tuttavia, i risultati non sono esaltanti e i nostri zoppicano già dalla breva opener "The Birth of a Star", dove il tutto suona forzato e posticcio, anche a causa di una produzione fin troppo spigolosa. "Nocturne of Cold Mystery" va calcare la mano sulle parti estreme, che però sembrano solo aver il compito di fare da contraltare alla componente melodica tipica degli Askara. Un po' a sorpresa, su "Through Fire" la voce e le dita di Miril Schmidt vengono però lasciate a riposo, ma sono poi proprio loro a dettare legge sui chiaroscuri di "By God" e "To Ailsa Rock". Gli arpeggi delicati di "Reprise: Harbour Lights" ci introducono alla seconda metà dell'album, dove siamo accolti da una canzone sullo stile dei Nightwish: la delicata e malinconica "Hibernation", che si segnala anche come l'episodio migliore del disco, assieme all'altra ballad, "Seven Years", leggermente più vibrante, grazie anche all'incisività del chitarrista Benjamin Wiesli.
Con "Viator" si torna allo scontro tra growling e clean vocals, queste stavolta con un approccio più accattivante, direi alla Evanescence. In chiusura "The King’s Song", digrigna nuovamente in denti, limitando lo spazio concesso alle melodie, ma risultando dispersiva.

Come anticipato, nonostante gli sforzi "Lights of Night", non riesce ad accendere la luce e alla resa dei conti ne consegue un lavoro all'apparenza forzato e poco spontaneo.



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Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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